La politica vive di
paradossi ma quella italica va al di la di ogni più sfrenata
fantasia. Aumentano gli astenuti e girano sempre meno voti. Chi
è alla canna del gas vince. Chi passa per essere il forte perde. Il
fatto è che perdono tutti. La
storia del bue che dice all'asino cornuto si ripete. Sempre
uguale.
Ugo La Malfa - leader del Pri |
Fino a pochi anni fa il
bello delle elezioni in Italia era che non le perdeva mai nessuno. I
legulei della prima repubblica, che non erano mica tutti santi neanche allora, solo un po' più colti, un po' più preparati e con una miglior padronanza del congiuntivo, anche quando il loro partito era ridotto al lumicino riuscivano a dimostrare di avere vinto, comunque. Contorcimenti mirabili che venivano denunciati da quelli effettivamente premiati dalle urne con battute sarcastiche che erano fini e dotte come quella, pirandelliana, riservata (1958) a Ugo La Malfa:«Ugo,
nessuno, centomila».
Rari i casi di ammissione di sconfitta e comunque anche quelli
sempre ben confezionati. Giuseppe Saragat, si spera adesso di non
dover rimpiangere pure lui, dopo la sconfitta del 1953 se la prese
con il «Destino
cinico e baro». Si sente
che veniva dal liceo classico. Altra stoffa rispetto a chi guardando
sconsolato i risultati di Roma se ne uscirà, con il classico: «Il
candidato era sbagliato e io l'avevo detto.»
Che a scaricare le colpe sugli altri è un attimo. E i piazzisti in
questo sono maestri.
Se poi si pensa che da questa imbarazzante situazione ne esce, come hanno scritto alcuni analisti di peso, che il governo dopo la prima tornata elettorale si è ulteriormente rafforzato si ottiene l'apoteosi del non-sense. Chissà come sarebbe forte se a votare la volta prossima non ci andasse nessuno. Ma proprio nessuno.
Paradosso
tra i paradossi il partito più in affanno e meno partito che
attualmente sfarfalleggia sul palcoscenico politico, il Pd, piazza al
primo turno quattro sindaci in altrettanti capoluoghi di provincia e, come
non bastasse, percentualmente è la prima forza politica in quasi
tutti gli altri. Fanno eccezione Iglesias, Imperia (ma il fatto deve
essere avvenuto all'insaputa di Scajola, ras locale del Pdl) e
Isernia. Peraltro in queste tre città, per il ballottaggio, i candidati sindaco del
centrosinistra sono in forte vantaggio su quelli del centrodestra.
Sembra quasi che gli elettori in questione siano andati a votare
tenendo in una mano la scheda mentre nell'altra reggevano un negroni
doppio. Ma non c'è regola senza eccezioni. By the way quando
il candidato del Pd vince si dice che l'abbia fatto nonostante e a
dispetto del suo partito. Debora Serracchiani ieri e Ignazio Marino
oggi, docent. Che se prima era di sinistra perdere, vincere
dicendo di essere di sinistra sotto che categoria socio-politica va
catalogato?
Al
contrario il Pdl, che sembra essere l'azionista forte del governo e
ha stabilito che il primo ministro dovesse essere Richetto Letta e
non Matteo Renzi è ridotto ad uno straccio. Degli altri partitini,
Lega Nord inclusa,
Ovvio che così non può finire, altrimenti di che si parla nei talk-how? Uno sconfitto più sconfitto lo si deve trovare a forza, altrimenti come ci si diverte. E quindi? Il Movimento5Stelle sembra fare al caso giusto. Di belinate Grillo ne ha commesse a bizzeffe e si merita ampiamente la batosta subita. Dopo di che mettersi a discutere delle sciagure altrui quando a guardare in casa propria ce n'è d'avanzo è un'altra delle estrosità a cui lo stivale è abituato. Poi Grillo si difende dicendo che lui è il meglio e l'Italia peggiore ha votato gli altri. Come argomento difensivo non è certo una gran novità. Lo va dicendo da anni. Ma se prima lo faceva stando in attacco adesso invece lo usa come argomento di difesa. Non è una grande idea e neppure originale. Però va di moda.
In politica, come
in chimica vale la legge di Lavoisier: “Nulla
si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Che se ci si
fermasse lì sarebbe triste ma tutto sommato coraggioso. Invece
l'italica natura vuole che vi vada oltre e allora ecco ripetersi la
storia del bue che dice all'asino cornuto. Tanto per cambiare. E per
chi si accontenta.
gl'unici perdenti sono quelli che non vanno a votare! odio gl'ignavi!
RispondiEliminaAnalisi largamente condivisibile. I votanti, però, a mio avviso non hanno inteso, recandosi alle urne, premiare il governo di Letta e Alfano, ma semplicemente lanciato un monito: fate quello che dovete fare...non vi affossiamo, ma, come ha scritto Antonio Polito, oggi, sul Corsera, non vi mettete in testa di tirare a campare. Insomma, chi ha ha votato vuole solo essere governato.
RispondiEliminaGrillo ha disperso un capitale di fiducia enorme. Non sono un simpatizzante, del M5, lo confesso, disapprovo moltissime cose, a cominciare dal fatto che per essere felici, bisogna diventare più poveri.( Beh, allora cominci lui...) Non funziona così, nessuno vuole diventare Paperon de Paperoni, ma un tempo lo stimolo che veniva dalle forze politiche, destra e sinistra, puntava sull'ascesa sociale, sul miglioramento delle condizioni di vita. Alludo all'Italia degli anni '60, a quella straordinaria epoca che portò il Paese a competere con nazioni di consolidata tradizione industriale.
La questione non è possedere uno yacht, ma almeno un'utilitaria e la possibilità di mandare i figli all'università. Lasciamo perdere la decrescita felice, teoria illusoria e che attira solo i radical chic, visto che loro lo yacht ce l'hanno, magari anche due ville, e i figli li mandano a studiare all'estero.
Comunque, Grillo ha fatto male, anzi malissimo a parlare di due Italie. E' un giudizio duro,cattivo, dettato dalla rabbia che è scaturita dal flop delle urne, che dimostra solo come Grillo del paese abbia una visione virtuale, lontana dalle vere esigenze del Paese. Poteva, sulla scorta del successo elettorale alle Politiche, fare accordi anzi imporre accordi, chiedere l'approvazione di quelle leggi che dice essenziali per il paese. Voleva il governo, magari guidato da lui, davanti allo schermo di un computer. Ma, con il 25% dei voti non si può pretendere la guida del Paese. L'altro 75% mi spiace ha votato diversamente. Io sono tra quanti hanno votato diversamente.