Ciò che possiamo licenziare

giovedì 27 ottobre 2022

Povera Serracchiani. Povero PD.

Dibattito alla Camera: la Serracchiani viene ridicolizzata. “Le sembra che io stia un passo dietro agli uomini” dice Meloni. Non sono le polemichette a dare egemonia culturale, ma il saper cosa fare e il come fare. Il PD non lo sa e nemmeno la Serracchiani.


L’intervento della Serracchiani Debora, capogruppo del PD alla Camera dei Deputati, è stato scialbo il giusto. Come la sua lettura del resto. Ha giocato su banalità: il numero delle donne nel governo, non ha notato di quanto siano diminuite nel suo gruppo, è scivolata sul passo dietro gli uomini e ha tentennato dicendo di timori, ripeto timori. Evidentemente non si rende conto di quanto lei e il PD siano lontano dalla realtà. Frase questa da lei pronunciata, rivolgendosi alla allora dirigenza del PD, nel marzo 2009, frase fortunata: nell’aprile il Franceschini Dario la candidò, eletta, al Parlamento europeo. Nelle primarie dello stesso anno lei sostenne il Franceschini Dario nella corsa alla segreteria del partito, non eletto. Ecco, se la Serracchiani Debora fosse vicino alla realtà per non dire dentro la realtà, avrebbe dato ben altre motivazioni al voto di sfiducia. Avrebbe, per esempio, dovuto incalzare, la Presidente del Governo sul come fare, visto quanto piace a Meloni Giorgia il verbo fare, a mettere in pratica il suo ampio programma. E allora sarebbe piaciuto sentire la Serracchiani Debora e magari anche tutto il PD chiedere alla Meloni Giorgia come intenda spendere con efficacia i denari del Pnrr, e come intenda cambiarlo e come voglia modificare il reddito di cittadinanza, tenendo conto che, dati Inps alla mano, la gran parte dei percettori non può oggettivamente lavorare. Sarebbe piaciuto sentirla chiedere come fare perché una donna non debba rinunciare a lavorare per avere un bimbo e come fare a che molti immigrati non debbano lavorare a condizioni non accettabili per gli italiani. Perché a fare un bel discorso sono buoni tutti, ma come dicevano le nostre nonne e bisnonne: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E, soprattutto, per saper far domande intelligenti e non polemichette da strapazzo bisogna conoscere le risposte. Ma le risposte la Serracchiani Debora e il PD non le conoscono.

Buona settimana e Buona fortuna

sabato 22 ottobre 2022

Perché loro sì e gli altri no?

L’on. Meloni Giorgia, dopo il 31 ottobre 1922 o il 26 marzo 1960, per la prima volta formerà un governo di destra. Perché la destra può esprimere una simile leader. Evidentemente la provvidenza preferisce la destra. Il metodo togliattiano della cooptazione ha clamorosamente fallito sia sul versante sia su quello femminile. E la gggente dorme.


In soli 7 minuti il Presidente Sergio Mattarella ha ricevuto, salutato, fatto due domande, ascoltate le risposte, affidato l’incarico a Giorgia Meloni e congedato i 12 componenti della delegazione del centro destra. Il Presidente Mattarella dopo cinque, tante ne ha fatte, consultazioni per la formazione del governo, per la sesta ha voluto stringere i tempi perché anche questa volta sapeva già come sarebbe andata a finire. È come leggere lo stesso giallo con cinque titoli diversi e sapere fin dall’inizio che l’assassino è sempre lo stesso. Quindi cotta e mangiata. Le novità sono due: il presidente del consiglio (citazione da Giorgia Meloni) è una donna e il governo che si sta formando è di vera destra. È la prima volta dopo il 31 ottobre 1922 o, se si preferisce, il 26 marzo 1960. Però in entrambe le occasioni il presidente era un uomo. La donna in questione è Giorgia Meloni e lei , l’onorevole Giorgia Meloni nelle ultime settimane ha dimostrato di essere dura più di quanto ci si possa aspettare da un uomo. Ha schiaffeggiato senza timore reverenziale il fondatore del centro destra e messo a tacere senza troppo clamore il pierino  padano. E, sempre senza tanto chiasso, ha formato il governo voluto; agli agée, maschi o femmine pari sono, ha lasciato briciole dichiarando e facendo dichiarare di non temere eventuali prossime elezioni anticipate invece temute dagli altri. Tutti gli altri. Alla gggente i “no” dell’on. Meloni piacciono e l’on. Meloni nella parte della dura piace ancora di più, perché la gggente ha un debole per la provvidenza e i suoi mandati. Domanda: possibile che la provvidenza guardi solo a destra? E poi ancora: è immaginabile nella sinistra, lasciando perdere l’ameboso centro di nulla capace e col popol mendace, veder sbocciare e soprattutto svilupparsi una personalità come l’on. Giorgia Maloni? I segretari del PD degli ultimi dieci anni, dieci anni fa nasceva FdI con tre fuoriusciti dal Popolo delle Libertà : Meloni, La Russa e Crosetto, sono stati più allenati ai tentennamenti e alle cosiddette mediazioni e mai hanno dimostrato neppure per un minuto la stessa determinazione e lo stesso chiaro disegno strategico. E si sta parlando solo di metodo e non di merito. E per di più l’on. Meloni è donna. Basta buttare un occhio distratto alle personalità al femminile espresse dal PD per avere un giramento di capo.  Quindi dov’è il baco nella sinistra? Sia nella selezione di leader (maschi o femmine) sia nella parità di genere? La togliattiana politica della cooptazione è degradata generazione dopo generazione: un mediocre potrà cooptare solo uno ancor più mediocre di lui. Così è. Con un punto in più: l’on. Meloni può dichiarare pubblicamente di non essere ricattabile. Chi può dire altrettanto? E la gggente, plaudente Berlusconi, Monti, Renzi,il M5s e Salvini e Draghi e oggi Meloni, sempre più si allontana dalla politica e dorme. Quando si sveglierà?

Buona settimana e Buona fortuna,

 

mercoledì 19 ottobre 2022

Berlusconi tra Freud e Totò

Giornata dadaista quella del 18 ottobre con protagonista assoluto il Berlusconi Silvio. Due soluzioni: studiarlo e scompisciarsi. Ognuno scelga la sua. Ma c’è sempre la responsabilità dei cittadini.

Freud, Jung e persino Lacan se avessero avuto sentore della giornata di ieri avrebbero chiesto al cielo di ritardare il loro ritorno alla casa del padre. E l’avrebbero fatto anche Groucho Marx, Buster Keaton e Totò. Mai si sarebbero perse le performance del Berlusconi Silvio. I primi l’avrebbero fatto per studio mentre i secondi per scompisciarsi. Il dubbio su quale delle due posizioni scegliere è più che amletico e quindi non resta che godersi l’evolversi della situazione. Il Berlusconi Silvio, dopo aver insultato politicamente (votazione per la presidenza del Senato) e poi personalmente /prepotente, arrogante, supponente …) la leader del suo schieramento, in poche ore è passato dal biascicare scuse per il ritardo all’appuntamento in via della Scrofa, al ribaltare quanto appena (apparentemente) condiviso con la “Signora Meloni”. E così ha riassunto la sua andata alla sede di FdI in fasi. Fase uno: non mi ci ha spinto nessuno, ci sono venuto di mia spontanea volontà, siamo d’accordo su tutto, la “Signora Meloni” mi ha chiesto di essere il suo consigliere. Scompiscio o studio? Fase due: anche la “Signora Meloni” è d’accordo sul nome di Maria Elisabetta Alberti (Casellati è il cognome del marito)  al Ministero della Giustizia, vedrò (chissà quando) il senatore Nordio solo per conoscerlo,. Scompiscio o studio? Fase tre: “sono stato il fondatore del centrodestra” e racconta di un dolcissimo scambio alcolico con Vladimir Putin: vodka contro lambrusco. Scompiscio o studio? Fase quattro: presenta l’elenco dei ministri del prossimo governo senza aver avuto ancora l’incarico.  Se mai l’avrà. Scompiscio o studio? Fase cinque: ricorda alla “Signora Meloni che “il suo uomo lavora per Mediaset”. Ha voluto sottolineare alla “Signora Meloni” che nessuno è non ricattabile al 100%. Se questo è il ricatto c’è di che scompisciarsi, non si sta parlando di un oscuro dipendente, ma di un personaggio, suo malgrado, ormai diventato pubblico. Andrea Giambruno, il compagno di Giorgia Meloni, è un giornalista e se il Berlusconi Silvio decidesse di licenziarlo troverebbe, con molta probabilità,  un'altra collocazione in meno d’un battito d’ali. Comunque tutto ciò posto: l’inflazione avanza, l’economia dimostra tutta la sa fragilità, la povertà e le differenze invece pure, la guerra tra Ucraina e Russia continua e dimostra una volta di più di non essere un pranzo di gala. Ma per saperlo non era necessaria anche questa prova. E dulcis in fundo il Lollobrigida Francesco Capogruppo di FdI alla Camera, nonché cognato della Meloni Giorgia, dichiara di non temere nuove elezioni. E i cittadini? Al di là delle scuse (banali) nella realtà dei fatti se ne fregano e hanno quel che si meritano. Scompiscio o studio?.

Buona settimana. Buona fortuna.

domenica 16 ottobre 2022

Giorgia Meloni: comincia con un atto di sinistra

Senza dirlo la Meloni Giorgia non si fa complice del conflitto di interessi. Toglie al Berlusconi Silvio la possibilità di manipolare le leggi della giustizia e del mercato. Il Letta Enrico mendica all’estero solidarietà per la sua inanità, lo fece anche il Berlusconi Silvio con Obama e fu vergognoso. Chissà se la Meloni Giorgia fermerà la sua pulsione di sinistra a solo questo episodio.


La Meloni Giorgia, donna.madre-cristiana, non è ancora al governo e già comincia a sparigliare commettendo un atto di sinistra.  Le differenze tra destra e sinistra ci sono e sono tante. La sinistra ama le regole, la destra il laissez faire, la sinistra ha come obiettivo l’uomo, la destra i soldi, la sinistra è inclusiva, la destra è escludente, la sinistra pensa ai beni comuni, la destra alle privatizzazioni, la sinistra detesta  (almeno dovrebbe)  il conflitto d’interessi, la destra se ne frega ed è naturale. Ora riportiamo gli elementi del breve pistolotto a Giorgia Meloni e, un per l’altro, lo schema corrisponde eccetto che per l’ultimo punto: il conflitto d’interessi. Questo è il motivo per cui il Berlusconi Silvio è così seccato, anzi molto seccato, anzi veramente fuori dai gangheri. La Meloni Giorgia ha deciso che non gli metterà a disposizione né il ministero della giustizia e neppure quello dell’industria con diramazione alle telecomunicazioni. La Meloni Giorgia non vuole certo giocarsi credibilità e reputazione per difendere uno capace di scavallare processi e, verosimilmente, condanne con leggi ad personam e prescrizioni. Per chi ha ottenuto rinvii processuali, accampando le più puerili scuse e avvalendosi della perizia di un brillante avvocato (per salvarlo lo ha definito utilizzatore finale e nell’aula di un tribunale, dove campeggia la scritta La Legge è Uguale per Tutti, se ne è uscito con l’affermare, più o meno: Certo, la legge è uguale per tutti, ma la sua applicazione va adattata all’imputato) e soprattutto non suole macchiarsi per un condannato in via definitiva per truffa ai danni dello Stato. Quello Stato che il Presidente del Consiglio deve rappresentare nei consessi internazionali. Ecco, per impedire al Berlusconi Silvio di ancora una volta manipolare le leggi della giustizia e quelle del mercato la Meloni Giorgia si è decisa a fare una cosa di sinistra. Quella cosa tanto di sinistra, ma così incapace di far breccia nei governi di centrosinistra (Prodi, D’Alema, Amato e poi ancora Prodi, Letta, Renzi e Conte) figurarsi poi nei due pessimi governi dei migliori (Monti e Draghi) dove proprio non c’è stata storia.  Ecco, la Meloni Giorgia ha in mano un atout formidabile e l’ha subito dichiarato: non sono ricattabile. Chissà quanti dei facenti parte i passati governi di centrosinistra possono dire altrettanto. Certo fu illuminante l’intervento del Violante Luciano, era febbraio 2003, Camera dei deputati¹, quando rivendicò al suo partito di aver dato, nel 1994,  garanzia piena che non sarebbero state toccate le televisioni e poi, di non aver sollevato la questione del conflitto di interessi, di aver dichiarato il Berlusconi Silvio eleggibile nonostante avesse concessioni, ecc.  In altre parole è solo grazie al centrosinistra se la parola inciucio ha acquisito notorietà². Forse la Meloni Giorgia ha deciso di tirarsi fuori da questo pantano: decisione decisamente di sinistra. Nel frattempo il Letta Enrico, va mendicando solidarietà dai partiti socialisti esteri imitando il Berlusconi del 25 maggio 2011 quando biascicò a Obama della dittatura dei giudici italiani. Penoso il Berlusconi, ancor più penoso il Letta, con l’aggravante di aver già visto la scena oltre undici anni fa. A questo punto rimane un solo, unico disperato, angoscioso timore: che la Meloni Giorgia continui a fare cose di sinistra. Si capovolgerebbe il mondo. Ma non accadrà. E forse, allora, nascerà una nuova sinistra. Pulita.

Buona settimana e Buona fortuna.

¹) https://www.youtube.com/watch?v=R1ayeOvurxE

²) https://ilvicarioimperiale.blogspot.com/2013/04/linciucio-cose-come-quando-e-chi-lo-fa.html

venerdì 14 ottobre 2022

Giorgia Meloni è al lavoro.

Ormai è diventato un mantra. Il primo frutto del suo lavoro è l’elezione di Ignazio Benito Larussa. Il secondo: aver dimostrato di poter fare a meno di Forza Italia. L'ha soppianta con truppe reclutate nell’opposizione, Non è una novità sarà da vederne il costo. Non vuole cedere il Ministero della Giustizia a Berlusconi. E questa è una prova di dignità. E se al suo posto ci fosse stato il Letta Enrico?


Giorgia Meloni è al lavoro. Questo il mantra ripetuto, ormai da qualche settimana, ogni giorno da tutti telegiornali. Giorgia Meloni è al lavoro, dicono. E lo dicono con sottili sfaccettature di tono. Talora obiettive: la Meloni Giorgia ha avuto una riunione, Talaltra apparentemente ossequiose, come dire già istituzionale. Talvolta sembrano invece vagamente irridenti e di quasi stupore, come dire non l’ha mai fatto. Altra affermazione ricorrente è definire la Meloni Giorgia come Presidente del Consiglio in pectore , ma fino alla conclusione delle consultazioni vale il detto del Trapattoni Giovanni: non dire gatto finché non l’hai nel sacco. D’altra parte i due accompagnatori della Meloni Giorgia saranno anche compagni di strada, ma è difficile considerarli amici-amici. Anzi sono ben pronti a sgambettarla, non tanto per farla cadere quanto per acciaccarla e metterla sotto tutela anche se la somma dei loro voti è di gran lunga lontana da quelli piovuti addosso alla Giorgia-donna-madre. Comunque giovedì13 ottobre un risultato apprezzabilissimo si è visto: ha messo in crisi il suo schieramento. Il casus belli sembra sia il non volere al Ministero della Giustizia la mandata di un condannato per truffa ai danni dello Stato e neppure un’altra sua inviata in un qualsiasi altro ministero di peso. Come darle torto. Un po’ di dignità. Ve l'immaginate il Letta Enrico nella stessa situazione? Però il suo lavoro, qualche frutto l’ha dato: ha dimostrato di avere amici anche nella minoranza, chiamarla opposizione sembra caricarla di eccessive responsabilità. Comunque è lecito pensare, e non si è nel regno della fantascienza, che i soccorritori si aspettino (o abbiano già contrattato, più probabile) una qualche forma di risarcimento. Ça va sans dire. La chiamano politica. Solo con l’intento di nobilitare la cialtronaggine, ma è storia antica. Attenzione però: i mercenari sono al soldo del miglior offerente, come i centoeuno che affossarono il Prodi Romano. Alcuni politologi sostengono che così facendo la Meloni Giorgia si sia indebolita, ma non è vero. Ha dimostrato di poter fare a meno di Forza Italia:, ha buoni rimpiazzi. E  contestualmente, ha metacomunicato al Berlusconi Silvio di darsi una calmata e di stare al suo posto. Al dunque, il collezionista principe dei busti di Benito Mu. nonché quello che disse: mi iscriverò ad Alleanza Nazionale un minuto prima di morire, così a morire sarà uno dei loro, adesso è la seconda carica dello Stato. Cosa vuol dire saper cambiare idea. Auguri a Ignazio Benito La Russa.  In ogni caso la Meloni Giorgia deve attendersi una qualche rappresaglia. Potrebbe succedere che durante le consultazioni i suoi amichetti propongano in sua vece qualcun altro. Magari in un impeto di dadaismo potrebbero proporre Lando Buzzanca, il merlo maschio,  o Claudia Gerini rigorosamente o Enrico Beruschi, una brutta fazenda o il cipollino Massimo Boldi. Anche questi sanno organizzare spettacoli e anche loro, a volte, riescono a far ridere.

Buona settimana e Buona fortuna.

giovedì 6 ottobre 2022

Arieccoli: Veltroni, D’Alema & Bersani.

Nello stesso giorno i tre ex leader (supposti) del PD tornano alla ribalta intervistati da La Stampa, Il Fatto Quotidiano e il Corriere della Sera. Non dicono nulla di nuovo. Ma soprattutto non fanno autocritica e dovrebbero. Considerazioni politicamente scorrette.

Per uno strano scherzo del destino o per la perfida strategia di tre uffici stampa, evidentemente obnubilati dal 19% di voti raccolti dal PD, tre autonominatisi come megaleader galattici (sai le risate del ragionier Fantozzi) del partito classificato come plastico esempio della fusione a freddo,  hanno deciso di parlare nello stesso giorno. Non se ne sentiva la mancanza e neppure la necessità, ma così è stato. Ovviamente nessuno può e soprattutto vuole togliere a Veltroni, D’Alema e Bersani il diritto di parlare e di dire la loro sul partito che, per la prima volta da undici anni a questa parte, non sarà nel prossimo governo. E questo non solo per amore della democrazia, ma perché un po’ di amarcord fa bene alla salute, Fellini docet. Senza contare quanto il ricordo dei brutti tempi andati faccia apparire un po’ meno ridicoli i personaggi che si agitano oggi sul proscenio del partito. E infine ultimo, ma non ultimo, è tragicamente divertente vedere come chi ha posto le solide fondamenta dell’attuale disastro abbia, forse, corta memoria, ma senz’altro una vera passione per il bronzo e la sua applicazione alle facce.  Tra i tre c’era chi, con esaltazione, propugnava la teoria del partito liquido, aveva malamente letto Zygmunt Bauman, non capendo come la positività o negatività di una caratteristica non lo sia in assoluto, ma vada contestualizzata. Altrimenti sarebbe come mettere una barretta di  titanio nella brioche del mattino. Addio denti. E poi c’era chi pensava di essersi sprovincializzato perché salutava Pedro e Tony e gli altri dando del tu, biascicando in inglese e chi nel nome del neoliberismo s’era messo a vendere l’argenteria dello Stato a prezzo di saldo sostenendo che tutto sarebbe costato meno, non sapendo neppure compitare la parola  o-li-gop-po-lio. La cui traduzione è: i pochi padroni del vapore si mettono d’accordo e non si fanno concorrenza. Discorso vecchio, già affrontato da un filosofo tedesco nel 1848, ma vaglielo a spiegare. Soprattutto a quei tre invaghiti fino allo spasimo per il neoliberismo con un’illusione: fosse diverso e meglio del liberismo di sempre. E così passetto dopo passetto si scopre che ci si allontana dal punto di partenza e quasi senza accorgersene, o magari accorgendosene per davvero, si arriva in zona ztl. Avessero avuto l’umiltà di chiedere consiglio a Cacasenno, questi avrebbe spiegato loro come neoliberismo vada perfettamente d’accordo con disuguaglianza, contratti atipici, pagamenti in nero, lavoro precario, massimo ribasso, sub-appalto, evasione ed elusione fiscale. E magari anche corruzione e chissà che altro.. Giusto per dirne alcune. Adesso lacrime di coccodrillo. Inutili. Non ci fossero stati questi tre difficilmente si sarebbe visto un Renzi all’orizzonte. Nessuno lo dimentichi: la sua scalata alla segreteria si poggiava sulla "rottamazione" di quei tre. Poi il Renzi, ottenuti i voti alle primarie, si è fatto irretire, magari non aspettava altro, da Franceschini che in una “storica” puntata di otto-e-mezzo disse di appoggiarlo. Come se belzebù facesse società con l’arcangelo. E adesso il trombato dalle primarie finalmente può dire senza ritegno quanto le detesti, come dire: il ristretto gruppo dirigente si auto perpetua e sa lui cosa serve. Follia. Senza contare che non ci sia chi non veda come la corrente renziana del PD non abbia alcun progetto politico e sociale se non mantenere lo status quo. Comunque: per la quasi totalità vanno in giro in due, ma dopo la rivelazione di Colleoni può succedere che girino pure in tre. Ma sempre di quelli si tratta.

Buona settimana e buona fortuna.



lunedì 3 ottobre 2022

O Pera o gatto.

Pera Marcello: una carriera all’insegna del prima, poi e infine. Ha un record: la militanza in tutti e tre i partiti del centrodestra. Eletto nel collegio di Sassari ha portato via il posto a un gatto. Il suo cognome fa riferimento a una cosa inanimata.


«Ti mando in Sardegna!» era la terribile minaccia buona per tutti i dipendenti dello Stato dai poliziotti ai magistrati ai funzionari, magari impegnati con solerzia nel loro lavoro e che nel farlo, magari, avevano pestato qualche piede di riguardo. Talvolta, però, può accadere all’apparente minaccia di trasformarsi in opportunità. Una grande opportunità E questo deve aver pensato il Pera Marcello, da Lucca, quando gli hanno offerto la candidatura al collegio uninominale di Sassari. Il Pera Marcello è uomo d’esperienza: prima ragioniere poi filosofo e infine politico. Tutta la sua vita è stata scandita hegelianamente da un prima, un poi e un infine: anche in politica. Prima è socialista poi s’impegna sulla questione morale, aderisce al movimento di Massimo Severo Giannini¹, per mani pulite invoca una vera, radicale, impietosa epurazione², per dire solo una delle sue tante incendiarie dichiarazioni di quel periodo. Nel 1994, in un momento di grande lucidità definisce il Berlusconi Silvio: è a metà strada tra un cabarettista azzimato e un venditore televisivo di stoviglie, una roba che avrebbe ispirato e angosciato il povero Fellini³, infine, a stretto giro,,sempre nel 1994, aderisce a Forza Italia e comincia a criticare il pool mani pulite, arrivando a definirlo golpista.  E poiché è la somma che fa il totale nel 1996 viene eletto senatore in quel di Lucca, naturalmente per Forza Italia di cui nel 1998 diventa vicepresidente. Nel 2001 viene rieletto, sempre a Lucca, ma è l’ultima volta in casa, dopodiché inizia l’esperienza del paracadutato: nel 2006 nella circoscrizione Emilia-Romagna, nel 2008 in quella del Lazio; una circoscrizione gli dura meno di un pacchetto di sigarette. Nel 2020  assurge all’incarico di consigliere politico questa volta del Salvini Matteo. Ad oggi la sua carriera di globetrotter della politica lo porta a cambiare nuovamente partito, adesso, ma bisogna vedere quanto dura, è con Fratelli d’Italia. Così si è girato tutti e tre i partiti dell’italico centrodestra. Non è un primato da tutti, solo lui e il Tremonti Giulio lo posono vantare. Il nuovo partito lo candida alle elezioni politiche del corrente anno, al Senato nel collegio uninominale di Sassari, collegio dato per sicuro dove, come si usa dire il centrodestra potrebbe eleggere anche un gatto. Ma poiché non tutte le ciambelle escono col buco e un cigno nero è sempre in agguato, la Meloni Giorgia e i suoi strateghi lo piazzano anche nel plurinominale della Campania. Lo vogliono proprio in Parlamento, non c’è che dire. La spunta a Sassari. Non è la prima volta che il Pera Marcello ha a che fare con questa parte della Sardegna anche se una precedente fu esperienza asprigna: ebbe a che dire con Francesco Cossiga.

Nella seduta del Senato del 26 ottobre 1998 il Pera si rivolse al senatore a vita Francesco Cossiga così: «Un barbaricino che ruba pecore è forse vittima della sua miseria, un barbaricino che sequestra persone è forse vittima del sottosviluppo economico della sua zona, ma un barbaricino che si dedica all’abigeato parlamentare che cos’è? Io e lo dico sine ira, ma certo cum studio, credo che quel barbaricino sia un ladro di democrazia». Da notare i due dotti passaggi in latino, si vede che è preparato.

Il sassarese Cossiga non poteva non ribattere e così fece:« Al senatore Pera vorrei dire che io non sono barbaricino, io sono dell’Anglona, i miei avi erano pastori, probabilmente hanno anche rubato pecore. La mia famiglia ha l’onore di annoverare per sé forse ladri di pecore, ma anche eroi del Risorgimento. Data la pesantezza dei suoi giudizi, direi che il mestiere dei miei avi lo confesso: forse pastori e forse anche ladri di bestiame. Nella tradizione italiana il nome di cose inanimate si dà, di solito, a coloro che sono di incerte origini. Lascio quindi derivare quale fosse il mestiere delle sue ave». Risposta sapida il giusto⁵.

Il Pera Marcello viene eletto a Sassari con il 41% dei voti e il collegio registra l’affluenza del 53,11%, quindi in Senato va a rappresentare poco più del venti per cento dei tattaresi, non certo un grande numero, Forse quell’ottanta per cento che ha snobbato le urne e non l’ha votato ha ricordato le sprezzanti parole  sulla miseria e sul sottosviluppo economico e magari anche il dire pungente del senatore a vita Cossiga e non se l’è sentita di farsi rappresentare da lui. Se ci fosse stato un gatto, magari, forse.

 

Buona settimana e buona fortuna.

 

 

­­­­­­­­­­­­­­­-----------------

1         "Campioni d'Italia", di Gianni Barbacetto, Marco Tropea editore 

2         La Stampa, 19 luglio 1992

3         Citato in Michele De Lucia, Siamo alla frutta, Kaos 2005. ISBN 8879531530

4          Pera, il ragioniere che diventò presidente Un carattere d'acciaio per il filosofo dalle mille e mille contraddizioniIl Tirreno, 28 dicembre 2001

5         https://www.youtube.com/watch?v=hWrwdsSHXF8