Ciò che possiamo licenziare

venerdì 29 ottobre 2021

Da repubblica delle banane a repubblica dei cachi.

C’è chi aspira-agogna-spera-sogna di diventare Presidente della Repubblica essendo considerato dai maggiori giornali internazionali impresentabile. C’è chi accusa quota 100 e il Reddito di cittadinanza di non aver generato posti di lavoro, ma i bandi di concorso (non) li fanno gli enti. E poi c'è il migliore dei migliori.



Nel marzo del 2001 il senatore Agnelli Giovanni ebbe a dire: «Non siamo la repubblica delle banane!» Fu il suo, un sussulto nazionalista, il sovranismo, come espressione, era di là da venire, ma lui ante litteram lo incarnava benissimo. Considerandosi, ed essendo considerato, il sovrano dello Stivale e dai suoi sudditi riceveva molto di più di quanto Giovanni senza terra e il suo fido sgherro, lo sceriffo di Nottingham non riuscissero a rapinare ai poveri del tempo. Con quella frase l’Agnelli Giovanni attaccava grandi giornali stranieri irridenti un aspirante Presidente del Consiglio che ritenevano impresentabile. Semplicemente impresentabile. Le di lui prime timide tournée internazionali avevano già goduto  del plauso irridente del mondo, le successive furono un’apoteosi di sghignazzi. Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti. Apparentemente, ça va sans dire. Sono passati Presidenti della Repubblica, sono passati governi, ma siamo sempre lì. Adesso l’omino di cui sopra ambisce-agogna-spera-sogna di salire al colle più alto. Che potrebbe anche essere, ahinoi vista la composizione e la qualità del Parlamento. Poi c’è una ex ministra che dopo un po’ di purgatorio è tornata in auge e con melliflua vocetta pontifica sul mancato aumento dell’occupazione giovanile e ne fa colpa a quota 100 e Reddito di cittadinanza, dimenticando che l’italietta ha tanto contratti di lavoro, precari, che l’Europa intera neanche si sogna. E come sopramercato dimentica pure che i bandi d’assunzione nella scuola dove mancano insegnanti, nella sanità dove mancano medici e infermieri, nelle forze dell’ordine, dove si chiudono le stazioni e i commissariati, nei vigili del fuoco che un altro genio dell’economia vorrebbe ulteriormente ridurre, negli enti di controllo dove mancano ispettori, nei tribunali dove mancano giudici e cancellieri e personale amministrativo, bene, tutti questi enti non pubblicano bandi di concorso né fanno assunzioni. E quando raramente ne fanno propongono contratti a tempo determinato. Il che è una bella certezza. Quindi che ci azzeccano quota 100 e Reddito di Cittadinanza? Assunzioni che non vengono fatte in nome dell’eccessiva spesa pubblica che è tale non in sé , ma di per sé: dovuta alla corruzione, alla evasione ed eluzione fiscale che da sole valgano una legge di stabilità. In altre parole si va a prendere i denari non dove sono ma dove è più facile arraffarli. Che non ci vuole un genio. Nel contempo il migliore dei migliori, quello che uno scrittore di cassetta ha definito “un fuoriclasse”, l’Uomo dell Provvidenza 4.0, esageriamo 8.0, nei comportamenti e negli atteggiamenti assomiglia viepiù all’altro, al primo uomo della provvidenza: chiede ai ministri di approvare documenti senza averli letti, abbandona la riunione con i sindacati, e tira dritto. Soprattutto tira dritto. Manca solo che dica, come il precedente: «Come si fa a non diventar padroni in un Paese di servitori?» e così tutto tornerebbe. A questo punto altro che Paese delle banane. Magari. Questo è il Paese dei cachi. Anzi dei macachi. Ma lo sapevamo già.

Buona settimana e buona fortuna.

martedì 12 ottobre 2021

A’mbecilli!*

«Ma che se chiede la parola d’ordine al primo che bussa?» Succede quando i congiurati sono fregnoni. Se metti un’ideologia perversa nella testa di uno stupido è come accendersi il sigaro con un candelotto di dinamite.


Adesso chiudete gli occhi e immaginate: interno notte, in una carbonaia sono riuniti  dei rivoluzionari, qualcuno bussa alla porta, il capo dei cospiratori fa un cenno e un giovane va alla porta: «Chi è – chiede e poi subito aggiunge – parola d’ordine». Pronta la risposta: «A’mbecilli». Il capo ordina di aprire, ha riconosciuto la voce. «Ma che se chiede la parola d’ordine al primo che bussa?» dice il nuovo arrivato. «Ebbè lo so, quando i congiurati so’ fregnoni…» risponde il capo

Adesso riaprite gli occhi. Quando Luigi Magni nel 1969 girò Nell’Anno del Signore non avrebbe minimamente immaginato che cinquantadue anni dopo altri congiurati, fregnoni quanto i protagonisti del film verrebbe da dire, si sarebbero messi in testa di trasporre nella realtà quello che lui aveva pensato solo per la finzione scenica. Ma la fregnonaggine è eterea, impalpabile, viaggia nell’aria: non si può fermare né con muri né con pistole né con altro. La fregnonaggine semplicemente è. E basta. Travalica gli anni e i decenni. La prova è che lo Jonghi Lavarini Roberto è nato nel 1972 e il Fidanza Carlo nel ’76. Ma che ce se fida de uno che dice di essere un uomo d’affari senza fare alcun controllo? Qual è la sua società? Dove ha sede? È presente su Linkedin?  «Ebbé lo so, quando i congiurati so’ fregnoni». Ma che se parla di lavatrici e di black al primo che passa? «Ebbé lo so, quando i congiurati so’ fregnoni». Ma che se dice che te stai a giocà la carriera al primo che passa? «Ebbé lo so, quando i congiurati so’ fregnoni». L’intera vicenda di Fanpage ha come confini Hanna Arendt, La banalità del male, cosa c’è di più banale di un fregnone? E anche nelle corde di Carlo Maria Cipolla, Le cinque leggi fondamentali della stupidità umana: la persona stupida (fregnone) è la persona più pericolosa che esista. Se poi metti un’ideologia perversa dentro la testa di un banale stupido (fregnone) è come accendersi un sigaro con un candelotto di dinamite. Una cosa da a’mbecilli.

Buona settimana e buona fortuna.

Ringrazio l’amico Marco Fernando Capodaglio che mi ha segnalato la scena "A’mbecilli"

venerdì 8 ottobre 2021

Enrico Letta sta cominciando a perdere.

Letta si sente in sintonia con il Paese che per la metà non va a votare. Pensa che il futuro sia Calenda che a livello nazionale conta per il 3 per cento dei votanti. E torna a fidarsi di Ranzi. Enrico, ancora una volta, stai sereno.


Da pochi giorni si è conclusa la prima delle due giornate elettorali amministrative. In questo breve lasso di tempo tutti, meno il Draghi Mario che di queste bagatelle se ne impippa, a sgolarsi per dire che la sinistra ha vinto. Qualcuno addirittura ha paventato di vedere i cosacchi abbeverare i cavalli a San Pietro. Non è successo e non succederà. Anche il Letta Enrico non ha saputo resistere e s’è messo a pontificare sul fatto che “siamo tornati in sintonia con il Paese” e poi s’è lanciato a profetare future alleanze.  Evidentemente il micro successo di questo giro gli ha dato alla testa. Prima di perderla. Il neo-giovane-virgulto non ha grande dimestichezza con la memoria. Ha subito dimenticato che i successi di Bologna e Napoli, quello di Milano con il Pd c’entra come i cavoli a merenda, sono stati conditi da tassi di astensionismo che solo per uno zic non sono bulgari. E se questa è la sintonia con il Paese c’è solo da sperare che la fine del mondo arrivi prima della prossima tornata elettorale. Dopo di che il suo spirito ecumenico, che tanto valeva si facesse prete, lo porta ad avere visioni mistiche sul futuro della sinistra. Già vagheggia l’Enrico di una macro alleanza che vada da Calenda Carlo a Conte Giuseppe passando dal Renzi Matteo. E con Calenda e Renzi viene difficile parlare di sinistra. E anche qui un piccolo calo di memoria: con il Renzi Matteo è già alleato, tanto è circondato da renziani e quando tornerà a Montecitorio lo toccherà con mano nel caso non si fosse accorto di chi compone la sua segreteria e capeggi i suoi gruppi parlamentari. E poi c’è la nuova grande voglia: Calenda. Calenda Carlo che pare abbia vinto arrivando terzo. A Bersani andò peggio: arrivò primo, ma non vinse. Comunque è arrivato terzo a Roma con il 19,87 per cento e con il solito quasi cinquanta per cento di astensionismo. Quindi a bocce ferme, se tutti votassero, mal contato, vale a livello locale il nove per cento. A livello nazionale invece intorno il tre, sempre con la questione dell’astensione, sempre mal contato, vale la metà: uno per cento e rotti e da queste basi già pone condizioni. Draconiane. E poi c’è, per l’appunto, il M5S. Un rebus. Forse Enrico Letta sogna di poter fare come Draghi, ma c’è un fatto: Draghi se ne infischia dei partiti che lo sostengono ed essendo un nominato a vita se lo può permettere. Enrico invece, dopo una breve esperienza da raccomandato, ha dovuto fare i conti con i voti. E se vuole i voti della sinistra deve dire con chiarezza cose di sinistra e smettere di essere il turibolo dell’uomo della provvidenza. Difficile. E allora stai ancora sereno Enrico.

Buona settimana e buona fortuna.

 

 

venerdì 1 ottobre 2021

Grazie Luca Morisi.

L’italico popolo deve ringraziare l’inventore della “bestia” salviniana. In quattro e quattro otto ha dimostrato le inadeguatezze del ministro Salvini Matteo e della “potenza” della comunicazione. Tutte cose che già si sapevano, ma ancora una volta non le si capiranno.

E diciamolo chiaramente: dobbiamo ringraziare il Morisi Luca. Grazie Morisi Luca, di cuore. L’italico popolo le è riconoscente. Estremamente riconoscente. Il Morisi Luca ha dimostrato con plastica destrezza quanto il Salvini Matteo fosse inadeguato e anche, detto sottovoce, incapace a ricoprire il ruolo di ministro dell’interno. Ovvero, nonostante il budget milionario, diciotto milioni, mal contati e, tra le altre,  la funzione di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, il ministro Salvini Matteo non aveva la più pallida idea di chi gli stesse attorno. Quindi se il Salvini Matteo non aveva consapevolezza, di chi bivaccava nei suoi uffici e questo è il beneficio del dubbio, come poteva aver consapevolezza di quel che accadeva nel Paese?  A meno che sapesse e gli andasse bene così. Ma in questo caso, e questa è logica, se gli andava bene che nelle stanze del Viminale e del suo partito girasse l’illegalità come poteva difendere la legalità nello stivale? Un altro dei misteri per i quali il Belpaese è famoso nel mondo. E allora viva la Lamorgese Luciana, almeno lei, si spera conosca bene le razzola attorno. Dopo di che il Morisi Luca ha sfatato un’altra inopinata leggenda. Qualcuno ha detto e scritto che il Morisi Luca sia stato un genio, ancorché del male, del marketing politico e dei social media. Merito suo aver trascinato, arpionandoli per il colletto, donne e uomini a votare per la Lega. Per merito suo la Lega ha raggiunto la fantasmagorica vetta del 34,6% alle elezioni europee del 2019. Non è vero: quelli che affollavano l'incredibile percentuale erano già lì, aspettavano solo che qualcuno, becero come loro, gli raccontasse quel che volevano sentirsi dire. In quel momento. Poiché la coscienza collettiva è volubile e cambia idea. Intatti le capacità taumaturgiche del Morisi Luca, il genio del marketing, tutte le sue abilità nella gestione dei social media dove sono finite quando i consensi per la Lega hanno cominciato a scemare e poi sono scesi a palla e in brevissimo lasso di tempo, 17 settembre, fonte Ipsos, sono arrivati al 20,5%? Meno 14,1% in poco più di un anno. Al dunque: non era il genio a portare in alto la Lega anzi, era il genio, poco genio, a seguire pedissequamente il volere del popolazzo bue. Ché in fondo è proprio lui, il popolazzo bue, che comanda le scelte e le direttrici della politica e alla fine il genio svolge solo la miserrima funzione di megafono: un pezzo di latta arrotolata. E più il popolo è privo di scuola, di cultura, di conoscenza più è popolazzo. E di questo non ce ne si farà mai una ragione. Ancora grazie Morisi Luca per avercelo mostrato. Ma, come al solito, faremo finta di non averlo capito.

Buona settimana e buona fortuna.