Ciò che possiamo licenziare

venerdì 26 febbraio 2021

Finalmente il cambio di passo.

 La prima volta lo disse Richetto Letta, non gli portò bene. Sette anni dopo il cambio di passo si verifica. Non grazie al governo ma grazie alla Procura della Repubblica di Milano. Nella classifica del cambio di passo Francesco Greco lascia al palo il secondo in gara. E si occupa dei quasi ultimi. Avremo due uomini della provvidenza?

Finalmente c’è stato il tanto agognato cambio di passo. Gioia gaudioque. Cambio di passo fu un’espressione “inventata” (si fa per dire)  da Richetto Letta nel febbraio del 2014 per stimolare il governo. Governo di cui era il presidente. Come dire : diceva a sé stesso che doveva fare meglio. Richetto Letta non ha mai avuto il senso del ridicolo. Mica come suo zio Gianni, il ventriloquo del Berlusconi Silvio. Comunque, cambio di passo sta per: fare meglio, magari più velocemente e magari anche con più efficienza e magari anche con più efficacia. Adesso il cambio di passo c’è stato. Ovviamente non si sta parlando del governo Draghi che, fino ad oggi, con efficacia, efficienza, velocemente e fare meglio non ha nulla a che vedere. Salvo voler appiccicare queste qualità al Brunetta Renato (quello degli statali fannulloni), alla Gelmini Maria Stella (quella del tunnel del neutrino) , alla Borgonzoni Lucia (quella che "non leggo un libro da anni"), al Giorgetti Giancarlo (quello che "via i medici di base") giusto per dire solo di quattro, ché tra gli undici ministri nuovi e i 39 sottosegretari c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Qusta volta il cambio di passo ce l’ha regalato un magistrato: il Procuratore capo del tribunale di Milano: Francesco Greco, da Napoli. Che caso.

Il magistrato Francesco Greco ha stabilito, seguendo tutte le procedure del caso, che oltre 60.000, diconsi oltre 60.000 persone: ragazzi, uomini e donne (poche), italiani e stranieri, per il 90%, da domani dovranno essere assunti con regolare contratto co.co.co dalle aziende che fino ad ora li hanno trattati quasi da schiavi. Gli oltre 60.000 lavoratori sono quelli che di giorno, ma soprattutto di sera e di notte, se ne vanno in giro in bicicletta, col bello e con il brutto tempo, con enormi sacconi sulle spalle su cui sono scritti i nomi di Uber Eats, Glovo-Foodinho, JustEat e Deliveroo. Questi oltre 60.000 fino a ieri erano considerati lavoratori autonomi e occasionali anche se di autonomo non avevano praticamente nulla e pure sulla occasionalità la Procura della Repubblica ha avuto qualcosina da dire. Ora con la qualifica di parasubordinati gli oltre 60.000 avranno diritto alla assicurazione, alla malattia, alle ferie e alle altre bagatelle che sono proprie di tutti i lavoratori. “Situazione di illegalità palese” dicono alla Procura. Se ne è accorto il Tribunale, ma non i partiti, a parte una comparsata di Di Maio due anni fa, non i sindacati, non il Parlamento. Non se ne è accorto neanche il Salvini Matteo disposto difendere orfani e vedove, ma non rider extracomunitari che anzi nel numero di 600.000 voleva rispedire ai Paesi di origine. Quando faceva lo sceriffo al ministero dell’Interno. Dimenticavo, il tribunale ha comminato multe per 700milioni e briscola alle aziende di delivery. Quindi se dovessimo fare la classifica del cambio di passo avremo il Procuratore della Repubblica davanti a tutti con il secondo ancora fermo al palo. Allora che si fa? Ci inventiamo un nuovo uomo della provvidenza dato che quello precedente da discepolo di Caffè pare si sia convertito al giavazzismo che come frutto ha contribuito, a sua insaputa, a generare i 60.000. Beh adesso non ci resta che attendere il prossimo cambiatore di passo. Chi mai sarà?

Buona settimana e buona fortuna.

venerdì 19 febbraio 2021

Il torpedone di Draghi

 Nei tour organizzati non si possono scegliere i compagni di viaggio. Si incontrano i vari tipi dell’italiano medio. Però a tavola bisogna stare anche con gli antipatici. Il programma è sempre lo stesso. L’applauso alla guida è di prammatica e non significa nulla. Divertirsi durante il viaggio? Beh, si vedrà.

E così ieri, 18 febbraio, è partito anche il torpedone Draghi. Come in tutti i tour organizzati i compagni di viaggio sono eterogenei e non si possono scegliere per cui è un attimo scoprire che per qualche tempo, all’incirca una decina di mesi nel caso specifico, si dovrà convivere, bene o male, con tutti. In queste gite turistiche di norma sono rappresentate le varie tipologie dell’italiano medio: c’è il pataccone, che ha una soluzione per tutto e sembra che la ruota della fortuna abbia baciato solo lui,  il barzellettiere che vuol tenere allegra la compagnia, ma occhio che è anche abile nel gioco delle tre tavolette, il trucidone che ogni tre per due ti dice che lui sta dalla parte della gente che lavora e ne sciorina l’elenco. Poi ci sono il giovane timido che è stato mandato da papà a visitare il mondo, il neoborghese con tanto di laurea, magari in filosofia, che papà faceva l’operaio, l’impiegato che, si vede a occhio nudo, tutti in ufficio prendono per i fondelli abituato com’è a mandar giù rospi, ma sempre sorridendo. Non mancano la zitella incallita che è già stata dappertutto, il manager che è lì unicamente per pigrizia perché altrimenti lui scalerebbe l’Himalaya, ma questa volta non ha voglia e si vuole riposare e infine gli idealisti che avrebbero voluto cambiare il mondo e i viaggi on the road li facevano quando erano giovani.  Di normali normali proprio non ce ne sono. Sul bus un minimo di intimità ce la si può ritagliare, le poltroncine sono solo due e quindi affianco ci sta la moglie o il marito, ma a tavola la faccenda si complica. Il pataccone e il barzellettiere senz’altro van d’accordo, sono le due facce della stessa medaglia e faranno subito comunella, qualche punto in comune ce l’hanno anche con il trucidone, ma li altri? Le tavole sono grandi e quindi, pur con qualche mal di pancia toccherà sedersi a cenare con tutti, magari pure con qualche sorriso di circostanza, ma alla lunga?  Il saluto di ben venuti è uguale a quello di tutte le altre guide turistiche, ormai da anni, mica si può inventare l’ombrello ogni volta. Così come il pistolotto di presentazione delle tappe del tour, sono le stesse da sempre. Un unico colpo di creatività quando la guida Draghi fa un fugace cenno “all’opera del Signore che non dobbiamo rovinare”. L’Eterno vien citato con modestia non vantando rapporti di parentela, contrariamente a quanto già fece in passato il barzellettiere, ma è uno che cerca solo di far ridere. In fondo il tour rasenta la banalità le solite capitali imperiali che nel corso dei secoli non sono cambiate, anche se è ben diverso se spendere il tempo nella visita del centro storico o nei mercati o nelle discoteche. E qui, forse, si apriranno discussioni sui temi scottanti. Ma questo lo si vedrà col tempo. L’applauso dei viaggiatori è di prammatica e tutti battono le mani perché ognuno nel pistolotto ci vede solo quello che gli interessa e lo fa felice. Quanto poi a esser sicuri di divertirsi per tutto il viaggio beh, questa è tutta un’altra storia. E poi, tutti hanno già pagato la quota di partecipazione.

Buona settimana e buona fortuna.

giovedì 11 febbraio 2021

Draghi: il primo fallimento.

 La stampa gli ha perdonato tutto anche una battutina un po’ sessista. Fino ad ora non ha fatto molto, tutte cose che già aveva fatto il prof. Giuseppe Conte. I maestri di sci e i bagnini vanno consumati sul posto, dice un vecchio adagio. Forse anche Draghi andava consumato nel suo habitat.

 


Un antico proverbio siculo recita:  il bel tempo e il brutto tempo non dura tutto il tempo. Il professor Draghi nell’ultima settimana ha avuto tanto bel tempo: quasi tutta la stampa a fargli da coro per qualsiasi cosa, incluso il suo silenzio. Le giornaliste più coinvolte nella difesa della donna, giusta difesa della donna sia chiaro, hanno tranquillamente glissato sulla frasetta che rivolse alla moglie: “Dai, stai zitta”. Vi immaginate cosa sarebbe successo se l’avesse detta il Caimano? O anche un semplice uomo qualunque? Un putiferio. Mentre invece Concita De Gregorio, Lilli Gruber,  Marianna Aprile, Michela Murgia tanto per citare alcune tra le famose, tutte zitte zitte. Anzi c’è chi ha fatto passare l’episodio come un esempio di riservatezza. Vai a capire le giornaliste passionarie. Eppure dopo tanti miracoli, qualcosa sta andando andato storto. Vebbé che i miracoli fatti fino ad ora dal Draghi Mario sono stati facili facili: ad allungare le giornate, in fondo, con un po’ di pazienza, minuto dopo minuto, son buoni quasi tutti, per guarire il Berlusconi Silvio basta che un semplice giudice posponga un’udienza del Rubty Ter (corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza) e il gioco è fatto. Sullo spread: a farlo scendere c’era riuscito anche il professor Conte, il che è tutto dire. Far tacere Renzi sul Mes è stato un po’ più difficile, ma d’altra parte ne aveva sparate così tante a raglio che un attimo di riposo gli occorre proprio. Sulla borsa poi è stato un miracolo a metà e qui si sono viste le prime crepe: dopo i rialzi, peraltro generalizzati in tutta Europa, due giorni di calo e poi una ripresina da prefisso telefonico. Insomma Draghi il magnifico sta iniziando a scalchignare.  Poi c’è il primo vero fallimento: i campionati mondiali di Cortina, e che diavolo! Tutto il mondo ci guarda e li facciamo partire con due giorni di ritardo. Ma come? Draghi il magnifico non ha il controllo sulla neve? Roba da non crederci. Allora, per essere in balia degli eventi, tanto valeva tenersi Conte e non fare tutto questo rebelòtt, Rebelòtt: espressione lombarda per dire confusione. E non solo: Dominique Paris arriva quinto e Federica Brignone addirittura decima. Eccheccavolo! Adesso ci manca solo che inzeppi il governo dei migliori con ministri presi un po’ qua e un po’ là dai partiti che l’appoggiano e ti salta fuori che il Draghi professor Mario non è quel “drago” che sembrava e che forse il Cerutti Gino, che tutti chiamavan Drago e dicevan ch'era un mago, era meglio. Il fatto è  che al Draghi Mario gli tocca traccheggiare per un anno prima di arrivare alla Presidenza della Repubblica e in un anno capitano un sacco di cose. Un mio amico diceva alla moglie che s’era incapricciata di un maestro di sci che i maestri di sci e i bagnini vanno consumati sul posto, come il vino a chilometro zero, che se li sposti dal loro habitat naturale perdono colore, gusto e sapore. Ecco, forse anche il professor Draghi andava consumato sul posto.

Buna settimana e buona fortuna

martedì 9 febbraio 2021

Chi l’ha mai detto che i partiti sono tutti uguali?

 Una volta era l’offesa delle offese, oggi è la norma. Tutti bigi più bigi dei famosi gatti per accomodarsi e mettere le mani sul malloppo. L’accordo è totale: sull’Europa, sulle migrazioni, sull’evasione fiscale, sulle tasse, sul lavoro nero, sulla giustizia, sui licenziamenti, vero? Il malloppo val bene un giro di trottola.


Una volta quando si voleva irridere e sbeffeggiare il mondo della politica ufficiale e dei partiti si diceva “tanto sono tutti uguali”. Questa quattro paroline messe in fila facevano saltare la mosca al naso a tutti. Sia che fossero apparatinichi, segretari di partito, politici ormai arrivati con tanto di poltrona ben vinavilata alle terga, Parlamento o Senato che fosse, e poi anche a tutti i militanti e ai discettatori di politica da bar o da barbiere. Subito a siffatta vergognosa offesa scattava a mo’ di difesa la controaccusa: “qualunquisti!” Un caro simpatico omaggio a Guglielmo Giannini che nel 1944 fondò in quel di Roma Il Fronte dell’Uomo Qualunque che fu prima giornale e poi partito e portò sui sacri scranni per qualche tempo un po’ di uomini qualunque uguali agli altri. Sai che novità. Il vecchio movimento ha fatto strada carsica fino ad arrivare ai giorni nostri con i “la qualunque” che si vedono tutti i giorni in tv. Se non è zuppa è pan bagnato.  Comunque c’era un tempo in cui, ogni partito, ogni politico all’accusa di essere “tutti uguali” si lanciava nell’elencazione delle differenze dagli altri. Elencazione che conteneva numerosissime diversità, di tutti i tipi, da quelle filosofiche, la moralità borghese, a quelle più trucemente mercimoniose, le mani pulite. In riferimento agli altri naturalmente. Ma, si sa, i tempi cambiano. Eccome se cambiano. Basta che appaia all’orizzonte il professor Draghi che senza neanche l’imposizione delle mani guarisce gli infermi (ha sanato Berlusconi), moltiplica i pani e i pesci (vedi l’andamento della borsa italica) e, neanche a dirlo, rimette i debiti (riduzione dello spread in due giorni) ed eccolo che, pur in pieno giorno, fa diventare bigi tutti i gatti. Cioè i partiti che d’improvviso annullano le differenze sui temi scottanti e diventano tutti uguali. Tutti d’accordo sull’Europa? E sull’immigrazione? E sulle infrastrutture? E sulla giustizia? E sul lavoro nero? E sulle tasse progressive, come da Costituzione? E sui licenziamenti? E … E … Al dunque: tutti dentro per il governo dei migliori, migliori vi rendete conto?. E lì tutti a sgomitare per essere più bigi dei bigi. Le giravolte sono così tante e veloci che al confronto quelle delle trottole a molla della bella infanzia sembrano esempi di tetragona stabilità. Gli opposti si abbracciano e si complimentano vicendevolmente pur di mettere le mani sul malloppo. Perché c’è anche questo: il malloppo. Spettacolo esilarante che dà ragione quant’altri mai all’antica vulgata: sono tutti uguali.  Con la quasi eccezione di Fratelli d’Italia, partito che mantiene il suo posizionamento lasciandosi tuttavia accostata la porta per una futura entrata  In fondo anche loro sono italici.

Buona settimana e buona fortuna.  

venerdì 5 febbraio 2021

Chi è leader e chi è pupo

 Sembrano opposti, ma a ben vedere neanche tanto. Ma la vera differenza sta nel “chi c’è dietro”. La relazione con i gruppi di riferimento. Entrambi sono potenziali vittime predestinate. Un esercizio sulla situazione attuale.


Apparentemente tra le due figure, leader e pupo, corre un abisso, ma in realtà, come quasi sempre avviene, gli estremi si toccano e, al dunque, hanno non pochi punti in comune. Innanzi tutto entrambi hanno bisogno di storie da raccontare, di un palcoscenico da calcare, di un pubblico da far sognare e di un ego che vada ben oltre l’usuale limite.  Entrambi si assumono l’ingrato compito – poi si dirà – di essere la faccia pubblica di storie “altrui” e qui si registra una prima differenza: il leader partecipa e qualche volta dà significativi spunti per lo sviluppo del racconto. Il pupo si limita  a interpretare, con la libertà concessa all’attore, ma non troppa, una storia scritta da altri e sulla trama di questa non ha alcuna voce in capitolo. Un’altra differenza, di peso sostanziale, consiste nel vedere “chi c’è dietro”. Nel caso del leader: questi “esce” da un gruppo sociale, una volta si parlava di classi, con interessi comuni, una coscienza collettiva e numeri rilevanti. In altre parole viene eletto da tanti e tanti rappresenta. Con questo gruppo che lo ha, per così dire, partorito il leader interagisce, è momento di mediazione e di sintesi di quanto da questo emerge, ne è il punto di riferimento e, in qualche modo, la guida. Il leader, appunto. Anche se talvolta, pur fatte salve tutte queste condizioni, ci si trova con un leader-pupo manovrato da camarille. E' accaduto anche questo nel Belpaese. Il pupo, al contrario, è scelto da pochi e con questi pochi non può, per definizione, avere un confronto sui contenuti, gli interessi sono privati e dunque si deve ossequiosamente attenere al canovaccio. Gli obbiettivi e le strategie non lo vedono coinvolto se non come megafono. I fili che lo tengono in piedi, anche se laschi, lasciano poco spazio a movimenti indipendenti: gambe, braccia, mani e testa si muovono a seconda del volere del puparo che non si vede, ma c’è. Eccome se c’è.

Il leader e il pupo, come si accennava, sono la faccia pubblica dei loro mandanti e dunque l’apparire, l’atteggiarsi e il dichiarare fanno parte dei loro doveri istituzionali, sono testimonial e in certo modo traslano le loro caratteristiche ai gruppi di provenienza.

Un’ultima caratteristica li accomuna: sono potenziali vittime predestinate. Quando la coscienza collettiva del gruppo sociale vede sconfitte le proprie ambizioni o più semplicemente decide di mutare sentire ci sarà un solo colpevole e questi sarà il leader. Amaro, ma così è. Lo stesso accade per il pupo, con un’aggravante, sarà tale fino a che sarà funzionale sconfitta o vittoria che sia: quando non servirà più verrà scaricato senza alcun imbarazzo. A guardare la situazione attuale vien facile capire chi sono i leader e chi sono i pupi. Forse.

Buona settimana e buona fortuna