Ciò che possiamo licenziare

lunedì 7 gennaio 2013

Mario Monti da alleato a nemico del Pd

Per Caldarola, ex direttore dell'Unità ed ex parlamentare, Monti non fa sognare e per questo non è un leader e non andrà lontano. In realtà teme che Monti porti via voti al Pd. I sogni in politica sono fatti non velleitarie illusioni.

Mario MOnti, senatore a vita
Con un articolo uscito su Linkiesta lo scorso 5 gennaio dal titolo “I grandi leader hanno una passione: qual è quella di Monti?” Peppino Caldarola (due volte ex direttore all'Unità, ex Pci, ex Pds, ex Ds, ex Pd, ex dalemiano, ex veltroniano, due volte ex parlamentare e attuale - così si definisce - apolide della sinistra) vuol dimostrare che Monti non può essere un leader perché non ha passione. 
Per suffragare questa affermazione lo mette a confronto con tre leader del passato, Berlinguer, Moro e Craxi e poi, giusto per non lasciar niente al caso, anche con Berlusconi e Grillo. Che già qui vien da chiedersi cosa centrino gli ultimi due con i primi tre. Ma il ragionamento non necessariamente deve correre lineare.

Quindi per essere certo di aver ben trasmesso il suo pensiero il Caldarola chiude scrivendo che: «C’è questa aria da minestra riscaldata, da brodino freddo, da verdurina per convalescenti che contrasta con un Paese che vuole sperare e sognare. Così non va lontano. Pensate che ci fu un grande leader nero che sfondò la barriera dell’ostilità, della rassegnazione, dell’indifferenza dicendo solo: Io ho un sogno».
Leggere che l'ex direttore all'Unità usi argomentazioni che potrebbero benissimo stare in bocca, a Berlusconi, anche perché ci stanno, per davvero, fa specie. Ma forse neanche tanto.
Si tratta, per dirla come va detta, di un attacco poco centrato sulla politica e molto sul personale, con scarsi elementi di originalità.
Anzi banalotto. Decisamente.
Con aspirazionali intenzioni psico-sociologiche. Mancate.

Peppino Caldarola
Quel che si intende chiaramente è che taluni nel centrosinistra abbiano più paura di Monti di quanto non temano Berlusconi. Timore peraltro graziosamente ricambiato anche dal capo del Pdl che arriva addirittura a dare indicazioni di voto per l'odiato nemico comunista.
Anche se poi il Pd con Monti ha governato per oltre un anno, condividendone per larga parte la politica. E comunque sempre votandola. Mentre di Berlusconi si è ben chiaramente dimostrato che ha condotto il Paese a un passo della rovina.
Non amando nessuno dei due ma dovendo scegliere, il primo è senz'altro meglio del secondo. E non di poco.
E pure gli altri termini di paragone sono fuor di luogo e distorcenti la realtà.
Quel «I have a dream» gridato da Martin Luther King non era un artificio retorico per un «Paese che vuole sperare e sognare» ma una concreta proposta politica. Il punto d'arrivo (e di ripartenza) di un vasto movimento di massa. Non a caso fu pronunciato a compimento di un grande evento di popolo quale fu “la marcia per il lavoro e per la libertà” cui parteciparono oltre 250.000 persone.
«I have a dream» era il risultato di quella mobilitazione. E la concretezza di quel sogno e il suo avverarsi stava tutto nell'ormai maturo contesto socio-economico di quel momento. Non poteva avvenire né prima né dopo. E un materialista storico, ancorché ex, dovrebbe saperlo. Ma vabbè.
Enrico Berlinguer, sardo,
segretario del Pci dal 1972 al 1984
Anche il confronto per differenza con Moro, Berlinguer e Craxi è fragile. 
Neppure loro erano caratterialmente degli zolfanelli capaci di suscitare chissà quali entusiasmi quanto piuttosto erano, come Monti, oggetto (loro malgrado vien da dire) della passione dei loro sostenitori.
In politica termini come passione, sogno e, anche speranza non sono astrazioni sociologiche come crede il Caldarola ma fatti concreti che nascono dal basso e di cui il leader è emanazione. E di cui si fa portatore. Il portatore di questi sogni può anche avere la carica emotiva di un portacenere come non pochi capi partito hanno dimostrato nella recente storia italica. Chi non ricorda lo spumeggiante Mariano Rumor o il frizzante Emilio Colombo e l'elettrizzante Francesco Di Martino. E la lista si potrebbe pure allungare.
D'altra parte quando la concretezza lascia il passo all'estetica del sogno allora questo non si chiama più sogno ma illusione o demagogia o populismo.
Berlusconi in questi ultimi vent'annni ha vinto non perché “bucasse” il video – memorabile nel 2006 il suo impaccio nel contraddittorio televisivo con Prodi, un altro con la carica emotiva di un fiammifero bagnato, che peraltro vinse per due volte le elezioni – ma perché ha offerto, da buon piazzista, quanto richiesto dal mercato elettorale. Il sogno, concreto, del contratto con gli italiani e del mitico milione di posti di lavoro e ancora che è bello non pagare le tasse, tanto le strade si asfaltano da sole e che la crisi non c'era o, così come ora, che bisogna uscire dall'euro. Era ed è merce avariata, patacche belle e buone, ma che un velleitario e indisciplinato popolo voleva a tutti i costi comprare. Questo desiderava e questo ha ottenuto. Un aggrapparsi ai fili d'erba per non precipitare.

Contrariamente a quanto scrive Caldarola, detto da un non simpatizzante, è probabile che Mario Monti abbia una sua personale passione. La passione di una certa, probabilmente molto rara, borghesia: rigorosa nel metodo e magari anche dura nella moralità. Un po' calvinista. Almeno fino a prova contraria. E comunque ci vuole un bel sogno, o anche una bella ambizione, che poi è lo stesso, per mettersi in gioco, correndo il rischio di partecipare a elezioni dall'esito incerto e che di sicuro non lo vedono partire in prima fila, piuttosto che starsene rincantucciato nel suo bello scranno al Senato. Ottenuto, oggettivamente, per grazia ricevuta.

In ogni caso che Mario Monti disponga o meno di passione è un suo fatto personale che tutto sommato può appassionare solo chi ha poco o niente da dire.
Anzi non si capisce perché i suoi competitori, specialmente quelli di centrosinistra, non siano contenti di questa sua (pretesa) mancanza e anziché consigliargli di porvi rimedio, che suona da storditi e anche un po' da masochisti non lo incalzino come sarebbe doveroso e più giusto su questioni assai serie come quelle relative alla equa ripartizione degli oneri, alla relazione con le istituzioni finanziarie, alla capacità di generare sviluppo e posti di lavoro. O non gli rinfaccino la sua mancanza di leadership su temi fondamentali come l'abolizione delle province, i privilegi e gli sprechi o sui diritti civili o la legge elettorale. E ancora sui temi centrali della laicità e della relazione con il Vaticano. Che così facendo ne marcherebbero la differenza. Questi sono gli argomenti concreti su cui si può e si deve sognare. Poiché i voti si prendono o si perdono ragionando di questo e proponendo soluzioni.
Sarebbe bello sentire qualcuno dire «Ho un sogno» invece di leggergli in faccia “ho paura di perdere” o peggio “voglio stare ancorato a questo scranno perché altrimenti non so che fare”.
Il vero timore di molti nel Pd non è che Monti abbia passione o meno ma che gli sottragga quella parte di elettorato che pur non di centrosinistra lo voterebbe solo per non ricadere nelle grinfie berlusconiane. E quindi è il Pd che deve decidere su quale sogno vuol giocarsi e dove mettere la sua passione poiché quello che sta seguendo ora assomiglia anche troppo alle angosce dell'asino di Buridano. Che alla fine, si dice, ebbe qualche mancamento.
Engels diceva che: «la prova dell'esistenza del budino consiste nel mangiarlo». Scopriremo il 26 febbraio, a scrutini finiti, quale budino e di chi, gli italiani avranno voluto mangiare. 

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