Una vita dedicata senz'altro alla
scienza ma anche, e forse di più, alla voglia di essere persona tra
le persone libera e indipendente. Senza schemi. Questo il più importante valore aggiunto che ci lascia in eredità.
Dire
bene di Rita Levi-Montalcini è facile. Anche fin troppo.
Gli
autori di “coccodrilli”, come con acidità vengono definiti i
pezzi commemorativi, sono andati a nozze. Ed è stato un grondare ed
un ripetere di cose note e risapute, anche un po' banali, scuseranno
i signori dei grandi giornali e con quella dose di retorica che,
purtroppo, in queste tristi occasioni a nessuno viene negata.
Che
una scienziata sia determinata, vogliosa di progresso, instancabile,
innamorata, magari anche ossessivamente, del proprio lavoro che
peraltro considera una missione è ancor più che ovvio semplicemente
scontato. Così come l'elenco delle onorificenze e dei titoli
accademici dopo aver detto del Nobel risulta stucchevole. Il tutto
sta nell'essere scienziata.
Ciò
che al contrario non ci sta e non necessariamente rientra nel ruolo
è la capacità di intendere la vita, gli atti politici e la
relazione con la società con laicità. Da persona e basta.
Rita
Levi-Montalcini ci è riuscita. È stata una donna libera e laica. E
nella laicità risiede il più importante valore aggiunto che lascia
come eredità ed esempio.
Ciò
che più colpisce nella sua biografia è l'aver saputo tenere
separati fatti e azioni dal banale senso comune e da ogni
sclerotizzato riferimento ideologico. Talvolta anche contro il suo
stesso interesse di bottega.
Come
quando, dichiarò nel 2006 che «per conflitto di interesse» non
avrebbe partecipato al voto su un emendamento leghista, di chi se no,
che chiedeva di abolire e spostare alcuni stanziamenti pubblici
dalla fondazione EBRI, da lei voluta al San Raffaele di don Verzè. Che poi s'è
visto come era gestito.
Così
come quando prese decisa posizione sulle responsabilità sociali
degli scienziati o, negli anni settanta, fu attiva nel Movimento
di Liberazione Femminile per la regolamentazione dell'aborto e anche
nel voler dare alle donne d'Africa una ulteriore opportunità di
studio e quindi anche di emancipazione. E per le donne molto si è
spesa.
Come
quando si dichiarò favorevole alla liberalizzazione delle droghe
pur ritenendo che l'uso di quelle leggere possa favorire il consumo
di quelle più pesanti. O ancora quando lei -che scrisse nella
sua autobiografia: « Per la religione invece mi ero trovata in
imbarazzo la prima volta che mi era stata rivolta la domanda, perché
sull'argomento avevo idee vaghe. Ero ebrea, israelita o che diavolo
altro? » e che si professò atea «Non so cosa si intenda
per credere in Dio» - donò parte del denaro avuto dal premio Nobel
per la costruzione della nuova sinagoga romana.
E
a chi con stupidità ancor più che rozzezza, magari per vantare un
quarto d'ora di indegna notorietà, ironizzava sulla sua età e sulla
necessità di dotarla di stampelle rispose pubblicamente che «Nel
pieno possesso delle mie capacità mentali e fisiche continuo la mia
attività scientifica e sociale del tutto indifferente agli ignobili
attacchi di alcuni settori del Parlamento italiano». Che in
Parlamento ci si aspetterebbe di veder ben altro che squallidi atti e
tristi figuri.
Non
a caso la sua autobiografia porta come titolo “L'elogio della
imperfezione”. Non è da tutti raccontare dei propri insuccessi e
delle proprie frustrazioni. Gli errori vanno capiti, studiati,
ammessi e magari anche risolti. Non è da tutti.
Grazie
“Piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di
principessa”, Come di lei scrisse Primo Levi.
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