«Eravamo
felici come due bambine che stanno per andare in vacanza » si sorrise Marcella
guardandosi nello specchietto retrovisore.
Boosah fu
puntuale all’appuntamento. A gesti spiegò che era meglio muoversi con il buio
piuttosto che di giorno. La Renault 4 fu sottoposta alle peggiori torture, le
tre donne con le macchine fotografiche stavano nel sedile anteriore, quello
posteriore era stato tolto per far posto a taniche di benzina, agli zaini ed ai
sacchi a pelo. Per precauzione avevano preso anche quattro ruote di scorta.
Viaggiarono per circa una settimana salendo e scendendo e risalendo e
riscendendo. Quindi finalmente all’alba del settimo giorno arrivarono all’imbocco
della valle. Tutto era silenzio. Boosah suggerì di nascondersi in una grotta.
L’auto fece un po’ di fatica ad inerpicarsi per quello stretto sentiero ma alla
fine ce la fecero.
Aveva
ragione Houshmand si dissero Ilenia e Marcella la valle era proprio un budello
senza uscita. Dalla loro postazione potevano vedere, senza essere visti, tutto
il villaggio, fino al monte con le pareti lisce come uno specchio. Videro le
donne andare alla fontana, gli uomini muoversi con calma e i
bambini
giocare a rincorrersi nelle strade. Tutto sembrava normale. Se non fosse stato
per la guerra lo si sarebbe scambiato per un posto di vacanza. Boosah
dissimulava appena la sua eccitazione.
Con l’arrivo
della notte si misero nuovamente in movimento. Percorsero tutto il sentiero a
marcia indietro poiché non fu possibile girare l’auto. Ci vollero quasi tre ore
per percorrere quattrocento metri di curve a gomito. A fari spenti entrarono
nel villaggio e Boosah indicò loro uno stretto vicolo ci si infilarono e lo
percorsero tutto. Era tortuoso e lunghissimo.
«Mi pare
che siamo vicini alla montagna.» disse Ilenia. Boosah assentì.
Continuarono
a girare fino a che Boosah fece cenno di fermarsi. Avevano percorso quasi
l’intero perimetro del villaggio e ora si trovavano in una stradina parallela
alla fontana con il muso dell’auto rivolto verso l’uscita della valle.
Scesero in
silenzio dall’auto, Boosah face capire loro che non dovevano portare le
macchine fotografiche e strisciarono lungo i muri. Marcella decise di lasciare
anche la pistola, sotto il sedile.
«Tanto –
pensò – mi perquisiranno e se la trovano me la portano via. Meglio non
rischiare.» C’era solo la luce della luna a rischiarare i loro passi. Boosah le
precedeva di cinque metri e si muoveva speditamente, non aveva più l’aria del
topino bagnato di quando era in casa di Houshmand. Finalmente una porta si aprì
e Boosah fece cenno alle due donne di entrare. La stanza non era molto grande,
nel centro un tavolino con una teiera, dei bicchierini, diversi piatti
contenenti dolci, frutta e alcune ciotole con yogurt e attorno qualche
sgabello. Il pavimento era ricoperto di tappeti. Alla parete di destra pendeva
una tenda che, appena le tre donne furono entrate e la porta fu chiusa, si
scostò e comparve Jahandar. La prima cosa che lui fece fu abbracciare Boosah,
sua sorella. Quindi invitò le due donne a sedersi, sapeva già perché erano lì.
Disse che non era abituato a farsi fotografare ma che l’avrebbe fatto se loro
si fossero impegnate a raccontare le ragioni della sua ribellione. Le due
fotografe accettarono e si accordarono per la mattina successiva. Jahandar
lasciò la casa mentre Boosah rimase.
Marcella e
Ilenia cominciarono a parlare su come impostare le fotografie e che tipo di
inquadrature proporre. Fecero fatica ad addormentarsi l’eccitazione era troppa,
ma alla fine crollarono.
Stava
cominciando ad albeggiare quando sentirono il primo colpo di mortaio e le urla
della gente e altri cinque, sei, dieci colpi. Un vero cannoneggiamento. Poi ci
fu silenzio per una decina di minuti.
Guardarono Boosah che non parve assolutamente smarrita fece loro cenno
di seguirla ma quando furono nel vicolo Ilenia decise di tornare all’automobile
per prendere le macchine fotografiche. Marcella cercava di trattenerla ma
Ilenia sembrava impazzita e urlava che voleva le sue macchine.
Contemporaneamente Boosah tirava Marcella per l’altro braccio nella direzione
opposta. Ilenia riuscì a divincolarsi e correva in senso contrario a tutti gli
altri del villaggio che andavano verso la montagna. Dai tetti di alcune case si cominciò a
rispondere al fuoco. La confusione era massima. Marcella vedeva Ileana
allontanarsi e non poteva lasciarla andare da sola. Si liberò con uno strattone
di Boosah e si mise a correre nella direzione presa da Ileana. Faticava a
starle dietro e il vestito pashtun che portava non l’aiutava di certo. Se ne liberò velocemente e riprese a correre.
L’auto non poteva essere lontana oramai. Quando la raggiunse Ileana non c’era.
Strano fosse arrivata lei per prima. Impossibile che l’avesse superata e non se
ne fosse accorta. Aprì la portiera di destra, si lanciò sotto il sedile e
afferrò la Beretta. Mise il colpo in canna e continuò ad avanzare. Superò
l’auto di una decina di metri, camminava con cautela stando leggermente
piegata. Oramai non c’era più nessuno che corresse in senso opposto al suo.
Sentì degli urli e riconobbe la voce di Ilenia. Svoltò un angolo e le parve
d’intendere che le voci venissero dalla casa che aveva di fronte. La porta era
aperta. Con cautela si avvicinò e guardò dentro: Ileana era a terra quattro
soldati la stavano picchiando con pugni e calci, uno la teneva per i capelli e
le scuoteva la testa così forte che delle ciocche gli rimanevano tra le dita
della mano e un’altro si preparava a violentarla. Marcella gridò e il suo urlo
per un istante bloccò ogni azione, gli uomini si voltarono verso la porta e lei fece fuoco a ripetizione fino a
scaricare completamente l’arma. I quattro caddero come fantocci. Poi Marcella
si avvicinò a Ileana che era in un lago di sangue, cercò di metterla in piedi
ma per Ileana era uno sforzo troppo grande. Allora se la caricò sulle spalle e
barcollando raggiunse la Renault 4. Riuscì a farcela entrare. Mise in moto e partì
facendo fischiare le gomme. Ileana si lamentava e piangeva. Marcella guidava
veloce e sfregava contro le pareti del vicolo. Un paio di volte nel fare gli
angoli dovette effettuare due o tre manovre poi finalmente entrò nella strada
principale. La situazione era surreale i soldati che incontrava erano
sbalorditi dal vedersi piombare addosso quella auto che procedeva a velocità
folle sbandando e zigzagando. Dopo quei pochi attimi di stupore si ripresero e
cominciarono a sparare. Le raffiche si susseguivano. Marcella sentiva le
pallottole rimbalzare sulla carrozzeria poi una fitta al fianco, istintivamente
si toccò e quando ritirò la mano scoprì che era insanguinata. Continuò a
correre fino a che il motore non rispose più alle sollecitazioni dell’acceleratore.
L’automobile proseguì per forza d’inerzia fino a quando si fermò in una curva
sul ciglio di uno strapiombo.
Solo in
quel momento Marcella guardò il suo fianco e vide il sangue che si stava
allargando sulla camicia e cominciava a raggiungere i pantaloni. Prese uno
straccio e iniziò a tamponare.
«Quante
fesserie abbiamo fatto» si disse Marcella ora che aveva ripercorso tutte le
tappe della storia.
Si volse
nuovamente verso Ilenia, era immobile e sembrava non respirare. Con fatica
Marcella allungò il braccio destro per toccarle l’aorta, Quando la trovò
sentiva che non pulsava. Provò a scuoterla gridando il suo nome ma Ilenia non
rispose . Era morta.
Il suo
sguardo passò nuovamente sullo specchietto retrovisore e le parve di vedere
qualcosa muoversi in fondo alla strada, provò nuovamente a mettere in moto e
solo allora si accorse che una spia segnava rosso. Non c’era più benzina. Forse
un colpo aveva centrato il serbatoio.
Aprì la
portiera, voleva scendere e prendere una tanica dal sedile posteriore. Le piacque
sentire la pioggia sul viso e sorrise guardando in alto. Nel movimento la
pistola cadde per terra.
«Non
importa, la raccoglierò dopo.» si disse.
Poi guardò
verso il fondo della via, dei soldati stavano avanzando verso di lei con i
mitra spianati. Si gettò bocconi a terra e a tentoni con la mano destra
raggiunse la pistola. Sentiva che la ferita aveva ripreso a sanguinare. Sparò
qualche colpo e quelli risposero con raffiche di mitra.
Smise di
sparare.
«Non
voglio morire come Ilenia.» si disse
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