Per essere cattolici, cioè universali, bisogna saper
coprire tutti gli spazi. La Chiesa di Roma in questo è maestra ha cominciato a
farlo da subito: con i quattro evangelisti. E poi con Pietro e Paolo e con
Francesco e Ignazio. Oggi ci sono la giustizia di padre Dolan e la
sconfitta per l’umanità del cardinal Parolin.
Con la vittoria
in Irlanda dei sì al matrimonio gay rispuntano nella Chiesa le doppie o triple
o fors’anche le quadruple posizioni. Da una parte don Martin Dolan e dall’altra
il cardinal Parolin, Il buono e il cattivo. Il progressista e il conservatore Il
primo a dire che si sia sanata «una situazione di grave ingiustizia» mentre il secondo
in modo apocalittico parla di una «sconfitta dell’umanità» Come se la
burocrazia degli uomini fosse di interesse per il cielo. Ma con la Chiesa
questo e ben altro ancora, ci sta. Né potrebbe essere diversamente.
Il parroco,
Martin Dolan, che finalmente, dopo lungo travaglio, si dichiara omosessuale e
sono fatti suoi su come si relazioni con il voto di castità e il segretario di
Stato vaticano Pietro Parolin, che si presume sia etero e anche lui si gestirà a
modo suo il suo voto, viaggiamo sotto le stese bandiere e nella stessa
istituzione. E non è una contraddizione. Per lo meno in Vaticano.
Cosi come si
conviene ad ogni azienda (mica solo il Pd è una ditta) per stare nel mercato
con successo è necessario avere tanti prodotti quanti sono i target di
consumatori che si vogliono raggiungere. La Chiesa cattolica (καθολικός significa universale) si è
posta come obbiettivo primigenio di attirare a sé tutti gli uomini e le donne
di qualsiasi classe e censo sociale e di ogni parte del mondo. Obbiettivo
ambizioso, ma date le ascendenze vantate ci può pure stare.
Ora il punto è che gli abitanti dell’universo mondo non sono
tutti uguali. Non solo per usi, costumi, eventualmente latitudine e
longitudine, ma anche per senso del buon senso. Il colore della pelle qui non si cita solo
perché farlo è solo stupido. Anzi le maggiori differenze si trovano proprio tra
quelli che più stanno vicini e condividono praticamente tutto. Si prenda ad
esempio il gruppo dei giornalisti italici, dentro c’è di tutto. Dal sulfureo
Travaglio al cerchiobottista Battista, al ruvido Feltri, al fazioso Belpietro,
all’ecumenico Cazzullo, al disincantato Mieli. Va da sé che per tutti questi
una sola idea di Chiesa non può andare: bisogna segmentare target e offerta di prodotto.
Non che per la Chiesa questa sia una novità: lo fa da sempre. All’incirca da duemila anni e spiccioli.
Ha cominciato addirittura con i quattro che hanno scritto i
vangeli, segmentandoli per target: da quello esoterico di Giovanni a quello
aneddotico di Marco, a quello sociale di Luca, a quello continuista, con il senso
biblico,, di Matteo. E poi avanti con Pietro e Paolo: uno a far la parte del
buonista mentre l’altro quella del tecnocrate. Poi a salire nel tempo ci ha
riprovato con Francesco e Ignazio di Loyola fino ad arrivare ai giorni correnti
con il cardinal Romero e il cardinal
Bertone. Belle differenze.
Monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, sì
come si conviene ha tirato dalla papalina, con poca originalità, la posizione
mediana: «non arroccarsi ma neppure accettazione acritica» che ricopia il né
aderire né sabotare di socialista memoria. Di tutt’altra fatta la posizione
riportata dal Corsera di padre Brian O’Fearraigh:
«Il referendum è una questione civile non religiosa e lo Stato ha il dovere di
avere cura dei cittadini a prescindere dai loro orientamenti sessuali.» E che
ci vuole a buttare sul tavolo un po’ di buon senso?
Senza contare che si parte sempre da quel «chi sono io per
giudicare» pronunciato da papa Francesco mentre era in volo a qualche migliaio
di piedi dalla terra e perciò fisicamente oltre che idealmente più vicino al
suo sentimento.Insomma come dal giorno alla notte. Che se visto in sequenza
alla fine non fa contraddizione. Ed è soddisfatta
l’esigenza di ogni segmento di mercato basta non guardare la cosa unitariamente
ma solo a spicchi. E su questo la Chiesa ci gioca. Che lo sanno anche al di là
del Tevere che la vita è un gioco.