Sono come i giorni che corrono
prima degli esami. L'adrenalina scorre a
fiumi e l'eccitazione è massima. I cuori battono all'impazzata e di
tanto in tanto vengono i sudori freddi. Sembra un torneo di calcetto.
E c'è chi perde le staffe.
In attesa del d-day si
gioca e si scherza come ai tempi del liceo. O, se si vuole parere più
maturi, come a quelli dell'università. Prima della tesi. Talvolta
ripercorrendo a mente tutto il programma si pensa «acc...,
questa non la so.»
Panico. Ma poi ci si ripiglia,subito dopo perché sale dal profondo
anche la domanda “che si sa.” Di solito quella più facile. Cuor
contento il ciel l'aiuta.
I giorni scorrono lenti e
frenetici al tempo stesso. La questione di fondo resta: “dove
vanno a finire i voti degli alti tre?”
Gli incontri clou sono
già programmati:
Bersani-Puppato, Renzi-Tabacci, Bersani-Tabacci,
Renzi-Puppato. Già, perché a guardarla bene più che l'agenda di
una settimana politica sembra il calendario dei play-off di un torneo
di calcetto. Dando seguito alla semantica di un tifoso obnubilato che
definì il coinvolgimento in politica con “discesa in campo.”
Dimostrando anche in questo scarsa
competenza.
Gli spogliatoi di solito
stanno a livello dei seminterrati e i giocatori salgono scalette per
raggiungere il terreno di gioco. Quindi “si sale in campo.”
Almeno si va verso l'alto. Che per chi viaggia sotto il metro e mezzo
dovrebbe essere una bella aspirazione
E con l'aiuto di tutti e
anche un po' della fortuna ci si libererà definitivamente “del
liftato del cucù.” Che Angela Merkel non l'ha ancora
dimenticato.
La partita
Bersani-Vendola c'è già stata. Con soddisfazione di entrambi. Anzi
Nichi a cose fatte ha detto «ho
sentito profumo di
sinistra.» Cosa vuol dire
avere il senso dell'olfatto. Anche se, di solito, dopo il calcetto
quel che si sente non è profumo e comunque come dicono i britannici,
che se ne intendono, la politica quando è ben fatta non è solo
ispirazione ma anche traspirazione. E pure tanta. Nel senso di
fatica.
Comunque
Bersani ha portato a casa i tre punti. Almeno in potenza. Ché i
voti, fuori dal porcellum non si spostano come cassette di pomodoro.
In compenso non ci sarà l'incontro Renzi-Vendola, perché il
secondo gioca solo con chi conosce e con Bersani ha antica
frequentazione. Anche se poi su tanto divergevano e divergono, non
foss'altro che sull'atteggiamento avuto sulla prima proposta
Marchionne e sull'articolo 18. E questo è da spiegare alla base di
Sel.
Matteo Renzi conferma che
se perderà non andrà in Africa e i popoli di quel continente
ringraziano sentitamente avendo già ospitato Nino Benvenuti, Guido
Bertolaso, Flavio Briatore e schivato Walter Veltroni. Anche per
loro, una volta tanto, un po' di fortuna. Inoltre il fiorentino
ribadisce che non chiederà strapuntini di potere ma continuerà a
fare il sindaco. Bello. Si tratterà di vedere se vero. E soprattutto
se quelli che si sono impegnati con lui saranno della stessa idea.
Chi invece vuole a tutti
i costi rimanere è Rosy Bindi che sempre più assomiglia a Daniela
Santanché. Per toni e atteggiamenti. Si vede che le passionarie
hanno tratti comuni. Plastica a parte. Che poi partire dall'Azione
cattolica per arrivare al vaffa lanciato a Bianca Berlinguer
in diretta tv non è un bel viaggio.
Il derby Bersani-Renzi
s'è giocato con fair play pur ciascuno ribadendo il proprio
stilema. Di volta in volta si sono dati reciprocamente ragione, hanno
condiviso alcune posizione e ribadito che su altre l'accordo non c'è.
D'altra parte fanno parte dello stesso partito anche se di diverse
correnti. Ci sta.
Pier
Luigi non ha rinunciato alla vivida metafora e se n'è uscito con un
«meglio un passerotto in mano che un tacchino sul tetto.» Perché
poi uno debba tenere un passerotto in mano e che ci faccia un
tacchino sul tetto non si sa. Forse quelli della Lipu (Lega
italiana protezione uccelli,
ndr) non apprezzeranno ma oramai è detta, a beneficio dei cultori
del genere. Matteo ha cercato di spruzzare un po' di sinistra qua e
là, neanche fosse Chanel n°5 e poi, ha inseguito il segretario sul
terreno delle metafore. Ha paragonato sé stesso e Bersani a due
allenatori. Neanche a dirlo. Ovviamente Bersani è l'allenatore che
gioca con vecchie glorie (che poi son vere glorie?) ed è perdente,
mentre lui ha moduli di gioco aggressivi e vincenti.
Quindi tutto
nella norma.
L'ultima
domanda di Monica Maggioni: «avete una persona a cui chiedere scusa.
E perché.»
Bersani
è paterno: «la mia famiglia, mia moglie e le figlie, per tutto il
tempo rubato. E il parroco per lo sciopero dei chierichetti». Con
tanto di richiesta coram populo di perdono dall'aldilà. Da Giovanni
XXIII al parroco di Bettola, che altro può mancare?
Mentre
il riferimento di Renzi continua ad essere il giovane
precario:«chiedo scusa a mio fratello che laureato con centodieci e
lode in medicina ha lasciato Firenze per non fare il medico fratello
del sindaco. E se ne è andato all'estero.»
Colpo
di scena. Bersani dice: «Come mio fratello. Dico sul serio. Come mio
fratello.»
Vuoi
vedere che avevano un fratello in comune e non lo sapevano?
Alla
notizia a D'Alema sarà venuto uno sturbo.
Brillante come sempre castruccio! a proposito della scenetta delle scuse un amico repubblicano di ravenna qui su FB dopo aver motivato il voto per Bersani ( esperienza, affidabilità....) , ha aggiunto "Pierluigi , basta coi preti "!
RispondiEliminapotevi anche graffiare un po...:)
RispondiElimina