In un Paese normale prima si sistemano le piccole cose di tutti i giorni poi ci si dedica alle grandi. Succede anche in famiglia. Nelle famiglie normali, ovviamente. E questo anche se non tutte conoscono il detto latino primum vivere deinde philosophari. Il che tradotto (liberamente ma poi neanche tanto) diventa “prima darsi da fare per sbarcare il lunario e poi pensare al superfluo e magari lanciarsi in progetti arditi. I soloni che affollano tutte le assemblee elettive di cui si è dotato questo disgraziato Paese, anche se non sempre ragionevolmente pagati dato che qualcuno ha avuto bisogno dei fondi pubblici per comprarsi le mutande o andare al ristorante o dotarsi di un'utilitaria, una volta assisi su quegli alti scranni non vedono più i piccoli torrenti o i fiumi ormai interrati ma solo grandi opere. E così mentre si procede di grande in grande, che le opere saranno anche grandi come imponenza e costi e magari pure come tangenti, il Mose ed Expo docent, ma quanto ad occupazione pochina pochina, si affoga in un bicchier d'acqua.
È il caso del Seveso, fiume d'una certa dignità, 52 chilometri di lunghezza di origini comasche, che però si inabissa appena entra a Milano, tanto per dirne uno. Negli ultimi trenta o quarant'anni ad ogni pioggia seria detto fiume esonda, fa saltare i tombini e invade strade, negozi e cantine nel quartiere di Niguarda causando, di solito, ingenti danni. Nell'ordine dei milioni, c'è chi dice addirittura 50 per quest'ultima volta. Ovviamente metter mano al Seveso non è un'opera che faccia curriculum e tanto meno finisca sui giornali per cui si attende che spiova e che l'acqua lentamente defluisca. In fondo non piove tutti i giorni. E quando non piove la si è scampata bella.
Il
Seveso e Milano sono solo uno dei millanta esempi che il Belpaese può
mettere in campo con periodicità svizzera. Che la parola chiave è
proprio periodicità, nel senso che non ce ne si fa mai scappare
l'occasione. Solo ieri c'è stata l'allagamento di Varese e zone
limitrofe, danni ancora da calcolare. Ma hanno avuto gli onori della
cronaca anche i territori di Genova, Belluno, Villar Pellice,
Vicenza, Udine, Imperia, Savona, Modena, Livorno, Firenze, Pisa,
Carrara, Grosseto, Val di Vara, Cinque Terre, Lunigiana, per
dirne solo di alcuni del civile ed efficiente nord. Poi c'è il
centro-sud con Sinigallia, Orvieto, e
l'esondazione
dei fiumi Vomano, Tronto, Ete, Chienti, Fiastra, Esino, Misa e
altri corsi d'acqua che son detti minori ma hanno interessato gran
parte delle Marche, del teramano e della Romagna e poi Ginosa,
Metaponto, Bernalda, Ischia e Soverato. Nelle isole si va a nozze e
valgano per tutti i casi di Olbia, Nuoro,
Uras,
Bitti, Onanì, Torpè e alcune zone della provincia
dell'Ogliastra,e
del medio
Campidano in Sardegna e quelli siciliani di Barcellona Pozzo di
Gotto, Merì e Saponara.
Che, in realtà, più che mettersi a far l' elenco dei territori si
farebbe prima a dire: tutti.
La
colpa, ovviamente, è sempre delle intensei precipitazioni atmosferiche e mai della
improvvida incapacità progettuale o della cattiva manutenzione. Per
cui il teorema è: se piove tanto c'è l'allagamento. Cvd (come
volevasi dimostrare). Tanto è che qualche volta si pensa che non sia lo stivale la vera forma della
nazione ma un più tranquillo e rassicurante scolapasta. Che forse è
più nelle corde del Paese. C'è da dire, come aneddoto storico, che il primo scolapasta di cui si ha notizia è del 1363 ed era usato
nelle galee della Repubblica di Genova. Quindi si è in tema.
A
fare il conto dei danni che tante simili catastrofi hanno portato
probabilmente i 35 miliardi della tav impallidirebbero. Certo tante
piccole cose non impattano come una grande ma d'altra parte non di
sola comunicazione vive una nazione. E poi, sempre pensando al primum
vivere deinde philosophari, assai
spesso la manutenzione crea più occupazione, di più lunga durata ed
è economicamente vantaggiosa. Ma per capirlo bisogna avere l'acqua
in salotto e che arrivi almeno a bagnare le caviglie.
Dopo
tutto vale sempre la metafora che: chi non sa montare una canadese di
solito progetta cattedrali. Che tanto sono sempre di là da venire.
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