Ciò che possiamo licenziare

venerdì 26 marzo 2021

Settimana ricca di fatti, misfatti e corbellerie.

 In soli sette giorni s'è visto una Cancelliera chiedere scusa, s'è avuta una soffiata da Bruxelles, s'è acclarato che lombardi e calabresi in quanto a sanità non sono poi diversi,  c'è stata la solita ammüìna ospedaliera del Berlusconi Silvio e via così fino ad arrivare a Boris Johnson che esalta l'avidità. 


Settimana ricca mi ci ficco. Non sempre si presentano settimane così ricche di fatti, misfatti e corbellerie varie come questa. A seconda delle opinioni ci si può scompisciare o strapparsi i capelli. Anche se, in almeno un caso non si può che dire: “tanto di cappello”. È il caso accaduto nella algida Germania dove Angela Dorothea Kasner in arte Merkel, nella sua qualità di Cancelliera, ha deciso di ammettere che una sciocchezza è una sciocchezza, anche se a dirla è lei. E lei lo ha fatto di fronte ai 16 primi ministri degli stati che compongono la federazione germanica. Chapeau! Pensare ad un simile evento nell’italico stivale è come immaginare di vedere un asino volare. E per noi sarà speranza vana anche se gli asini non mancano. Anzi, abbondano, dalle nostre parti. Secondo episodio, sempre di livello europeo: la mitica Von der Leyen Ursula ha avvisato l’autoctono camminatore sulle acque che in quel di Anagni, praticamente dietro l’angolo, i simpatici di Astra Zeneca quatti quatti si tenevano nientepopodimenoche quasi trenta milioni di dosi di vaccino, mentre a noi dicevano che non ne avevano. Bel colpo per la Guardia di Finanza e, domandina, i nostri servizi segreti? Bah. Poi, salendo di qualche chilometro, si scopre che in Lombardia il re è nudo. Ovvero la definizione che meglio si attaglia alla sanità lombarda è simile a quella che lo Zangaretti Nicola ha regalato al PD. Ma questo i lombardi lo sapevano da anni: oltre dodici mesi per avere visita dermatologica o un elettrocardiogramma o di qualsiasi altra specialità era la norma passando attraverso il CUP (Centro Unico di Prenotazione) mentre con una semplice telefonata alla struttura convenzionata si riusciva ad ottenere la visita nel giro di qualche settimana. La sanità in Lombardia, personale infermieristico e medico a parte, quindi il sistema fa schifo. Se mal comune fa mezzo gaudio calabresi e siciliani possono consolarsi. Ciò comunque non ha impedito al Berlusconi Silvio di farsi ospedalizzare per tre giorni. Guarda il caso c’era un’udienza sul Ruby Ter. Cose che capitano. Sempre in ambito sanitario: un giudice di Belluno ha sentenziato che è giusto sospendere dal lavoro gli operatori sanitari che rifiutano di vaccinarsi. Il che è puro buon senso: se i sanitari son lì per salvare gli ammalati non è bello che si trasformino in più che potenziali infettatori, come è successo al San Martino di Genova e in qualche RSA della zona. Certo farebbe bello se si usasse la stessa logica e lo stesso metodo anche per i ginecologi obiettori. Per intenderci sono quelli che nella loro disciplina fanno tutto meno che gli aborti, come se un dentista si rifiutasse di estrarre gli incisivi o un meccanico di armeggiare sulla frizione o un muratore di usare la livella. A parte la Val d’Aosta, gli obiettori sono solo il 13,3%, nelle altre regioni si val dal minimo dell’Emilia Romagna con il 51,8%  all’86,1% pugliese. Dati Ministero della Salute 2016. Quindi cinque aani addietro. Ridicolagine italica. Per fortuna c’è una semi buona notizia: i bargiglietti di Letta Enrico hanno fatto capolino. Senza grande sforzo, apparente per  il Del Rio più sofferto per il Marcucci, i due capigruppo hanno fatto un passo indietro però …però delle due donne capogruppo (capegruppo suona male) c’è da fidarsi meno del giusto. Soprattutto per la sostituta di Marcucci. Magari nel mettere mano alle prossime liste il bargiglioso Letta dovrà dimostrarsi un po’ più giacobino invitando tutti i sedicenti ex renziani a ritornare alla casa del padre e lì farsi eleggere. Se ce la faranno. E per finire la glorificazione dell’avidità. Di solito i politici sono i più moralisti dei moralisti e mentono sapendo di mentire, capita raramente di sentire qualcuno dire la verità sapendo di dirla. Ci è riuscito Boris Johnson che in momento di lucidità (raro? Bah) ha esaltato nell’avidità e nel capitalismo i motivi fondamentali della quasi vittoria sul Covid-19.in UK.  Avrebbe potuto aggiungere egoismo e indifferenza, ma sarebbe scaduto nella retorica buonista.

Buona settimana e buona fortuna.

 

venerdì 19 marzo 2021

18 marzo un altro giorno della memoria

La piccola retorica del sindaco di Bergamo.Draghi parla per sei minuti: banale compitino. Evento asettico. Nessun riferimento a responsabilità I parenti delle vittime stanno fuori. chissà che temevano a farli entrare. Fuori anche i giornalisti.


 

Dato che di giorni dedicati alla memoria di avvenimenti terribilmente luttuosi ce ne sono pochi da ieri, 18 marzo, ne abbiamo uno in più: quello dedicato alle vittime per Covid-19. Per inciso la dizione esatta è Giornata Nazionale in Memoria delle Vittime del Covid-19. Ormai il calendario di simili giorni è pieno e tra breve si dovrà fare come per quello dei santi: stiparne più d’uno nella stessa data, così si potrà scegliere con tranquillità e indipendenza quello che si vorrà commemorare. Si è scelta la data del 18 marzo perché in quella sera del 2020 partì la colonna di camion militari che trasportavano le bare dei morti che non potevano essere cremati né in città, né in provincia e neppure nella regione. Erano troppi. Chi si aspettava retorica a go-go per il discorso di Draghi a Bergamo è andato deluso, è  il segno dei tempi. Ci ha provato Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, con l’evocazione dei garibaldini, ma non se l’è filato alcuno. Tutto è stato fatto con l’asciuttezza e la asetticità di una camera operatoria. D’altra parte il Presidente del Consiglio dimostra in pubblico l’empatia di un turacciolo.  Il discorso del Primo Ministro è durato all’incirca sei minuti e, come da manuale, sono stati toccati i punti base: introduzione con il richiamo all’unità, il ricordo (non completo)  dei fatti, le figure simbolo, la questione AstraZeneca e, a chiusa, accenno alla voglia di risorgere. Un tranquillo compitino. Tutto come se questa tragedia fosse caduta dal cielo. Nessuna responsabilità di chicchessia. Come se quel terribile gioco a rimpiattino di apertura-chiusura-apertura non si fosse mai giocato e neppure vi fossero state pressioni per tenere la Val Seriana ben aperta, perché la produzione vien prima di tutto e deve sempre andare avanti e le consegne devono sempre essere rispettate, altrimenti chissà che penali. Come se si stesse parlando di fatti accaduti nell’altra parte del mondo e che con queste zone nulla avessero a che vedere. Magari per giocare in mare aperto dove il vento la fa da padrone e lascia poco spazio alla volontà dei minuscoli ominicchi..

Nel breve discorso ha trovato spazio anche la solita promessa, non ci può essere un discorso ufficiale senza promessa, specie se irrealizzabile. Ha detto il Presidente del Consiglio: “Siamo qui per promettere ai nostri anziani che non accadrà più che le persone fragili non vengano adeguatamente assistite e protette. Solo così rispetteremo la dignità di coloro che ci hanno lasciato”. Promessa disattesa quotidianamente nei fatti: tra quelli, anche sanitari, che non si vogliono vaccinare e gli scavallatori delle file. C’è poco da stare allegri e soprattutto sentirsi sicuri. Piccola promozione per il libro, chissà quanto utile, di Gori e tutti a casa.

Fuori dalla porta sono rimasti i parenti delle vittime che magari avrebbero avuto qualcosa da dire, ma meglio non correre rischi, e sono rimasti fuori anche i giornalisti. Con loro, oggi come oggi, di patemi d’animo se ne corrono quasi nulla visto l’ omogeneo,  per non dire  bulgaro, consenso di cui questo governo gode.  Insomma la solita profezia del Principe di Salina.

Buona settimana e buona fortuna.

 

venerdì 12 marzo 2021

Enrico Letta: l’usato insicuro.

 Non ha ancora incominciato e ha già sbagliato. Una carriera costellata da gaffe ed errori. Le garanzie in politica sono scritte sulla sabbia. Gli voteranno a favore quei 136 che lo defenestrarono. Meglio fosse rimasto a Parigi, anche se insegnare politica non è il suo mestiere. Sarà il pungiball delle correnti.



Il Letta Enrico non ha ancora incominciato e ha già sbagliato. L’ambizione acceca anche i più forti ed i più sicuri, figurarsi uno che ha inanellato insuccessi a ripetizione. A una che ne ha azzeccata, lasciare la politica e trasferirsi a Parigi, fa da contr’altare l’elenco di gaffes ed errori che sono millanta, a cominciare dalla pretesa di insegnare politica. Ma poco o nulla gli hanno insegnato. Alla richiesta dei sedicenti maggiorenti del PD, prima ha nicchiato smorfiosamente come vergine bramata, poi ha fatto sapere di voler porre condizioni che, come tutti sanno, non si annunciano ma si impongono: dopo e non prima. La storia di Giulio II dovrebbe conoscerla. E già queste hanno del risibile e, al contempo del ridicolo. Le sue condizioni si sono tradotte nel chiedere garanzie. Quando mai in politica si chiedono garanzie che di solito sono scritte sulla sabbia? Tra queste quella di durare fino al 2023. Al minimo una ingenuità, per non dire altro. Innanzitutto chiedere garanzie è sinonimo di debolezza: in politica, specie quella da basso impero che stiamo vivendo, comanda chi le garanzie le dà non chi esige. Mica siamo in banca. Dopodiché ha chiesto a suo sostegno l’unitarietà del partito, dimenticando che in questo scorrono sotto il pelo dell’acqua sia la corrente dei suaditi, che già gli fece saltar la testa e  la presidenza del consiglio, e una ancora più infida quella che si rifà ai gloriosi giovani turchi d’antan. Poi non si rende conto che a sostenerlo ci sono vecchi marpioni come il sempiterno Franceschini, il ruspante Emiliano, l’aspirante Metternich Bettini, lo spaesato Orlando, il pacioso Zanda e il prolifico Del Rio. Che già a vedere questa compagnia i polsi tremano: difficile trovare tra questi i 16 che si astennero per la sua defenestrazione. Erano tutti tra i 136 che renzianamente lo sbalzarono. Quindi,altro errore, il Letta Enrico si trasferisce da Parigi a Roma, dove si terrà l’assemblea del PD, con così ampio anticipo che è come appendere manifesti con su scritto “accetto”. Come tutto ciò non bastasse fa seguire al trasferimento la richiesta di avere 48 ore di riflessione. Che se sei già lì su che devi riflettere? Che poi si scrive riflessione, ma si legge: “sono insicuro, non so che esci prendere, mi piacerebbe, ma …”. Una manna per chi vuole affondare questo infelice partito, mai veramente nato con buona pace del Salvati Michele che però, va detto, non aveva a disposizione McKinsey come il Draghi. Avranno i dirigenti del PD un segretario pappamolla da usare come pungiball a piacimento. E gli metteranno accanto una vicesegretaria, rigorosamente donna, sedicente ex renziana. D’altra parte di simili, umilianti,direi, situazioni ha lunga storia il letta Enrico: probabilmente pochi ricorderanno che ha già ricoperto la carica di vicesegretario del PD con Pier Luigi Bersani segretario. A tutti capita di sbagliare. Memorabili le sue esternazioni sul subuteo che, ci teneva tanto a dirlo,  giocava con figlio di Giorgio Napolitano o il pietoso bigliettino che mandò al Monti Mario, Presidente del Consiglio, in cui si metteva a disposizione. Il Monti Mario, perfido bocconiano, lo svergognò mettendo lo scritto in favore di telecamera. Sghignazzi a gogò e non gli valse neanche un posto da sotto-sottosegretario. Così come lo ,stentoreo “siamo tutti corazzieri” rivolto allo stesso Napolitano Presidente, in occasione delle consultazioni del 2013, che lo gelò rispondendogli che all’affetto preferiva  la responsabilità. Da ridere, visto che poi il Napolitano lo incaricò. E ci sarebbe anche da dire della sua difesa dell’italico chinotto o del suo proporre elezioni anticipate mentre le urne erano ancora aperte sempre nel 2013 o dei trentacinque saggi che mise insieme senza alcun costrutto o, e questa fu l’apoteosi, prima dello sberleffo finale, quando disse che il governo doveva cambiare passo. Dimenticandosi che stava parlando del suo governo: diceva a sé stesso di essere un incapace. E questo dovrebbe essere il nuovo segretario? Alleluja.

Buona settimana e buona fortuna.

 

 

venerdì 5 marzo 2021

Il penultimo errore di Zingaretti

 Avere il 70% del partito e dimettersi è un errore. Tutti vogliono che le dimissioni siano ritirate. Si può fare a patto che siano definite le posizioni tra maggioranza e minoranza. Per farlo ci vogliono bargigli e idee. Un sogno.

 


Ieri, 4 febbraio, intorno alle 16,00 ora di Greenwich, lo Zingaretti Nicola ha dato le dimissioni da segretario del PD. Un errore. Un grave errore. Nel dare le dimissioni, via facebook as usual, l’ormai ex segretario scrive di vergognarsi del suo partito intendendo in verità il gruppo dirigente. Gruppo dirigente che, denuncia, parla solo di poltrone e di candidature alle primarie, e per questo lui, lo Zingaretti Nicola, se ne va. Errore. Grave errore. Se questa fosse, come è, la situazione del partito un segretario fa una sola cosa, semplice come la formula della relatività: elimina, in un modo o nell’altro, quelli che parlano di poltrone  e di candidatura alle primarie. È semplice. Quasi semplice poiché per decidere in questo senso vanno fatte salve due condizioni: una necessaria e una sufficiente. Quella necessaria è di avere i numeri e lo Zingaretti Nicola fino a ieri disponeva di una maggioranza che si aggirava intorno al 70% e quindi altro che dimissioni. La condizione sufficiente è di avere la capacità politica, in altre parole i bargigli e magari anche le idee, dato che i primi senza le seconde non fanno molta strada, per mettere fuori gioco i parlatori di poltrone e affini. Lo Zingaretti non ha ottemperato a nessuna delle due. E dunque se ne va. Peccato.

A distanza di breve tutti i sedicenti big del PD hanno chiesto allo Zingaretti di ritirare le dimissioni e di rimanere. L’ha fatto il Franceschini e poi a seguire tutti gli altri a partire da Del Rio (ex DC), e poi Marcucci (ex partito liberale) fino ad arrivare addirittura a Lorenzo Guerini (ex andreottiano) che con Luca Lotti (inquisito) governa la corrente di minoranza che, ironia della sorte, si è autonominata Base Riformista. Come se Belzebù definisse il suo regno il Fresco Paradiso. Entrambi i due sono stati renziani che più renziani non si può. E adesso lo sono più che mai. Ora il busillis è: cosa farà lo Zingaretti alla prossima assemblea nazionale? Ritirerà le dimissioni? Potrebbe, ma se cercherà l’unitarietà avrà semplicemente fatto retromarcia e quindi avrà commesso un nuovo errore.. Grave. Ipotesi b: potrà ritirare le dimissioni e contestualmente chiarire le posizioni tra maggioranza e minoranza. Per far questo deve convincersi che la minoranza all’interno dei partiti ha da essere oppressa.  Altrimenti non è minoranza. E dunque fuori dalla segreteria, dalle presidenze dei gruppi parlamentari e a seguire. Naturalmente un ben chiaro stop a ogni ipotesi di ritorno di Renzi. E per le prossime candidature un bel repulisti dai finti convertiti e dalle quinte colonne renziano-saudite. Se poi, oltre questa ipotetica esibizione di bargigli, lo Zingaretti saprà anche stendere due paginette due di idee, magari concrete, magari facendosi aiutare dalla dottoressa Mazzuccato e  regolare la posizione del partito nella coalizione di governo, per esempio con un appoggio esterno, avrà fatto ancora più centro. È un bel sogno e di questi tempi anche sognare è un lusso.

Buona settimana e buona fortuna

mercoledì 3 marzo 2021

Invidiare i francesi

 Sono stati i primi a tagliare la testa a un re, i primi ad avere un intellettuale impegnato come Émile Zola e sono da invidiare per la loro nazionale di rugby. Oggi anche per Sarkozy e non perché abbia sposato una ex modella. I suoi avvocati vedono complotti e accanimento. Niente di nuovo.

 


Invidiare i francesi per gli italici non è facile. Ci guardano sempre con quell’aria di sufficienza e poi hanno una spocchia innata che a noi proprio non viene facile mandare giù. Tuttavia personalmente ho invidiato i francesi qualche volta. Più di una volta. La prima di cui ricordo fu quando lessi La Rivoluzione Francese di Mathiez Lefebvre: il primo popolo, tutto intero, che si liberò della monarchia e tagliò la testa al re. Non una congiura di palazzo e neppure l’azione di una minoranza come fece il partito bolscevico in Russia. Una seconda volta quando lessi il J’accuse di Émile Zola, mentre le volte successive hanno riguardato la nazionale di rugby: un vero spettacolo, un misto di logica cartesiana e creatività alla Magritte. Da oggi ho, abbiamo, un nuovo motivo per invidiare i francesi: Sarkozy. Non perché sia stato un gran presidente, non perché abbia sposato una ex modella, non perché abbia obbligato Woody Allen a inserirla a forza nel suo film Midnight in Paris. Ma per la condanna che il tribunale di Parigi gli ha inflitto tre anni di carcere, due con la condizionale. Per il terzo ha due possibilità o visitare La Santé, il carcere di Parigi, ma magari lo mandano in Guyana come Papillon, oppure stare agli arresti domiciliari, più comodo, ma con un bel  braccialetto elettronico. In altre parole quel poco di pena che gli tocca per aver corrotto un magistrato se la farà tutta. Eccheccappero. Altro che finti servizi sociali, come andare a rompere gli zebedei a dei vecchietti annoiandoli con barzellette trite e ritrite e scollacciate oltre il più lasco senso del decoro.

Le motivazioni con cui Sarkò è stato condannato sono semplicemente spettacolari: Sarkozy, come Capo dello Stato era “il primo garante dell’indipendenza della giustizia”, ohibò, e per questo i suoi reati sono “particolarmente gravi”, ohibò e “hanno gravemente pregiudicato la fiducia pubblica”. Ohibò. Gli avvocati di Sarkozy, come tutti gli avvocati che difendono politici corruttori e magari anche altro, hanno parlato di complotto e di accanimento, la solita paccottiglia che noi ben conosciamo, ma pare che la cosa non abbia fatto effetto sui francesi a cui magari è tornata la voglia di tagliare, questa volta metaforicamente, la testa a qualche megalomane che si sentiva un re al di sopra della legge. Sarkò ricorrerà in appello. Buona fortuna. Nel frattempo su Instagram la moglie, che faceva la spiritosa con il Covid, lo rincuora, forse non hanno tempo di vedersi in casa. Comunque questa sembra la minore delle grane: lo aspettano altri processi per spese grasse su sondaggi e per presunti fondi illeciti avuti da Gheddafi. By the way le date sono ravvicinate, il 17 marzo la prossima udienza. E in Francia non c’è legittimo impedimento e neanche una miserrima leggina ad personam. D’altra parte se tagli la testa ai re da te ci si aspetta del decoro e non dei mezzucci da rubagalline. Spocchiosi anche in questo. Però che invidia.

Buona settimana e buona fortuna.