Ciò che possiamo licenziare

venerdì 17 dicembre 2021

I pulcini e Draghi

Il neuroscienziato Vallortigara dimostra con dovizia di particolari che i pulcini sono più intelligenti dei galli dominanti. Draghi racconta alla Camera quello che tutti i giornali pubblicano da mesi. Riceve applausi ogni due minuti. L’ultimo i parlamentari lo riservano a sé stessi.

In questa settimana due sono state le notizie clou: i pulcini di Vallortigara e il discorso del Draghi alla Camera. Il 14 dicembre su la Repubblica è stato pubblicato un pezzo sulla scoperta del neuroscienziato Giorgio Vallortigara che, lavorando con 44 pulcini, è arrivato alla conclusione che non sempre i capi sono i più intelligenti. Anzi, tutt’altro. In estremissima sintesi lo studio dice che i capi sono tali solo in virtù della loro forza, fisica negli animali, mentre i sottoposti sono assai più intelligenti e le femmine molto di più dei maschi: sanno contare, colgono la differenza delle forme e delle dimensioni e sanno come rapportarsi con la gerarchia del gruppo. In altre parole talvolta, forse spesso o addirittura sempre, il capo del pollaio è unicamente grande, grosso e, come si usa dire nel lombardo veneto, ciula ovverosia poco intelligente. Senz’altro molti, con una rapida carrellata mentale, staranno pensando a qualche recente capo di governo e altri si staranno chiedendo perché  Giorgio Vallortigara non abbia preso in considerazione i membri irrilevanti, i cosiddetti peones, del parlamento o meglio ancora una parte rappresentativa del corpo elettorale. Magari le casalinghe, non necessariamente solo quelle di Voghera. Forse, quasi senz’altro, il neuroscienziato sarebbe arrivato alla medesima conclusione: i sottoposti, i governati, sono più intelligenti, magari molto più intelligenti di chi ha il potere. Potere detenuto unicamente perché più forti, non tanto fisicamente, molti fisicamente sono delle caricature, quanto per le informazioni che possono mettere sul tavolo,  per le relazioni che hanno coltivato e coltivano, per gli aiuti che possono dare, e quindi ricevere. La storia del potere è tutta qui e nulla ha a che vedere con l’intelligenza o addirittura il merito. Il caso vuole che il 15 dicembre, il giorno dopo l’uscita del pezzo sui pulcini, il presidente Draghi Mario si sia presentato alla Camera per comunicazioni in previsione del Consiglio europeo. Ovviamente tra i due casi non vi è alcuna correlazione. Solo i maliziosi potrebbero immaginarlo ipotizzando la sagace ironia del caso. Il discorso ha avuto la durata di venticinque minuti e briscola. L’aula è stata silente e plaudente, Come da copione. Il Draghi inizia  con il ricordo delle nove vittime  di Ravanusa. Specifica, per gli amanti della geografia, che il piccolo paese si trova in provincia di Agrigento e parte il primo applauso. Applauso a chi? Perché? Non è dato sapere. Quindi cita tutte le vittime, una per una, indicandone nome ed età, porge le condoglianze del Governo e sue personali, per quel che valgono, chiede e lo dice come fosse una novità assoluta «sia fatta luce su quanto è successo, fatti che non dovrebbero capitare» anche se nel Belpaese succedono con la giusta frequenza, e quindi la solita tiritera dei ringraziamenti: il Sindaco il Prefetto la Croce Rossa, i soccorritori, i vigili del fuoco i carabinieri e i volontari. Altro applauso. Nota di colore: nell’intero discorso i ringraziamenti saranno tre per undici diverse categorie. Dopo di che il Draghi Mario si tuffa a piedi uniti nel nulla. Nei ventitre minuti restanti il Draghi racconta alla Camera attenta, poco, in compenso plaudente, tanto, cose che già tutti, compreso i pulcini di Vallortigara, conoscono a menadito. Le ripetute statistiche sulla pandemia, e l’invito alla terza dose, quindi che l’energia costa di più, ma che ci saranno risorse e che la politica di bilancio sarà espansiva per il duemilaventidue. L’hanno già scritto tutti i giornali. Sull’immigrazione sottolinea che l’Italia continuerà a chiedere una gestione umana, solidale, sicura. Come dire “viva la mamma”. Contemporaneamente però, senza sbandierarlo troppo,  si continuerà a vendere armi alla Libia e gli si daranno denari perché allestisca campi di concentramento. Quindi la solita banalità sui canali umanitari che rappresentano una risorsa e non una minaccia e l’accusa al regime bielorusso, un classico. Anche questo i quotidiani l’hanno già scritto. Un fulmineo assaggio sulla collaborazione con l’Africa, il sottinteso recita vacciniamoli a casa loro. Il finale è da manuale:  ringraziamento ai membri del Parlamento per la loro fattiva collaborazione. Probabilmente Draghi ha voluto gratificare i deputati per come entusiasticamente approvano quello che neanche hanno letto. Gli applausi dell’Assemblea al discorso sono stati tredici. Mediamente uno ogni due minuti. Incluso quello fatto a sé stessi. Alla fine viene da invidiare i pulcini. 

Buona settimana e buona fortuna.

giovedì 9 dicembre 2021

La medicina non è una scienza esatta

Uno degli effetti collaterali del Covid-19 è stato l’ideazione di alcuni refrain. La medicina non è una scienza esatta è un ossimoro. Se non è esatta si chiama ricerca o sperimentazione. Il fenomeno dell’atipico. Il Covid un atipico su cui si è investito per i morti, per i finanziamenti per i profitti

Uno degli effetti collaterali del Covid-19 è stata l’ideazione di alcuni refrain che si sono noiosamente ripetuti per mesi. Il primo nato e non poteva essere diversamente, è stato: al tempo del covid usato a destra e a manca da giornaliste e giornalisti. L’idea non era ovviamente originale, scimmiottava il titolo del romanzo: L’amore ai tempi del colera di Gabriel Garcia Marquez, evidenziando la carenza cronica di creatività della categoria. Quello che sta andando di moda adesso è: la medicina non è una scienza esatta. Ideatori del calambour sono scienziati di diverse discipline, infettivologi, biologi, virologi, microbiologi, chimici e via specializzandi. Che a scienza si accompagni non esatta è un evidente ossimoro: la scienza è, per definizione, esatta. Ovvero ad ogni azione, per quante volte questa venga ripetuta, deve corrispondere lo stesso risultato. Se il risultato cambia non si può parlare di scienza, ma al più di ricerca o sperimentazione, e queste sì non sono esatte, ancora una volta per definizione. Solo quando la ricerca o la sperimentazione giungono finalmente a un risultato stabile, nel numero e nel tempo, allora si può parlare di scienza. In verità questa bella fola che la medicina non sia scienza esatta viene sbandiera dai medici quando devono giustificarsi davanti ad un malato per il fatto di capire poco o nulla della patrologia che l’affligge.  Alcuni, più sofisticati, parlano di atipico. E così un qualsiasi malanno, che vagamente assomigli a un altro, ma di cui si capisce meno di un’acca, viene definito atipico. E quindi si può soffrire, tanto per dire, di una lombalgia atipica, ma anche di neuropatia atipica o, come è successo recentemente, di influenza atipica. La definizione di atipico di solito si porta dietro il fatto che il caso viene lasciato cadere nel dimenticatoio  per il semplice motivo che, essendo atipico, riguarda un numero esiguo di malati. E si sa: la redditività dei laboratori di ricerca e delle industrie farmaceutiche  è scienza esattissima e quindi scientifica. Al dunque chi se ne frega delle malattie rare. Però può anche succedere che qualche matto si impegni e voglia capire e allora accade che, magari dopo venticinque anni, fatto realmente accaduto, una banale sublussazione venga diagnosticata come sindrome di Ehlers-Danlos. Sindrome individuata a cavallo del XX secolo, ma con pochi clienti. Con il Covid-19, originariamente influenza atipica, le cose sono andate meglio in virtù degli enormi numeri di ammalati e di morti, degli enormi finanziamenti statali e degli enormi profitti privati. Questa volta per l’Occidente è andata bene. Per i Paesi poveri un po’ meno: non si possono permettere di spendere venti dollari a dose, ma ci si consola col pensare che lì fa caldo e il Covid-19 con il caldo non va d’accordo. Ma non si tratta solo di grandi numeri e di multinazionali, ci sono anche i casi spiccioli. Mi raccontava un amico che dopo un’accurata visita si sentì dire da un neurologo super luminare: non so di che si tratti, ma, d’altra parte amico mio, non è colpa mia se lei si è andato a prendersi una malattia che nessuno sa cosa sia. Già, la medicina non è una scienza esatta si consolò l’amico. Dopo di che il racconto continua: sono passato dalla segretaria che,con un largo sorriso, ha detto: sono cinquecento  euro per il professore. A quel punto la medicina da scienza non esatta si è trasformata cristallinamente in scienza esatta. Esattissima.

Buona settimana e buona fortuna.


venerdì 3 dicembre 2021

IMU: l’ennesima buffonata.

Il governo dei migliori ancora una volta arriva secondo. La certezza del diritto una bella favola. Il MEF conta come il due di picche. È un modo come un altro per dare denari ai comuni: lo si faccia, ma con dignità e senza menare per il naso il contribuente.


La storia dell’IMU è una barzelletta lunga dieci anni dove lo Stato in tutte le sue declinazioni istituzionali (governo, ministero, fisco, magistratura) si diverte a prendere per il naso il contribuente con la nobile scusa di fornire denaro agli enti locali. L’obiettivo di per sé ci starebbe anche, se il processo avvenisse alla luce del sole e con la chiarezza dovuta ai (poveri) contribuenti. Tutto nasce nel 2006 quando il Berlusconi Silvio, durante la campagna elettorale, faccia a faccia con il Prodi Romano, promise l’abolizione dell’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili) una tassa non particolarmente gravosa. Il Berlusconi perse le elezioni. Il Prodi di cui sopra dimostrò di non aver colto la lezione e nel 2007 mise mano, demagogicamente, all’ICI. Mal gliene incolse: il suo governo di lì a poco cadde e il Berlusconi vinse le elezioni successive del 2008 e abolì l’ICI sulla prima abitazione e per contrappeso inventò l’IMU. Già perché, come sanno anche le massaie, non c’è economista che le valga, se si taglia un reddito da una parte bisogna recuperarlo da un’altra.  Comunque la famosa IMU avrebbe dovuto scattare nel 2014.  Ma nel 2011 il governo cadde e fu sostituito dal Monti Mario che ne anticipò l’entrata in vigore al 2012.  Idiozie, ma comunque chiare. Il MEF con circolare del 18 maggio 2012 stabili che l’esenzione IMU toccava alla prima casa aggiungendo però che se due coniugi avevano residenza anagrafica e dimora abituale in due comuni diversi entrambi avevano diritto all’esenzione trattandosi di due prime case. È il caso di una coppia bresciana: lui vive sul lago di mentre lei vive in città. Entrambi possono dimostrare di avere residenza anagrafica e dimora abituale nei reciproci comuni e lo certificano due stati di famiglia ben distinti, con bollette di luce, gas, acqua, telefono e immondizia. In altre parole si tratta di due realtà familiari, il Codice Civile, guarda caso, prevede la famiglia monocomponente. Com’è o come non è lui si trova in tribunale e in primo grado vince. La sentenza fa riferimento, udite udite, proprio alla circolare del Ministero. Il ricorso in appello è di prammatica e qui il verdetto viene ribaltato. Ma come? Il MEF, Ministero Economia e Finanze, che è il principale beneficiario dell’obolo, dice che non gli spetta, che non lo vuole e la magistratura più ministeriale del ministero stabilisce che invece lo deve avere. Misteri della povera Italia. Comunque il signore che vive sul lago decide di andare in Cassazione, meglio non l’avesse fatto: perde di nuovo. A questo punto si dirà sarà ammessa la buona fede del contribuente, ma neanche per sogno. Neppure per un istante i magistrati della Cassazione hanno pensato che sette o otto anni prima il contribuente potesse avere avuto qualche labile idea che la circolare del MEF valesse come la carta per incartarci il pesce e dunque oltre all’imposta al malcapitato viene imposto il pagamento di more ed interessi. Così va nel Belpaese. È di ieri che il governo dei migliori ha deciso una stretta sull’IMU, ma quale stretta? Arrivano questi migliori belli secondi a sancire il già sancito. Così come stabilito dalla Cassazione l’esenzione va concessa ad una sola abitazione: al diavolo la circolare del MEF, al diavolo la buona fede del contribuente, al diavolo la certezza del diritto, al diavolo la chiarezza e la trasparenza. Al diavolo tutto.

Buona settimana e buona fortuna