Giulio
Poletti è stato attaccato da Roberto Saviano perché nel 2010 andò ad una cena dove
sedeva il gotha di quello che poi è diventato il caso «Mafia
Capitale»
Narrano alcune leggende metropolitane, che di solito sono delle gran
bufale ma qualche volta ci prendono, che Giulio Andreotti, detto il
divo Giulio,
ma anche lo zio Giulio,
ma anche belzebù
e anche la volpe,
fosse solito, prima di accettare inviti a cena, chiedere chi fossero
gli altri a tavola. E se aveva delle cattive impressioni declinava.
Non che poi tutte le sue frequentazioni fossero specchiate, ma almeno
un po' alle apparenze ci teneva. Inoltre i soliti bene informati
dicono anche che volesse conoscere la disposizione dei posti in modo
da avere affianco solo persone presentabili. Si fa per dire. Sempre
le stesse leggende metropolitane raccontano che Enrico Cuccia,
presidente di Mediobanca, che peraltro non accettava mai inviti a
cena, conoscesse per filo e per segno, comprese le magagne, tutti i
suoi azionisti. E con prodigiosa memoria ricordasse, in privata sede
e solo agli interessarti, episodi per così dire divertenti. Almeno
finché rimanevano in quelle stanze che quei muri non aveno né bocca
né orecchie. Leggende metropolitane. Ma come spesso raccontano i
parroci di campagna bisogna sempre far tesoro di queste favole perché
dentro nascondono spesso un bel po' di saggezza.
Giuliano
Poletti invece andava a cena senza informarsi sugli altri commensali
e soprattutto senza aver ben chiaro chi fossero i suoi associati.
Già, perché allora non era ministro ma più semplicemente il
presidente di Legacoop nazionale. A dirla così sembra una bocciofila
mentre invece era ed è una potenza economica non da ridere. Nel
2009, l'anno prima della cena incriminata, la Legacoop nazionale
gestiva 15.000 cooperative (sono 15.000 da sempre e in questo
assomigliano ai cinesi di Milano che di numero non cambiano mai),
ottomilioni di soci, quasi mezzo milione di dipendenti e circa 56
miliardi di fatturato. E così, neanche fosse l'ospite invitato
all'ultimo perché gli altri a tavola erano in tredici, lui ci andò
senza fare domande e si sedette proprio di fronte a Gianni Alemanno,
allora sindaco. Già chiacchierato. E come niente fosse si trovò in
compagnia di Salvatore Buzzi e di tutti quegli altri che ai giorni nostri
vengono classificati in ordine alfabetico nel fascicolo «Mafia
Capitale».
Uno dice: «Mica si possono conoscere tutti i presidenti
delle cooperative aderenti.» E questo è vero, ma quante cooperative
fatturavano 16 milioni di euro in quegli anni? Che sono quanti ne
faceva la cooperativa 29
giugno di Salvatore
Buzzi nel 2009. Pochine vien da dire. Qualcuno avrebbe dovuto dirlo
al presidente che si sarebbe trovato di fronte ad un fenomeno: perché
una cooperativa di ex detenuti che mette insieme in pochi anni quel
popò di giro d'affari dev'essere guidata proprio da un genio. Dato
per scontato che quei soldi non li abbiano messi insieme facendo delle
rapine. Se poi si pensa che quel gruzzoletto il Buzzi lo faceva con
un'amministrazione comunale di colore avverso deve essere genio due
volte.
Da
cui discende che se quelli di destra utilizzano una cooperativa di
sinistra i fatti sono due: o la 29 giugno ha prezzi e qualità
strabilianti o viene usata come effetto candeggina. Ovverosia per
dimostrare che tuttto è regolare e sbiancare eventuali magagne. Gli
si fa vincere qualcosina. Garette marginali. Premi di consolazione.
Ma sedici milioni di eurini non sono propriamente un premio di
consolazione. E allora qui gatta ci cova.
E
ci covava sì perché già allora si mormorava sulla «parentopoli
nera» di Alemanno Ginni e anche sulle gare d'appalto qualcosa si
diceva. E non erano cosa belle. Ma l'imolese Giuliano Poletti, presidente, non sapeva nulla. E nulla sapeva il suo staff e nulla la
Legacoop di Roma e tanto meno quella del Lazio. Che a guardare solo
gli ultimi due livelli, che sono quelli più legati al territorio,
c'è da chiedersi come quell'organizzazione abbia potuto e possa
tutt'ora mettere insieme quel bel fatturato degno di una
multinazionale.
La
vulgata, nel vecchio Pci, diceva che per i funzionari di carriera il
partito fosse il paradiso, il sindacato il purgatorio e le
associazioni di massa l'inferno. E lì stava Poletti. Poi le Coop un
po' si sono risollevate perché controllare i flussi di cassa fa
crescere nella scala sociale e nella reputazione. Soprattutto quando
il partito non è più forte come un tempo e l'autonomia si è
allargata. Però, magari, metterci un po' d testa quando si viene
invitati da qualche parte o quando vien richiesto di stringere
qualche mano, magari adesso che si è ministro, non fa male.
Soprattutto se non si è in debito.
siamo messi male...
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