Con le due mani continuava a premere e a tamponare ma il sangue sembrava non
darsene per inteso e seguitava a sgorgare anche se con meno intensità rispetto
a prima. La camicia ed i pantaloni ne erano zuppi, come anche quello straccio
che ci teneva sopra. Un rigagnolo si stava facendo strada anche sulla parte
interna del pantalone e con una certa
pigrizia dalla coscia si dirigeva verso
il fondo. Ancora non ci era arrivato ma si capiva che quello era il suo
obbiettivo. Fa uno strano effetto osservare il proprio sangue che si allarga
sui vestiti come una macchia d’inchiostro sulla pagina. Già, come l’inchiostro
sulla pagina. E sulle dita.
«Una volta tornavo a casa con le dita sporche
d’inchiostro e adesso invece sono sporche di sangue e non so se questa volta
riuscirò a tornare a casa, - pensò Marcella. - Buffo che in questa dannata
situazione, a oltre seimila chilometri da casa, mi venga di ricordare i tempi
della scuola elementare e di quando la maestra Elena volle che imparassimo a
scrivere usando la cannuccia e i pennini. Non che i computer le fossero
antipatici è che voleva fossimo padroni di noi stessi. ‘Che farete il giorno in
cui dovrete scrivere un biglietto e sarete senza computer?’ diceva. Sì cara
maestra Elena, che faremo quel giorno? Per molti fu un’impresa riuscire a
trovare la boccetta dell’inchiostro e tutto il resto. Ricordo che le madri
delle mie compagne di classe dovettero scapicollarsi per tutta la valle prima
di trovare un cartolaio che ancora tenesse quegli strani aggeggi. Era vecchio
dissero e il suo negozio odorava di antico e di muffa Noi no. Noi non dovemmo
correre da nessuna parte perché mia madre aveva conservato le sue cose di
quando andava a scuola. Le teneva in una valigia di cartone in soffitta. Lì
dentro c’era un mondo. Un mondo che adesso non c’è più. Come scese dalla
soffitta andò sul balcone e con uno straccio ripulì la valigia dalla polvere
poi la depose sul grande tavolo della cucina e ne fece scattare le due
serrature. Clack, clak. Lo stesso suono
di quando si inserisce il caricatore in una pistola come la Beretta M9. Buffo,
vero? Lo stesso rumore per due oggetti
tanto diversi. Per due atti tanto diversi. Nello stesso momento in cui mamma
sollevò il coperchio si sparse per la cucina un delicato profumo di lavanda.
Seppi così che tutti gli anni mamma dava una rinfrescata alla sua vita di
bambina. Anche a me piacerebbe dare una rinfrescata alla mia vita di tanto in
tanto, ma non ci riesco. Mai. Magari la prossima volta»
Marcella
interruppe i suoi pensieri e tornò a fissare il suo fianco, sembrava che il
sangue si fosse fermato. Si voltò a guardare Ilenia, la sua assistente. Ilenia era sul sedile di destra con le gambe
allungate per quel tanto di spazio che la Renault 4 le concedeva, le spalle
allo schienale, la testa tutta girata verso destra e uno spicchio della fronte
appoggiato al finestrino. Aveva le braccia incrociate sul petto a trattenere i
baveri del giaccone militare che Marcella le aveva buttato addosso per tenerla
al caldo almeno un po’, quasi fosse una coperta. Le sue mani era pallide e le
sue dita parevano artigli rinsecchiti, neanche le unghie erano rosate.
«Sembra
che stia dormendo. O magari è nuovamente svenuta. – si disse Marcella e tornò a
pensare al giorno in cui sua madre aprì la valigia delle meraviglie - In cima a
tutto c’erano il grembiule bianco, il fiocco rosa, sarà stato lungo quasi un
metro e il colletto di celluloide. Non avevo mai visto un colletto di
celluloide. Era la cosa che mi affascinò di più. E poi più sotto una cartella
di pelle, era screpolata in più punti, aveva una chiusura centrale e ai lati di
questa due piccole cinghie che finivano in altrettante fibbie. Dalla cartella
uscirono diversi quaderni e una scatoletta rettangolare di legno. Ne fece
scorrere il coperchio e disse ‘Questo era il nostro astuccio’ Era diviso in due
scomparti: in quello di destra stava la cannuccia con alcuni pennini e uno
straccetto di pannolenci di colore verde mentre in quell’altro un paio di lapis
e una gomma rotonda per metà colorata di rosso e per metà di blu. Mamma mi
spiegò che con la parte rossa, morbida, si cancellava la matita mentre con
quella blu, più dura e ruvida, si cancellava l’inchiostro. Vorrei averla adesso
quella gomma e cancellare gli ultimi due giorni.»
Sentì che
Ilenia si stava muovendo, lo faceva lentamente, sempre più lentamente, pareva
che dondolasse sul bacino per trovare la posizione migliore. Marcella tornò a
girare la testa verso la compagna.
«Piove
ancora?» chiese in un soffio Ilenia.
«Sì piove
ancora.» rispose Marcella ed osservava le tumefazioni sul viso di lei. L’occhio
di destra era ridotto ad una fessura mentre quello di sinistra era
completamente chiuso e gonfio, così gonfio che non si riusciva a distinguere lo
zigomo, il naso era rotto e c’era del sangue rappreso sotto la narice di
sinistra. Più che un volto a Marcella pareva di osservare la tavolozza di un
pittore pazzo che avesse mischiato con cattiveria tutti i colori: blu, rosso
viola, marrone, giallo, verde e nero. La fronte si era fatta più spaziosa: le
avevano strappato i capelli a ciocche. Avrebbe voluto accarezzarla ma temeva di
procurarle altro dolore e quindi se ne ristette.
«Ci siamo
cacciate proprio in un bel casino. - pensò Marcella - Chissà come ne usciremo»
«Strano - bisbigliò con un filo di voce Ilenia - non
sento il rumore delle gocce.» Parlava di
traverso quasi senza aprire le labbra che erano tumefatte.
«Piove
piano.» rispose Marcella
«Ho freddo
.» disse ancora Ilenia
«Sì fa
freddo.» confermò Marcella
«Marcy,
accendi il riscaldamento – disse Ilenia, poi fece passare qualche istante e
aggiunse – per favore.» Quindi ebbe un forte tremito che la scosse tutta e
parve rilassarsi.
«Il maledetto
riscaldamento non funziona. Non funziona un accidente in questo schifo – disse
sottovoce Marcella poi aggiunse con un tono di voce più alto - Hai sete? Vuoi
un po’ d’acqua?»
Ilenia non
rispose. Sembrava essersi appisolata. Alternava brevi momenti di veglia a
lunghi periodi di sonno. O di assenza. Forse era svenuta di nuovo. Marcella
portò la sua mano destra a pochi centimetri dalla bocca di Ilenia e fu felice
di sentire che respirava ancora.
«Finché
c’è vita c’è speranza.» si disse e ghignò.
Questa non
era la prima guerra nella quale si andavano a cacciare ma forse era la più
terribile.
«Vero – si
disse Marcella - ma sempre la guerra nella quale ci si trova sembra più
terribile delle altre, di quelle passate. Già. – e dondolò la testa come per
assentire a sé stessa – Forse quelle di prima sono meno terribili solo per il
fatto di essere passate e di averla scampata. Per questo assumono un aspetto
diverso, più carino, quasi romantico.» (continua, 2#puntata il 15 agosto)
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