Un
altro toccante appello di papa Francesco. Questa volta è destinato ai
diciannove cardinali che ha appena nominati. Che non fidarsi di quelli che si sono
appena nominati non è bello. Chiedere a dei principi della Chiesa di non sentirsi
a corte è come chiedere ai pinguini di volare alto. A mettere la mano sul fuoco
per questi si corre il rischio di far la fine di Muzio Scevola
Oggi all'Angelus papa Francesco si è esercitato nella nobile arte del monito . E non è la prima volta. Evidentemente non sta imparando granché dall'esperienza di Giorgio Napolitano: i discorsi più sono toccanti e meno incidono Lo sa
bene il Presidente della Repubblica Italiana che monita dalla mattina alla sera con una petulanza
degna di miglior causa. Ammesso che la petulanza possa avere una buona causa su
cui esercitarsi. Però e non è una novità tutti se ne fregano. Anzi. Con grande
perfidia i parlamentari italici, oggetto di tanti moniti, dopo aver ascoltato le
monitanti presidenziali parole che pretendevano di essere anche una reprimenda e
che ai più sarebbero apparse degli insulti, lo applaudirono. E pure
entusiasticamente. Probabilmente pensando tra sé e sé a frizzi e lazzi e magari
pure a cose irrepitibili anche dalla più volgare Littizzetto.
Il discorso, come nello stile bergogliano, è stato chiaro
e difficile da equivocare. Almeno questo è un vantaggio. In buona sostanza il
papa ha ammonito i nuovi cardinali, detti principi della Chiesa, a non pensare
di entrare in una corte dove gli intrighi le chiacchiere e le cordate la facciano da padrone. Piccolo
dettaglio i destinatari di tanto appassionato discorso sono stati i cardinali nominati
da lui sé medesimo, neanche un giorno fa. E lui, Francesco, questi nuovi
diciannove cardinali dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) conoscerli bene anzi
benissimo quasi come le dita delle sue mani. Infatti prima di nominarli avrebbe
dovuto (sempre d’obbligo il condizionale) valutare di ognuno il curriculum
vitae e considerarne le tante e profonde qualità e i pochi, sempre lievi
ovviamente, difettucci, come ad esempio quello di bere due tazzine di caffè di
troppo ogni giorno o di andare pazzi per le praline alla mentuccia. Quindi
scartare quelli che apparissero men che cristallini. Insomma avrebbe (sempre
condizionale) dovuto procedere a quello che in gergo si definisce l’analisi del
sangue. E solo ad esito acclaratamente immacolato procedere alla consegna della
purpurea papalina.
Che poi sulla lealtà dei diciannove al vangelo ed alle linee
guida della dottrina, che come sempre quando si tratta di princìpi viene
difficile trovare delle pecche, dovrebbe poter mettere con tutta tranquillità
la mano sul fuoco. Se invece teme di fare la fine di Muzio Scevola, cosa tutt’altro
che improbabile visti i precedenti, allora significa che c’è qualcosa che non
va e c’è del marcio. Quel che non va, almeno per le esperienze passate, è
proprio la sostanza del piccolo ma potente stato del Vaticano. Insomma con quel
discorso, sfrondato dalla inevitabile retorica, è come se papa Francesco avesse
chiesto ai pinguini di volare alto. Che
va bene chiamarsi e richiamarsi al santo di Assisi ma non bisogna montarsi la testa. Il poverello umbro aveva a che fare
con animali veri e non con umani diventati bestie feroci, se non ferocissime, giorno per giorno nella pratica quotidiana. Soprattutto abituati a nascondendosi
dentro rassicuranti e comode tonache. Quindi il nuovo bel monito di papa
Francesco assomiglia molto ad una simpatica e acuta preterizione: negare una
cosa dicendola o dire una cosa negandola.
E poi van bene i moniti e i richiami ma se non son
seguiti da azioni ficcanti e dirimenti corrono il rischio di assomigliare alle
drammatiche grida manzoniane che più erano feroci e meno servivano.
batman e pinguin
RispondiEliminasì, vero! anche un po' sorprendente
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