Ciò che possiamo licenziare

giovedì 14 agosto 2014

Non doveva finire così - 1#puntata

«Non doveva finire così» si disse Marcella mentre guardava il suo fianco sinistro. 
Con le due mani continuava a premere e a tamponare ma il sangue sembrava non darsene per inteso e seguitava a sgorgare anche se con meno intensità rispetto a prima. La camicia ed i pantaloni ne erano zuppi, come anche quello straccio che ci teneva sopra. Un rigagnolo si stava facendo strada anche sulla parte interna del pantalone  e con una certa pigrizia dalla coscia si dirigeva  verso il fondo. Ancora non ci era arrivato ma si capiva che quello era il suo obbiettivo. Fa uno strano effetto osservare il proprio sangue che si allarga sui vestiti come una macchia d’inchiostro sulla pagina. Già, come l’inchiostro sulla pagina. E sulle dita.
 «Una volta tornavo a casa con le dita sporche d’inchiostro e adesso invece sono sporche di sangue e non so se questa volta riuscirò a tornare a casa, - pensò Marcella. - Buffo che in questa dannata situazione, a oltre seimila chilometri da casa, mi venga di ricordare i tempi della scuola elementare e di quando la maestra Elena volle che imparassimo a scrivere usando la cannuccia e i pennini. Non che i computer le fossero antipatici è che voleva fossimo padroni di noi stessi. ‘Che farete il giorno in cui dovrete scrivere un biglietto e sarete senza computer?’ diceva. Sì cara maestra Elena, che faremo quel giorno? Per molti fu un’impresa riuscire a trovare la boccetta dell’inchiostro e tutto il resto. Ricordo che le madri delle mie compagne di classe dovettero scapicollarsi per tutta la valle prima di trovare un cartolaio che ancora tenesse quegli strani aggeggi. Era vecchio dissero e il suo negozio odorava di antico e di muffa Noi no. Noi non dovemmo correre da nessuna parte perché mia madre aveva conservato le sue cose di quando andava a scuola. Le teneva in una valigia di cartone in soffitta. Lì dentro c’era un mondo. Un mondo che adesso non c’è più. Come scese dalla soffitta andò sul balcone e con uno straccio ripulì la valigia dalla polvere poi la depose sul grande tavolo della cucina e ne fece scattare le due serrature. Clack, clak.  Lo stesso suono di quando si inserisce il caricatore in una pistola come la Beretta M9. Buffo, vero?  Lo stesso rumore per due oggetti tanto diversi. Per due atti tanto diversi. Nello stesso momento in cui mamma sollevò il coperchio si sparse per la cucina un delicato profumo di lavanda. Seppi così che tutti gli anni mamma dava una rinfrescata alla sua vita di bambina. Anche a me piacerebbe dare una rinfrescata alla mia vita di tanto in tanto, ma non ci riesco. Mai. Magari la prossima volta»
Marcella interruppe i suoi pensieri e tornò a fissare il suo fianco, sembrava che il sangue si fosse fermato. Si voltò a guardare Ilenia, la sua assistente.  Ilenia era sul sedile di destra con le gambe allungate per quel tanto di spazio che la Renault 4 le concedeva, le spalle allo schienale, la testa tutta girata verso destra e uno spicchio della fronte appoggiato al finestrino. Aveva le braccia incrociate sul petto a trattenere i baveri del giaccone militare che Marcella le aveva buttato addosso per tenerla al caldo almeno un po’, quasi fosse una coperta. Le sue mani era pallide e le sue dita parevano artigli rinsecchiti, neanche le unghie erano rosate.
«Sembra che stia dormendo. O magari è nuovamente svenuta. – si disse Marcella e tornò a pensare al giorno in cui sua madre aprì la valigia delle meraviglie - In cima a tutto c’erano il grembiule bianco, il fiocco rosa, sarà stato lungo quasi un metro e il colletto di celluloide. Non avevo mai visto un colletto di celluloide. Era la cosa che mi affascinò di più. E poi più sotto una cartella di pelle, era screpolata in più punti, aveva una chiusura centrale e ai lati di questa due piccole cinghie che finivano in altrettante fibbie. Dalla cartella uscirono diversi quaderni e una scatoletta rettangolare di legno. Ne fece scorrere il coperchio e disse ‘Questo era il nostro astuccio’ Era diviso in due scomparti: in quello di destra stava la cannuccia con alcuni pennini e uno straccetto di pannolenci di colore verde mentre in quell’altro un paio di lapis e una gomma rotonda per metà colorata di rosso e per metà di blu. Mamma mi spiegò che con la parte rossa, morbida, si cancellava la matita mentre con quella blu, più dura e ruvida, si cancellava l’inchiostro. Vorrei averla adesso quella gomma e cancellare gli ultimi due giorni.»
Sentì che Ilenia si stava muovendo, lo faceva lentamente, sempre più lentamente, pareva che dondolasse sul bacino per trovare la posizione migliore. Marcella tornò a girare la testa verso la compagna.
«Piove ancora?» chiese in un soffio Ilenia.
«Sì piove ancora.» rispose Marcella ed osservava le tumefazioni sul viso di lei. L’occhio di destra era ridotto ad una fessura mentre quello di sinistra era completamente chiuso e gonfio, così gonfio che non si riusciva a distinguere lo zigomo, il naso era rotto e c’era del sangue rappreso sotto la narice di sinistra. Più che un volto a Marcella pareva di osservare la tavolozza di un pittore pazzo che avesse mischiato con cattiveria tutti i colori: blu, rosso viola, marrone, giallo, verde e nero. La fronte si era fatta più spaziosa: le avevano strappato i capelli a ciocche. Avrebbe voluto accarezzarla ma temeva di procurarle altro dolore e quindi se ne ristette.
«Ci siamo cacciate proprio in un bel casino. - pensò Marcella -  Chissà come ne usciremo»
«Strano  - bisbigliò con un filo di voce Ilenia - non sento il rumore delle gocce.»  Parlava di traverso quasi senza aprire le labbra che erano tumefatte.
«Piove piano.» rispose Marcella
«Ho freddo .» disse ancora Ilenia
«Sì fa freddo.» confermò Marcella
«Marcy, accendi il riscaldamento – disse Ilenia, poi fece passare qualche istante e aggiunse – per favore.» Quindi ebbe un forte tremito che la scosse tutta e parve rilassarsi.
«Il maledetto riscaldamento non funziona. Non funziona un accidente in questo schifo – disse sottovoce Marcella poi aggiunse con un tono di voce più alto - Hai sete? Vuoi un po’ d’acqua?»
Ilenia non rispose. Sembrava essersi appisolata. Alternava brevi momenti di veglia a lunghi periodi di sonno. O di assenza. Forse era svenuta di nuovo. Marcella portò la sua mano destra a pochi centimetri dalla bocca di Ilenia e fu felice di sentire che respirava ancora.
«Finché c’è vita c’è speranza.» si disse e ghignò.
Questa non era la prima guerra nella quale si andavano a cacciare ma forse era la più terribile.


«Vero – si disse Marcella - ma sempre la guerra nella quale ci si trova sembra più terribile delle altre, di quelle passate. Già. – e dondolò la testa come per assentire a sé stessa – Forse quelle di prima sono meno terribili solo per il fatto di essere passate e di averla scampata. Per questo assumono un aspetto diverso, più carino, quasi romantico.» (continua, 2#puntata il 15 agosto)

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