Ciò che possiamo licenziare

sabato 9 agosto 2014

La Cadillac Eldorado color verde acqua - 1#puntata



La vidi a circa cento metri di distanza: era bellissima. Rallentai per poterla guardare meglio e gustarmene tutta la bellezza. L'avevo sempre vista solo in fotografia ma dal vero una Cadillac Eldorado lascia senza fiato. Era di colore verde acqua e a giudicare dall'assenza delle pinne posteriori doveva essere degli inizi degli anni settanta. Era parcheggiata in un piccolo spiazzo della strada che da Cagliari porta a Chia, sul lato destro. Notai che i sedili e la capote erano color panna. Sembrava abbandonata, lì attorno non c'era anima viva. Purtroppo non potevo fermarmi, ero atteso da amici per un giro in barca e la cosa un poco mi dispiacque. Non è da tutti i giorni vedere una simile opera d'arte. Allontanandomi, diedi un'ultima occhiata dallo specchietto retrovisore alla vistosa griglia cromata anteriore. Gli americani l'avevano soprannominata “il sorriso del dollaro”.Quando arrivai dai miei amici raccontai di quella meraviglia ma non vollero credermi. Dissero che in Sardegna mai si era vista un'auto simile, passammo ai preparativi per la partenza e così me ne dimenticai. Il vento di giugno in quella zona è meraviglioso e noi avevamo una voglia matta di divertirci. Bordeggiando la costa doppiammo Capo Teulada, facemmo a gara con qualche barca, ignara di essere stata selezionata per la nostra specialissima coppa di Sardegna. Quasi sempre vincevamo noi. Un po' ci raccontavamo fesserie, tanto per ridere e un po' litigavamo, sempre per ridere e così giungemmo fino all'isola di sant'Antioco. Ci fermammo in una caletta dalle parti di Torre Cappai per il pranzo. Ci divertimmo come liceali che marinano la scuola. Come sanno fare solo gli uomini quando sono tra loro. Eravamo in cinque: due divorziati, un separato in casa, un convivente free, nel senso che le cose con il suo compagno erano altalenanti e quindi un po' ci conviveva e un po' no e quando era no stava a casa mia e poi c'ero io l'unico vero scapolo. Impenitente dicevano i pochi amici e le molte amiche. Spiegavo il fatto col non aver ancora trovato “quella giusta-giusta.”

Verso le diciotto eravamo di ritorno, per un po' aiutai gli altri a sistemare la barca ma avevo fretta di tornare in città. Ero riuscito a procurarmi un biglietto, terza fila centrale, per il teatro Lirico. Quella sera davano la prima del Don Carlos, versione cinque atti. Avevo giusto il tempo di tornare a casa per una doccia, mangiare due cucchiaiate di casu axeddu con un po' di pane pistoccu, vestirmi e correre al teatro.

Quando fui nei pressi di Nora la rividi. Anche questa volta rallentai e pensai che ero fortunato perché anche ora l'Eldorado era parcheggiata nel mio senso di marcia e questa non era l'unica differenza rispetto a qualche ora prima. Appoggiata alla portiera di sinistra con l'aria più annoiata del mondo c'era una donna. Man mano che mi avvicinavo avevo modo di osservarla meglio, la donna. Era alta, sopra la media, un enorme paio di occhiali, a nasconderle il viso quasi per intero i capelli castani, leggermente ramati, erano tirati sulla nuca e finivano in una lunga coda sciolta. Deve proprio avere una gran massa di capelli, pensai. Notai anche che aveva gambe molto lunghe. Indossava una camicia bianca, maniche arrotolate all'altezza dei gomiti, che era di foggia larga e le cadeva fuori dai pantaloni di colore giallo canarino, modello Capri, che si fermavano alla caviglia, una gran bella caviglia. Era bellissima.

Fermai la mia Duetto un paio di metri oltre la Cadillac, dallo specchietto retrovisore vidi che il mio
arrivo le era rimasto del tutto indifferente: non aveva neppure girato la testa per vedere se mi fossi fermato per lei. Era nella stessa posizione nella quale l'avevo vista pochi istanti prima. Sembrava indifferente al mondo. “Bella ed impenetrabile” fu il mio primo pensiero. Spensi il motore, aprii la portiera e scesi. Con studiata lentezza percorsi i pochi passi che ci separavano. Per lei proprio non esistevo. Quando le fui vicino le chiesi se potevo esserle di qualche aiuto. Finalmente girò il viso verso di me, mi osservò per qualche secondo, neanche avesse avuto l'intenzione di comprarmi e sebbene non potessi vedere i suoi occhi immaginai che il suo sguardo fosse di fuoco.Quando finalmente parlò disse: “Crede di riuscire a farla ripartire?” Non fece neppure il gesto di indicare l'auto, era scontato. Alla definizione di bella ed impenetrabile aggiunsi di poche parole e pragmatica e abituata al comando.

La guardai, cercando invano di infrangere la barriera di quegli occhiali e mi dissi che aveva proprio un bell'ovale, poi fissai l'auto e quindi ritornai su di lei. Lei rimase impassibile. Attendeva una risposta. Allora mossi leggermente il capo per farle intendere che avevo capito a cosa si riferisse e con il sorriso più disarmante del mio repertorio risposi: “Assolutamente no.”
La sua testa ritornò nella posizione iniziale e si mise a guardare qualcosa nell'altra parte della strada. E con questo, probabilmente, intendeva comunicarmi che la nostra conversazione era finita.
“Però posso provarci – aggiunsi - al massimo non partirà.”
Lei mi riguardò e questa volta abbozzò un sorriso. Aveva bei denti, regolari e bianchi e le sue labbra erano carnose. Aggiunsi alla lista delle caratteristiche, piazzandola tra i primi posti anche sense of humor.

Le chiesi di salire in auto, e di aprire il cofano motore, toccai qua e là a casaccio: prima le candele, poi quello che immaginavo fosse lo spinterogeno, aprii e richiusi i tappi dei serbatoi dell'acqua e dell'olio. Dopo ogni tentativo le chiedevo di mettere in moto, giusto per vedere l'effetto delle mie manovre. La risposta era sempre la stessa: l'avviamento girava a vuoto un paio di volte e poi lei toglieva il contatto.
Feci uscire la testa da dietro il cofano motore e dissi: “Ci vorrebbe un meccanico.”
Lei non rispose, scese dall'auto e quando mi fu accanto disse: “Pensiero originale. Altre idee simili?”
Avere una così in ufficio ti uccide, pensai mentre abbassavo il cofano. In un lampo ricordai che nella serata dell'indomani sarei tornato a Milano. Lunedì mi aspettava una giornataccia : il mercato era in crisi e la nostra società pure. I danesi cui apparteneva l'azienda di cui ero amministratore delegato mi stavano mandando un loro esperto per discutere la situazione. Fu un attimo. Scacciai subito il pensiero. Brutto.
“Se dico che la accompagno a destinazione supero l'esame di originalità?” chiesi.

(continua il 10/08/2014 - http://ilvicarioimperiale.blogspot.it/2014/08/la-cadillac-eldorado-color-verde-acqua_10.html)

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