La minoranza tende
la mano alla maggioranza, come se uno indebitato fino agli occhi offrisse un
prestito al suo strozzino. Sarà la solita solfa delle ultime direzioni
nazionali. Poi Renzi dirà: «non voglio ubbidienza ma lealtà» e così li
fregherà.
Lunedì
30 marzo avrà luogo l’ennesima (quindicesima o sedicesima s’è perso il conto)
direzione del Pd dell’era Renzi. Sono incontri che al segretario piacciano
assai e appena può ne convoca una. C’è chi li chiama Renzi Show anche se mancheranno
gli stacchetti musicali della Silvano Belfiore Band ma il segretario lo sa in
anticipo e se ne è già fatta una ragione. D’altra parte mica si può avere tutto
dalla vita. Glielo ha spiegato anche il suo amico Berlusconi.
A
guardare la cosa dall’esterno può parere una bella prova di democrazia: il capo
che mette in continua discussione la propria linea politica non è cosa che si sia
vista troppo di sovente nella storia dei partiti e dei movimenti politici.
Specialmente quando questi sono gestiti con un certo piglio. E infatti neanche questo è il caso: la linea
non è in discussione è solo uno giochino.
La
direzione del Pd è stata convocata con un ordine del giorno chiaro e preciso:
definire (una volta per tutte) l’iter delle riforme e dare il definitivo
imprimatur all’Italicum. In linea teorica sarebbe un bel momento di discussione
se non fosse che su questi temi si sta pistolando
da un bel po’, come direbbe un vecchio militante emiliano. E infatti si
tratterà nuovamente di un bel giro d’avanspettacolo a cui gli esponenti della
minoranza daranno un contributo assolutamente fondamentale per la parte comica.
Anzi a dire il vero hanno già
cominciato. Il primo è stato il deputato Alfredo D’Attorre, bersaniano duro e puro. Per quanto un bersaniano
possa essere duro. Che sul puro se non c’è il duro non v’è storia.
Lo
sketch di D’Attorre inizia con una lettera inviata al segretario del partito e
ai capogruppo di Camera e Senato nella quale la minoranza si dice pronta a
tendere la mano alla maggioranza. Nello specifico la lettera propone: «Un’intesa
nel merito. Perché ciò che anima la proposta è uno spirito costruttivo, per questo chiediamo di sfruttare questo
periodo che c'è fino alla ripresa dell'esame delle riforme per definire una
intesa quadro nel Pd» La qual cosa, grammatica e sintassi a
parte, è come se uno indebitato fino agli occhi decidesse di fare un prestito
al suo strozzino. Risate a crepapelle in
platea tra quelli della maggioranza che ben sanno che molti della minoranza
tengono famiglia (e un lavoro non ce l’hanno) e in più qualcuno ha anche il
mutuo da pagare.
In
più la minoranza non è coesa e questo significherà avere più esibizioni sul palco e
un paio magari anche fuori. Come succede per il salone del Mobile a Milano. Tra
le manifestazioni fuori direzione c’è stata la partecipazione di Fassina,
Civati e Bindi all’evento organizzato da Landini. Partecipazione comunque
defilata. Civati starà fuori anche lunedì e se non l’avesse annunciato nessuno
se ne sarebbe accorto, mentre invece Fassina parteciperà al Renzi Show perché
lui «Combatte dall’interno» Per adesso non s’è visto granché a parte piccole
ripicche per non aver avuto il posto di viceministro, ma il ragazzo è giovane e
si farà anche se ha le spalle strette.
In
platea ci sarà pure Bersani con una piccola schiera di supporter. Lui dirà che
bisogna lavorare «per il bene della ditta» che così posta non si capisce perché
non stia col capo. Poi ci sarà Gotor che ribadirà quanto sia lunga la strada
(ogni tanto si crede Mao Tse Tung) e che la battaglia da combattere sarà la
prossima che così facendo non coglierà quale sarà l’ultima e se la perderà.
In tutti i sensi.. Un siparietto anche per Roberto Speranza che di penultimatum
in penultimatum neanche si renderà conto quando sarà il momento dell'ultimo. Sarà divertente
sentire Orfini che, leader della corrente d’opposizione dei Giovani Turchi, fa
anche il presidente del Pd oltre che il commissario ripulente di Roma. Probabilmente
tromboneggerà alla D’Alema, ne è stato pupillo, che al massimo gli varrà
qualche salvacondotto fino a che non si risolverà a diventare anche lui un renziano
organico. In quella maggioranza troverà tanti vecchi maestri, come Fassino e
Chiamparino giusto per dirne due. Non si sa se ci sarà D'Alema si dice che andrà a far visita ai Carmelitani Scalzi più vicini a lui per umiltà e contrizione. Per loro una flagellazione in più.
Alla kermesse di lunedì ci sarà anche Cuperlo che del dilemma morettiano
prenderà la scelta numero due: esserci senza farsi notare. Parleranno poi tutti
gli altri: Serracchiani che sapendo di non essere toscana deve ogni volta fare
atto di sottomissione, Scalfarotto che aspira a salir qualche altro gradino e
strumentalizza il suo esser strumentalizzato, Guerini a far la parte del leninista
e poi il resto del circo magico che sono tanti. Non cerchio, che sarebbero
pochi.
Il
finale è scontato come quello delle altre di direzioni nazionali che Renzi ha gestito:
si metteranno al voto le mozioni, la sua per caso si troverà ad avere la
maggioranza e lui reciterà uno dei suoi mantra: «rispetto il dissenso ma chiedo
lealtà» poi diventato «non chiedo obbedienza ma lealtà» fino al «non chiedo
lealtà ma responsabilità» E così li fregherà. Rima involontaria. E quindi anche questa volta se li sarà
mangiati con scarpe, cappello e tutto il resto.
Senza
contare, lo san bene quelli della minoranza, che se il governo dovesse cadere e
si andasse alle elezioni anticipate conquistare un posto in lista sarà ben
difficile e ancor più difficile sarebbe presentarsi agli elettori e soprattutto
avere i voti per tornare a scaldare quegli scranni. Per cui la «ditta», chissà
quale,forse quella individuale, tornerà a vincere. E Renzi si (ri)papperà la
minoranza