Il Corriere della Sera regala a Massimo d’Alema una
pagina per piagnucolarsi addosso. Gli fa da spalla Aldo Cazzullo. Si spazia dai
viaggi in Arabia Saudita alla tomella (espressione bolognese) sull’arroganza e
sulla rottura sentimentale tra partito ed elettori
Tra i
giochi individuali, nel senso di uno contro uno, quando l’avversario manifesta
una superiorità soverchiante, c’è l’opzione dell’abbandono. Se il vocabolo
suscita orticaria, per chissà quali ancestrali pulsioni, lo si può sostituire
con ritiro. Succede nel pugilato, con il lancio della spugna, negli scacchi,
facendo cadere il re, nel judo battendo la mano sul tatami e anche nel ciclismo,
scendendo dalla bicicletta. Accade qualche volta anche in politica, ma solo all’estero.
Si dirà che la politica non è un gioco, beata ingenuità: cos’altro è?
Qui da
noi anche lo sconfitto più sconfitto, tipo D’Alema per l’appunto, continua
tignosamente la sua battaglia sperando in chissà quale colpo di ventura che
possa ribaltare la situazione. Poiché la sconfitta non la si attribuisce ai
propri errori ma «al destino cinico e baro».
Come dire non voler considerare il contesto e le cause che l’hanno
generata. Cioè la metafisica diventata realtà. L’intervista che Massimo D’Alema,
con generosità gratuita, ha concesso ad Aldo Cazzullo ne è chiarissimo esempio.
Al solito, con così tanto intervistato, la questione è stucchevolmente centrata
sull’arroganza, sul modo spiccio di fare di Renzi e poi sui numeri che lasciano
il tempo che trovano e sulla rottura sentimentale con gli elettori. Quest’ultima
è nuova. Pochino pochino sulle sue scelte politiche. Dato che non è facile
smentire platealmente quello che si sarebbe voluto fare e non si è fatto.
Dimentica
il D’Alema che quando Renzi nel 2012 girava per le Case del Popolo se voleva un
applauso facile facile bastava lo citasse e aggiungesse: «lo rottamo». Subito l’entusiasmo
popolare saliva alle stelle. Che tradotto anche per non fini politici significa
che il sé-dicente lìdermassimo aveva
fatto il suo tempo e che anzi lui e gli altri come lui erano stati la vera causa
del fenomeno Renzi. Diciamo. Il cosiddetto popolo del Pd dei vecchi politici e
del loro modo di giocare la partita ne aveva le tasche piene per cui si provava
a scommettere su un giovanotto che prometteva di buttarli fuori. Quella volta
gli andò male, ma per quasi poco: perse contro Bersani per 60 a 40. Ovviamente
per cento. Il fiorentino attese con
pazienza e al secondo tentativo, quello per la segreteria del partito, fece
bingo a scapito di quanto disse il D’Alema: «sono sempre stati eletti segretari
quelli che io ho appoggiato.» Profezia sbagliata C’era da chiedersi il perché
ma il D’Alema non lo fece e anzi con fare saccente cercò di ammaestrare il pupo.
Altro errore
L’attacco
dell’intervista è decisamente dalemiano: «Sono appena tornato dall’Arabia
Saudita e sono rimasto colpito dalla
percezione terribile dell’Europa.» Se lo dicesse un marziano ci sarebbe da
credergli ma da uno che è partito l’altro ieri da Roma e che ha volato solo per
qualche ora è l’ennesima dimostrazione di spocchia doppiata da un «Mi occupo di
politica internazionale» che è come dire faccio cose e vedo gente. Insomma si
direbbe il solito D’Alema se, dopo un fugace passaggio sui numeri di voti persi
e guadagnati, non attaccasse una tomella (espressione bolognese che sta
per piagnisteo proungato e noioso) sull’arroganza e sul vittimismo: «Io coperto di insulti.Per ordine dall'alto è iniziato contro di me un linciaggiodi tipo staliniano.»
Ammette
di aver avuto modi sprezzanti (anche questa intervista lo è e neanche tanto tra
le righe) e aggiunge: «Posso essere stato spigoloso,non sono cattivo né
vendicativo» E porta ad esempi i casi di Veltroni e Prodi che sostenne per le
posizioni di vicepresidente del consiglio e commissario europeo. Dimentica però
di dire che lo fece per liberarsi della loro ingombrante presenza: promoveatur ut amoveatur. Certamente mentre si autogiustifica piagnucolosamente
dimentica anche quel simpatico siparietto che ebbe, nell'ottobre del 2012 con Giacchetti, suo
segretario d’aula: «Ma è vero che tu stai con Renzi?» chiese «Sì è vero, sto
con Renzi», gli rispose Giachetti «Allora da questo momento non ti rivolgerò
più la parola» lo gelò D’Alema. E lo fece. Il che non vuol dire né essere
cattivo, né vendicativo e neppure stalinista. Visto che a proposito di Renzi è
saltato fuori anche il compagno Stalin. Con ciò dimenticando che lo stalinismo
è anche un metodo, magari sgradevole, di governo, Che tutti, o quasi, quelli
che gestiscono potere usano. E a ben vedere anche papa Francesco in certi suoi atteggiamenti
ha un che di stalinista. Niente di grave. Normale amministrazione. Ci sta.
Infine gli
ultimi due capoversi: i collaboratori fedifraghi e il cuore del popolo di
sinistra.
Sui primi
ha un moto di quasi assoluzione: «appartiene al metodo staliniano (e dai ndr) far attaccare
i reprobi dai vecchi amici e dai familiari.» Come se i vecchi amici non se la
fossero data a gambe dal suo gruppo per saltare sul carro del vincitore. Anzi
sono stati anche loro e forse soprattutto loro a fare di Renzi il vincente.
Che, è bene ricordarlo in Parlamento di veri renziani all’inizio ce ne erano pochini
(avendo composte le liste Bersani) e se adesso se ne conta la maggioranza il
merito non è del fiorentino ma delle folgorazioni avvenute sulla strada delle
prossime liste elettorali. E poi questo è il Paese dei tengo-famiglia. Fa quindi venire un certo qual luccicor d’occhi leggere
che tra partito ed elettori «è avvenuta una cosa più grave di una rottura politica:
una rottura sentimentale.» Che sentir D’Alema parlare di sentimento (pubblico e
politico ça va sans dire) è come
immaginarsi il lupo di Cappuccetto Rosso dichiararsi vegetariano. Nessuno dei
due sa esattamente di cosa si sta parlando.
Una antica canzone napoletana celebre, cantata dall’ allora Mario Merola,”O’ Zappatore”. Che in un brano afferma: “ sè persa Casa Patria e Onore, O zappatore, nù sa scorda a mamma!” sembrerebbe azzeccata sta canzone. Ma rimanendo nel basso, tutti capi dei Partiti esistenti in Italia di cui continuano ad auto incaprettarsi da soli, a tenere in catene la crescita e lo sviluppo sé…..applicassero pienamente l’intera Costituzione italiana, in particolare l’articolo 53 della Cost. prima che sia troppo tardi per loro e per tutti. Svegliatevi, ascoltate le vostre coscienze,come fece Paolo sulla strada di Damasco. Applicate la Costituzione.
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