All’inizio della settimana muore il Fede Emilio alla fine Armani Giorgio nel mezzo le riflessioni del Prodi Romano sul mondo e quelle sensate di Giuseppe De Rita.
Il 2 settembre corrente anno il Fede Emilio è morto a 94 anni (non sono pochi) in una residenza per anziani in quel di Segrate, guarda il caso. Il 3 settembre il solito florilegio di coccodrilli, probabilmente pronti da anni. I soprannomi affibbiatigli hanno scandito la sua carriera: ammogliato speciale, genero di prima necessità, sciupone l’africano, Emilio Fido… Tanto per ricordare i più facili. Qui casca a pennello il tormentone di Peppino De Filippo «e ho detto tutto». Poco gli esegeti si sono soffermati sulle vergogne vere. Al primo posto la diretta di Vermicino del 12 e 13 giugno1981 dove il dolore e la morte vennero, per la prima volta in Italia, resi spettacolo e gettati in pasto alle fauci della ggggente. Per quei giorni se ne è saziata, ma l’appetito vien mangiando, si sa. Probabilmente, mutatis mutandis, il Fede Emilio si sentiva nei panni di Kirk Douglas, il giornalista di L’asso nella manica, 1951, regista Billy Wilder. Però quanto scorreva sui teleschermi non era finzione ma tragedia vera. Peraltro il protagonista del film non è finito bene e neanche il Fede Emilio. Poi la sommatoria delle condanne: per favoreggiamento della prostituzione (4 anni e 7 mesi) e associazione per delinquere finalizzata alla diffamazione (2 anni) per un totale di 6 anni e 7 mesi. Di processi ne ebbe altri e ne uscì assolto. Comunque non fu scontato un solo giorno di carcere e nemmeno in affidamento ai servizi sociale. Infine la colpa più grave, quella spiattellante la bassezza morale dell’uomo: aver cambiato la squadra di calcio passando da tifoso della Juventus a supporter sfegatato del Milan. Questo nel mondo del calcio è parificato al ripudio della mamma. Una vergogna. Il Fede Emilio si giustificò parlando di amore per Berlusconi. De gustibus. Il 4 corrente mese il giornalismo tutto, e non solo, di questa scomparsa se ne era già fatta una ragione.
Dopo l’intervento sul nulla del Draghi Mario al meeting di Comunione e Liberazione il Prodi Romano, per non essere da meno, ha voluto pareggiare i conti e dunque ha scritto un pezzo per Il Messaggero, il 4 settembre. Nell’articolo,vacuo oltre il giusto, il Prodi Romano raccomanda all’Europa tutta di non fossilizzarsi a voler vendere prodotti solamente agli USA, esiste anche il resto del mondo. Bella pensata. E dunque racconta di guardare a est, all’Asia, alla Cina. Dimentica l’Africa dove peraltro ci sono tanti ricchissimi e il ceto medio si sta formando e allargando. E poi c’è anche il sud America. Ma il Prodi Romano conosce solo la Cina infatti nel 2011, anticipando il Renzi Matteo e il D’Alema Massimo, dilettanti allo sbaraglio, fu consulente del governo cinese e di China Development Bank cui verosimilmente, da buon samaritano, spiegò come approcciare l’Europa. Illuminante l’articolo del Sole 24 pubblicato il 14 settembre 2011. Magari raccontando le sue esperienze di due volte Presidente del Consiglio italiano e per cinque anni (1999-2004) Presidente della Commissione europea, nonché come sia riuscito a distruggere l’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale). I dirigenti cinesi avranno preso buona nota di indirizzi e numeri di telefono. Certo se il buon samaritano avesse riportato alla vecchia Europa notizie dall’Est, se ne avesse avute, forse non ci si troverebbe nell’attuale penosa situazione. Ma ai samaritani non si può chiedere tutto.
Mentre il duo del vuoto assoluto
stava preparando le loro perfomance,
più quietamente il fondatore del Censis, Giuaseppe De Rita, rilasciava il 31
agosto una illuminante intervista. In questa sottolineava: “Il Paese va avanti
alla cieca, infatti la premier cavalca questa aurea mediocritas”. Gli
intellettuali dovrebbero indicare la via poiché i profeti non ci sono più, non
li ha neanche la Chiesa. Sull’egemonia i paletti sono pochi e solidissimi: il puntare della destra all’egemonia è una
pretesa ridicola, come esercitarla nominando sovrintendenti graditi al governo. «L’egemonia non si afferma con il potere,
ma attraverso un lungo lavoro di cultura, e di dialogo vero con la gente». Sui
tre anni di governo Meloni;«Ha espresso una grande furbizia: cavalca l’onda. Non
si può chiederle di avere una visione, non ce l’ha neppure la sua classe
dirigente». E dunque? «Non basta indignarsi, ci vogliono azioni concrete». In
altre parole o noi ci diamo da fare o faremo la fine del Titanic: balliamo
mentre affondiamo. E gli imprenditori, letto in controluce, non l’hanno capito.
Alla fine della settimana, 4 settembre, è
mancato l’Armani Giorgio. Un grande artista dell’abbigliamento, circa tredici miliardi
di fatturato e un patrimonio personale di sette. Non male. Anche in questo caso
coccodrilli a iosa, necrologi da tutto il mondo comprese le grandi banche d’affari
statunitensi. Non c’è che dire un personaggio di rilevanza mondiale. Qualcuno l’ha
definito il fondatore del Made in Italy.
Dai commentatori è mancato solo il più classico del santo subito. I conti però si fanno sistemando l’avere e il dare
e nel dare qualcosa non funziona. Come quando, maggio 2024, la Giorgio Armani Operation
è stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria: da sette anni agevolava il
caporalato: «Lavoro nero da fame». Oppure, ed è recentissima 1 agosto 2025, la
multa di 3,5 milioni comminata dall’Antitrust per pratica commerciale
scorretta. E poiché l’Armani Giorgio seguiva tutto queste due bagatelle di ieri e dell’altro ieri
doveva conoscerle. Sempre, quando i bilanci sono esageratamente positivi, è
necessario chiedersi il perché.
Buona settimana e Buona fortuna.