“Senatores boni viri senatus mala bestia”. Gli aforismi quando sono considerati attendibili sfidano i secoli e questo pare abbia buon corso anche oggi. Con qualche attenzione in più.
Infatti se sulla “mala bestia”
nessuno a niente da ridire sui “senatores boni viri” qualche
dubbio potrebbe essere sollevato non foss'altro che per quella
trentina tra inquisiti e condannati, che continuano ad occupare uno
scranno nella nobile istituzione.(1)
Che, su un totale di 315 eletti, è come dire il
dieci per cento, più o meno. Malcontati.
Nel mazzo della trentina,
a ben guardare pur senza essere pignoli, si trova anche tal Rutelli
Francesco, da Roma, condannato per danno erariale dalla Corte dei
Conti (2).
Lunga e
travagliata carriera quella di Rutelli Francesco che, forse con
qualche fatica, e ne va apprezzata la buona volontà, è passato da
un partito all'altro fino a farsene uno tutto suo: l'Api. Partito che
nato come costola del centro sinistra è passato al centro per poi,
al momento, ritornare alla casella di partenza. La consistenza
potenziale di quello che con una certa enfasi viene chiamato partito
è di circa lo 0,2 per cento, che non è il prefisso di Milano anche
se gli assomiglia, ma la percentuale dei suoi votanti. Potenziali.
Che potrebbe andare pure peggio.
Questo andare e girovagare
per li colli gli è abituale: nasce radicale cioè
liberale-liberista-libertario come tuonava il suo mentore Pannella
Giacinto in arte Marco. Di lì ai Verdi arcobaleno, passo breve, e
quindi Alleanza democratica, con Mario Segni, poi candidato a sindaco
di Roma con il Pds dunque Margherita infine (quasi) Pd e per finire
(al momento che il futuro chi può dirlo) l'Api.
Francesco Rutelli quando era liberale-liberista-libertario |
In tutto questo girare
pochi punti fermi alcuni dei quali, ripetuti all'ossessione: «gli
italiani vogliono libertà, democrazia e garantismo.»
Il tutto condito con
l'aria del piacione o come lo chiamavano al suo primo ingresso a
Montecitorio “Cicciobello”. Quello che mai gli era stato visto
fare era la parte del vendicatore. O meglio del vendicativo. Comunque
ci si è applicato e gli è venuta bene.
Il punto del contendere è
il ddl diffamazione che prevede il carcere per i giornalisti.
Rutelli Francesco ci si
mette di buzzo buono e quindi già il 25 ottobre, tra il lusco e il
brusco, chiede alla presidenza del Senato, retta da Vannino Chiti,
firmatario del ddl fatto apposta per salvare Sallusti dalla galera,
di poter votare jn modalità segreta. Fine tessitore.
Poi martedì 13 novembre
il gran giorno: il voto, segreto. Finisce 131 a favore, 94 contrari e
20 astenuti.
E 70 che non sono in aula. Come normale.
Il fine tessitore si porta
dietro oltre ai suoi 14 (pochini) anche i 22 della Lega (pure
pochini) e ne raccatta nei corridoi altri 95 (questi tantini), probabilmente un
po' a destra e un pò a sinistra. Quanto può la sete
di vendetta. Giustificata con un «Occorre
evitare che la 'legge salva-Sallusti' diventi un via libera alla
diffamazione facile. »
Per poi aggiungere «Quello votato è un emendamento ineccepibile.»
Prosit.
Certo
la legge 'salva-Sallusti' non deve dare la licenza alla diffamazione
ma da qui alla galera ce ne corre. Dunque la domanda è: perché il
piacione Rutelli Francesco ha fatto tutto questo. Per vendicarsi, si
mormora, di come i giornalisti l'hanno trattato per il caso Lusi.
Quel signore che, a quanto si dice, ha sfilato alla Margherita un bel
po' di milioni, una paccata chioserebbe la Fornero, senza che
nessuno, nel corso degli anni, se ne sia accorto. Rutelli in primis.
Eh già perché un presidente che non si accorga che il suo
segretario amministrativo ruba dev'essere senz'altro molto ma molto
distratto. E chi glielo fa notare non commette certo un peccato
mortale. Anzi, va considerato come un benefattore dell'umanità. E
merita un premio. E la libertà di stampa non è un premio.
Vittoria
di Pirro questa per il piacione perché pare che il Senato voglia
correre ai ripari e risistemare la questione. Brutta storia. E non
solo d'immagine.
Corre
nella rete, a una settimana dalle elezioni americane, una battuta che
recita: «La
differenza tra gli USA e l’Italia è che di Romney non sentiremo
più parlare, mentre Rutelli ce lo dobbiamo ancora tenere.»
Magari va aggiornato con un «non
è detto».
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- CORTE DEI CONTI,Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio - Sent. n. 1545/2000/R RP, 19/11/01 - BISOGNO Presidente, DI FORTUNATO Consigliere, e LIBRANDI Consigliere relatore /c. Rutelli Francesco e altr
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