Ciò che possiamo licenziare

giovedì 27 febbraio 2014

Pierluigi ed Enrico: i due perdenti che si abbracciano

In Italia non c’è come morire o perdere perché si parli bene di qualcuno. Gli italici sono fatti così: prima aiutano a cadere e poi si prodigano in simpatia e pacche sulle spalle. Qui si tifa sempre per l’asticella. È successo anche il 25 di febbraio mentre la Camera (un po’ controvoglia) votava il governo Renzi. La regola vale per quasi tutti: non per D’Alema che è antipatico sempre, anche quando perde.





Se si nasce nel Paese del melodramma la scena madre ce la si deve aspettare e sorbire anche nella vita di tutti i giorni. Succede sempre. È un classico che non si può evitare. 
Il fatto di essere, millantandolo, un popolo di brava gente ha questo come effetto collaterale. E così non poteva non succedere che nel giorno del trionfo (anche se un po’ stitico) di Matteo Renzi si materializzasse il drammone strappa lacrime e strappa applausi. 
I protagonisti della sceneggiata, che di questo si è trattato, sono stati i due sconfitti: Pierluigi Bersani ed Enrico Letta. Entrambi conoscono troppo bene il copione e la parte quindi per loro è stato come bersi un caffè.

Il primo ad entrare in scena è stato Pierluigi che ha utilizzato  proprio il giorno della votazione della fiducia al rivale degli ultimi anni quale palcoscenico della sua rentrée. La notizia non era trapelata: grande colpo da maestro. È entrato zitto zitto e quatto quatto, secondo la l’adagio che «mi si nota di più se ci vado e non mi faccio notare» E infatti così è stato. L’hanno notato tutti, ovvio, e giù applausi. Ovvio. Che poi ad applaudire fossero proprio quelli che lui aveva messo in lista e soprattutto, nel listino dei nominati va da sé.  Erano proprio quelli che negli ultimi mesi si sono esercitati con grande successo nell’esercizio del salto della  quaglia. Quello che si sviluppa in tre step: bersaniano, ex bersaniano, renziano.  E nella squadra di governo di quelli ce n’è un tot e nel partito anche di più. La Marianna Madìa in questo è una campionessa e neanche fosse uno storione ha saputo risalire tutte le correnti fino ad arrivare a quella di Renzi. Ha saltato solo quella di Civati che tanto non conta una fava.

Comunque tutti erano dimentichi dei gravi errori commessi dal Pierluigi: aver accettato il governo Monti anziché imporsi per andare al voto, ma in quel caso la fifa aveva avuto il sopravvento perché per governare bisogna almeno avere l’idea, platonica, di esserne capaci. Poi ha scialacquato l’enorme vantaggio che aveva sulla destra facendo giochini scemi sulla smacchiatura del giaguaro. Quindi è andato a ripescare come presidente della repubblica uno che in lui non aveva nessuna fiducia, che farsi del male va bene ma insistere è un po’ da tarlucchi,  e infine anziché rivendicare il proprio ruolo di leader del primo partito si è fatto scavalcare dal suo vice. Che poi segretario del Pd diventasse Renzi stava nelle cose.L’aveva capito anche Gasparri.

Quando oramai la claque si era messa tranquilla è stata la volta di Enrico Letta. L’aria un po’ spaesata come di chi è lì per la prima volta s’è mutata nell’espressione, più intensa, di quello che sta per mandar giù un bel cucchiaio di olio di fegato di merluzzo. Che se poi glielo avessero dato per davvero quand’era piccolo gli avrebbero senz’altro fatto bene: così veniva su bello forte e poco democristiano. Ma non l’hanno fatto. Anche per lui grandi applausi da quelli che erano suoi amici e che, rimanendo amici, non l’hanno sostenuto fino in fondo. Probabilmente il buon Richetto stava ancora cercando di capire il senso di #enricostaisereno. Evidentemente deve aver saltato qualche ripetizione dallo zio Gianni. Evvabbé. 

Appena entrato il buon Richetto, che  a far l'elenco dei suoi errori non bastano le pagine, s’è guardato attorno spaesato e poi è andato da Pierluigi e si sono dati la mano e poi abbracciati e giù a darsi pacche sulle spalle come se questo bastasse a trasformare due perdenti in un mezzo vincente. Ma non è così che funziona. Un perdente è sempre un perdente. E due perdenti sono sempre due perdenti. E mentre andava in scena questa rappresentazione da libro cuore tutti di nuovo ad applaudire quasi a voler dire a Renzi «Lui sì altro che te» Renzi comunque non si è scomposto anche lui ha fatto clap-clap. Tanto non costa. E comunque il posto ormai è suo.

Strana razza gli italici che nella competizione sportiva tifano sempre per l’asticella e si dicono, sottovoce perché non sta bene, «adesso cade, adesso cade» e se succede subito a correre a consolare il perdente. I perdenti in questo paese sono simpatici e in qualche modo amati. Furono simpatici Veltroni e Prodi, lui addirittura tre volte, e anche Fini un pochetto, e adesso ovviamente il duo Pierluigi e Richetto.  Mentre i vincenti piacciono un po’ meno. Salvo naturalmente che non siano anche cialtroni: l’abbinata vincente-cialtrone invece piace. Guarda come è strano il mondo..


Come ogni regola che si rispetti anche questa gode della sua bella eccezione. Eccezione che ha alle spalle una lunga serie di sconfitte e ovviamente un nome ed un cognome. L’unico che non riesce simpatico neanche quando perde è D’Alema.


1 commento:

  1. non starei comunque a fare troppi sentimentalismi, di primi ministri ce ne è uno solo e non son posti da novizie

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