Per
Caldarola, ex direttore dell'Unità ed ex parlamentare, Monti non fa sognare e per questo non è un leader e non
andrà lontano. In realtà teme che Monti porti via voti al Pd. I
sogni in politica sono fatti non velleitarie illusioni.
Mario MOnti, senatore a vita |
Con
un articolo uscito su Linkiesta lo scorso 5 gennaio dal titolo “I
grandi leader hanno una passione: qual è quella di Monti?”
Peppino Caldarola (due volte ex direttore all'Unità,
ex Pci, ex Pds, ex Ds, ex Pd, ex dalemiano, ex veltroniano, due volte
ex parlamentare e attuale - così si definisce - apolide della
sinistra) vuol dimostrare che Monti non può essere un leader perché
non ha passione.
Per suffragare questa affermazione lo mette a
confronto con tre leader del passato, Berlinguer, Moro e Craxi e poi,
giusto per non lasciar niente al caso, anche con Berlusconi e Grillo.
Che già qui vien da chiedersi cosa centrino gli ultimi due con i
primi tre. Ma il ragionamento non necessariamente deve correre
lineare.
Quindi
per essere certo di aver ben trasmesso il suo pensiero il Caldarola
chiude scrivendo che: «C’è questa aria da minestra riscaldata, da
brodino freddo, da verdurina per convalescenti che contrasta con
un Paese che vuole sperare e sognare. Così non va lontano. Pensate
che ci fu un grande leader nero che sfondò la barriera
dell’ostilità, della rassegnazione, dell’indifferenza dicendo
solo: Io ho un sogno».
Leggere
che l'ex direttore all'Unità
usi argomentazioni che potrebbero benissimo stare in bocca, a
Berlusconi, anche perché ci stanno, per davvero, fa specie. Ma forse
neanche tanto.
Si
tratta, per dirla come va detta, di un attacco poco centrato sulla
politica e molto sul personale, con scarsi elementi di originalità.
Anzi
banalotto. Decisamente.
Con
aspirazionali intenzioni psico-sociologiche. Mancate.
Peppino Caldarola |
Quel
che si intende chiaramente è che taluni nel centrosinistra abbiano
più paura di Monti di quanto non temano Berlusconi. Timore peraltro
graziosamente ricambiato anche dal capo del Pdl che arriva
addirittura a dare indicazioni di voto per l'odiato nemico comunista.
Anche
se poi il Pd con Monti ha governato per oltre un anno, condividendone
per larga parte la politica. E comunque sempre votandola. Mentre di
Berlusconi si è ben chiaramente dimostrato che ha condotto il Paese
a un passo della rovina.
Non
amando nessuno dei due ma dovendo scegliere, il primo è senz'altro
meglio del secondo. E non di poco.
E
pure gli altri termini di paragone sono fuor di luogo e distorcenti
la realtà.
Quel
«I have a dream» gridato da Martin Luther King non era un
artificio retorico per un «Paese che vuole sperare e sognare» ma
una concreta proposta politica. Il punto d'arrivo (e di ripartenza)
di un vasto movimento di massa. Non a caso fu pronunciato a
compimento di un grande evento di popolo quale fu “la marcia per
il lavoro e per la libertà” cui parteciparono oltre 250.000
persone.
«I
have a dream» era il risultato di quella mobilitazione. E la
concretezza di quel sogno e il suo avverarsi stava tutto nell'ormai
maturo contesto socio-economico di quel momento. Non poteva avvenire
né prima né dopo. E un materialista storico, ancorché ex, dovrebbe
saperlo. Ma vabbè.
Enrico Berlinguer, sardo, segretario del Pci dal 1972 al 1984 |
Anche
il confronto per differenza con Moro, Berlinguer e Craxi è fragile.
Neppure loro erano caratterialmente degli zolfanelli capaci di
suscitare chissà quali entusiasmi quanto piuttosto erano, come
Monti, oggetto (loro malgrado vien da dire) della passione dei loro
sostenitori.
In politica termini come passione, sogno e, anche speranza non sono astrazioni sociologiche come crede il Caldarola ma fatti concreti che nascono dal basso e di cui il leader è emanazione. E di cui si fa portatore. Il portatore di questi sogni può anche avere la carica emotiva di un portacenere come non pochi capi partito hanno dimostrato nella recente storia italica. Chi non ricorda lo spumeggiante Mariano Rumor o il frizzante Emilio Colombo e l'elettrizzante Francesco Di Martino. E la lista si potrebbe pure allungare.
In politica termini come passione, sogno e, anche speranza non sono astrazioni sociologiche come crede il Caldarola ma fatti concreti che nascono dal basso e di cui il leader è emanazione. E di cui si fa portatore. Il portatore di questi sogni può anche avere la carica emotiva di un portacenere come non pochi capi partito hanno dimostrato nella recente storia italica. Chi non ricorda lo spumeggiante Mariano Rumor o il frizzante Emilio Colombo e l'elettrizzante Francesco Di Martino. E la lista si potrebbe pure allungare.
D'altra
parte quando la concretezza lascia il passo all'estetica del sogno
allora questo non si chiama più sogno ma illusione o demagogia o
populismo.
Berlusconi
in questi ultimi vent'annni ha vinto non perché “bucasse” il
video – memorabile nel 2006 il suo impaccio nel contraddittorio
televisivo con Prodi, un altro con la carica emotiva di un fiammifero
bagnato, che peraltro vinse per due volte le elezioni – ma perché
ha offerto, da buon piazzista, quanto richiesto dal mercato
elettorale. Il sogno, concreto, del contratto con gli italiani e del
mitico milione di posti di lavoro e ancora che è bello non pagare le
tasse, tanto le strade si asfaltano da sole e che la crisi non c'era
o, così come ora, che bisogna uscire dall'euro. Era ed è merce
avariata, patacche belle e buone, ma che un velleitario e
indisciplinato popolo voleva a tutti i costi comprare. Questo
desiderava e questo ha ottenuto. Un aggrapparsi ai fili d'erba per
non precipitare.
Contrariamente
a quanto scrive Caldarola, detto da un non simpatizzante, è
probabile che Mario Monti abbia una sua personale passione. La
passione di una certa, probabilmente molto rara, borghesia: rigorosa
nel metodo e magari anche dura nella moralità. Un po' calvinista.
Almeno fino a prova contraria. E comunque ci vuole un bel sogno, o
anche una bella ambizione, che poi è lo stesso, per mettersi in
gioco, correndo il rischio di partecipare a elezioni dall'esito
incerto e che di sicuro non lo vedono partire in prima fila,
piuttosto che starsene rincantucciato nel suo bello scranno al
Senato. Ottenuto, oggettivamente, per grazia ricevuta.
In
ogni caso che Mario Monti disponga o meno di passione è un suo fatto
personale che tutto sommato può appassionare solo chi ha poco o
niente da dire.
Anzi
non si capisce perché i suoi competitori, specialmente quelli di
centrosinistra, non siano contenti di questa sua (pretesa) mancanza e
anziché consigliargli di porvi rimedio, che suona da storditi e
anche un po' da masochisti non lo incalzino come sarebbe doveroso e
più giusto su questioni assai serie come quelle relative alla equa
ripartizione degli oneri, alla relazione con le istituzioni
finanziarie, alla capacità di generare sviluppo e posti di lavoro. O
non gli rinfaccino la sua mancanza di leadership su temi fondamentali
come l'abolizione delle province, i privilegi e gli sprechi o sui
diritti civili o la legge elettorale. E ancora sui temi centrali
della laicità e della relazione con il Vaticano. Che così facendo
ne marcherebbero la differenza. Questi sono gli argomenti concreti su
cui si può e si deve sognare. Poiché i voti si prendono o si
perdono ragionando di questo e proponendo soluzioni.
Sarebbe
bello sentire qualcuno dire «Ho un sogno» invece di leggergli in
faccia “ho paura di perdere” o peggio “voglio stare ancorato a
questo scranno perché altrimenti non so che fare”.
Il
vero timore di molti nel Pd non è che Monti abbia passione o meno ma
che gli sottragga quella parte di elettorato che pur non di
centrosinistra lo voterebbe solo per non ricadere nelle grinfie
berlusconiane. E quindi è il Pd che deve decidere su quale sogno
vuol giocarsi e dove mettere la sua passione poiché quello che sta
seguendo ora assomiglia anche troppo alle angosce dell'asino di
Buridano. Che alla fine, si dice, ebbe qualche mancamento.
Engels
diceva che: «la prova dell'esistenza del budino consiste nel
mangiarlo». Scopriremo il 26 febbraio, a scrutini finiti, quale
budino e di chi, gli italiani avranno voluto mangiare.
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