In Italia non c’è come morire o perdere
perché si parli bene di qualcuno. Gli italici sono fatti così: prima aiutano
a cadere e poi si prodigano in simpatia e pacche sulle spalle. Qui si tifa
sempre per l’asticella. È successo anche il 25 di febbraio mentre la Camera (un
po’ controvoglia) votava il governo Renzi. La regola vale per quasi tutti: non
per D’Alema che è antipatico sempre, anche quando perde.
Se si nasce nel Paese del
melodramma la scena madre ce la si deve aspettare e sorbire anche nella vita di
tutti i giorni. Succede sempre. È un classico che non si può evitare.
Il fatto
di essere, millantandolo, un popolo di brava gente ha questo come effetto
collaterale. E così non poteva non succedere che nel giorno del trionfo (anche
se un po’ stitico) di Matteo Renzi si materializzasse il drammone strappa lacrime
e strappa applausi.
I protagonisti della sceneggiata, che di questo si è
trattato, sono stati i due sconfitti: Pierluigi Bersani ed Enrico Letta.
Entrambi conoscono troppo bene il copione e la parte quindi
per loro è stato come bersi un caffè.
Il primo ad entrare in
scena è stato Pierluigi che ha utilizzato proprio il giorno della votazione della
fiducia al rivale degli ultimi anni quale palcoscenico della sua rentrée. La notizia non era trapelata: grande colpo da maestro. È entrato zitto zitto e
quatto quatto, secondo la l’adagio che «mi si nota di più se ci vado e non mi
faccio notare» E infatti così è stato. L’hanno notato tutti, ovvio, e giù applausi.
Ovvio. Che poi ad applaudire fossero proprio quelli che lui aveva messo in
lista e soprattutto, nel listino dei nominati va da sé. Erano proprio quelli che negli ultimi mesi si
sono esercitati con grande successo nell’esercizio del salto della
quaglia. Quello che si sviluppa in tre
step: bersaniano, ex bersaniano, renziano. E nella squadra di governo di quelli ce n’è un tot e nel partito anche di più. La Marianna Madìa in questo è una campionessa e neanche fosse uno storione ha saputo risalire tutte le correnti fino ad arrivare a quella di Renzi. Ha saltato solo quella di Civati che tanto non conta una fava.
Comunque
tutti erano dimentichi dei gravi errori commessi dal Pierluigi: aver accettato
il governo Monti anziché imporsi per andare al voto, ma in quel caso la fifa
aveva avuto il sopravvento perché per governare bisogna almeno avere l’idea,
platonica, di esserne capaci. Poi ha scialacquato l’enorme vantaggio che aveva
sulla destra facendo giochini scemi sulla smacchiatura del giaguaro. Quindi è
andato a ripescare come presidente della repubblica uno che in lui non aveva
nessuna fiducia, che farsi del male va bene ma insistere è un po’ da tarlucchi,
e infine anziché rivendicare il proprio
ruolo di leader del primo partito si è fatto scavalcare dal suo vice. Che poi
segretario del Pd diventasse Renzi stava nelle cose.L’aveva capito anche Gasparri.
Quando oramai la claque
si era messa tranquilla è stata la volta di Enrico Letta. L’aria un po’
spaesata come di chi è lì per la prima volta s’è mutata nell’espressione, più
intensa, di quello che sta per mandar giù un bel cucchiaio di olio di fegato di
merluzzo. Che se poi glielo avessero dato per davvero quand’era piccolo gli avrebbero
senz’altro fatto bene: così veniva su bello forte e poco democristiano. Ma non
l’hanno fatto. Anche per lui grandi applausi da quelli che erano suoi amici e
che, rimanendo amici, non l’hanno sostenuto fino in fondo. Probabilmente il
buon Richetto stava ancora cercando di capire il senso di #enricostaisereno.
Evidentemente deve aver saltato qualche ripetizione dallo zio Gianni. Evvabbé.
Appena entrato il buon Richetto, che a far l'elenco dei suoi errori non bastano le pagine, s’è guardato attorno spaesato e poi è andato da
Pierluigi e si sono dati la mano e poi abbracciati e giù a darsi pacche sulle
spalle come se questo bastasse a trasformare due perdenti in un mezzo vincente.
Ma non è così che funziona. Un perdente è sempre un perdente. E due perdenti
sono sempre due perdenti. E mentre andava in scena
questa rappresentazione da libro cuore tutti di nuovo ad applaudire quasi a
voler dire a Renzi «Lui sì altro che te» Renzi comunque non si è scomposto anche
lui ha fatto clap-clap. Tanto non costa. E comunque il posto ormai è suo.
Strana razza gli italici
che nella competizione sportiva tifano sempre per l’asticella e si dicono,
sottovoce perché non sta bene, «adesso cade, adesso cade» e se succede subito a
correre a consolare il perdente. I perdenti in questo paese sono simpatici e in
qualche modo amati. Furono simpatici Veltroni e Prodi, lui addirittura tre
volte, e anche Fini un pochetto, e adesso ovviamente il duo Pierluigi e Richetto. Mentre i vincenti piacciono un po’ meno.
Salvo naturalmente che non siano anche cialtroni: l’abbinata vincente-cialtrone
invece piace. Guarda come è strano il mondo..
Come ogni regola che si
rispetti anche questa gode della sua bella eccezione. Eccezione che ha alle
spalle una lunga serie di sconfitte e ovviamente un nome ed un cognome. L’unico che non riesce simpatico neanche quando perde è D’Alema.