Nel
caso Cucchi colpisce, a proposito di ecchimosi, il silenzio delle grandi
istituzioni. Del ministro della Giustizia, del ministro dell’Interno, del
Presidente del Consiglio. Del Presidente della Repubblica, che presiede anche
il Csm. In compenso hanno parlato due sindacati di polizia. Meglio, per loro se
tacevano.
La morte (infame) di
Stefano Cucchi sta diventando, per grande fortuna di tutti ma se ne sarebbe fatto volentieri a meno, un caso nazionale e forse nel prossimo futuro anche
europeo. Cosa quest’ultima che senz’altro non gioverà alla reputazione dell’Italia
ma forse l’aiuterà a crescere. Caso importante, quello della morte (uccisione)
di Stefano Cucchi perché a seconda di come si andrà sviluppando e delle prese
di posizione delle istituzioni si vedrà e si peserà il grado di civiltà del Paese.
Uno Stato è degno di questo nome quanto più sa essere giusto ed imparziale nel trattare i suoi cittadini e sa esercitare la capacità di riconoscere i propri errori e gli errori di coloro che lo servono. Quando una istituzione si chiude a riccio, a difesa di casta o usa come scudo il reato di vilipendio altro non fa che dimostrare tangibilmente la sua fragilità. Chi è degno di rispetto sa che riconoscere un torto fatto non è segno di debolezza. Uno Stato degno di questo nome è in grado di ridurre drasticamente la forbice che intercorre tra il senso di legalità e quello di giustizia. Ché la loro distanza altro non è che testimonianza e prova provata, di inanità. La vicenda di Stefano Cucchi, come peraltro anche quelli di Federico Aldrovandi, di Riccardo Magherini e dei tanti della scuola Diaz di Genova, è emblematica.
Uno Stato è degno di questo nome quanto più sa essere giusto ed imparziale nel trattare i suoi cittadini e sa esercitare la capacità di riconoscere i propri errori e gli errori di coloro che lo servono. Quando una istituzione si chiude a riccio, a difesa di casta o usa come scudo il reato di vilipendio altro non fa che dimostrare tangibilmente la sua fragilità. Chi è degno di rispetto sa che riconoscere un torto fatto non è segno di debolezza. Uno Stato degno di questo nome è in grado di ridurre drasticamente la forbice che intercorre tra il senso di legalità e quello di giustizia. Ché la loro distanza altro non è che testimonianza e prova provata, di inanità. La vicenda di Stefano Cucchi, come peraltro anche quelli di Federico Aldrovandi, di Riccardo Magherini e dei tanti della scuola Diaz di Genova, è emblematica.
Nel caso di Stefano Cucchi,
come negli altri, fan più male le parole
non sentite che quelle dette. Che queste ultime ci si augura possano essere
catalogate tra quelle dal sen fuggite e che abbiano tradito il pensiero di chi
le ha pronunciate. Anche se,magari no. Capita che cervello e lingua talvolta non
siano in connessione. In ogni caso comunque, il silenzio ha colpito (in parallelo con
le ecchimosi di Stefano Cucci) più duro delle
parole.
Ha colpito il silenzio
del ministro della Giustizia, il doroteo (definizione di Matteo Renzi) Andrea
Orlando, che è tanto prodigo di parole quando si tratta della riforma della
giustizia che lo vede duramente impegnato nella battaglia per la riduzione delle
ferie dei magistrati e nello smantellamento di tribunali così come nella
chiusura della carceri situate nel centro della città, aree appetibili per
la speculazione edilizia. Così come ha colpito
anche il silenzio dei responsabili del Dap (Dipartimento
amministrazione penitenziaria) la cui voce si era prontamente levata a supporto
della chiusura di san Vittore. Ha colpito
il silenzio del ministro dell’Interno il mancante di quid (definizione dell’ex mentore Silvio Berlusconi) Angelino
Alfano. Ha colpito il silenzio del Presidente del Consiglio innamorato della
gioventù e sempre prodigo di suggerimenti e consigli ai giovani. Ha colpito il
silenzio del Presidente della Repubblica, anche Presidente del Csm, che un
monitino (monito in formato mignon) gli poteva pure scappare per questo fatto
eclatante che vede un uomo affidato a strutture dello Stato uscirne cadavere. E
senza che sia stato individuato alcun colpevole. Mica doveva essere un monito crudo
e aspro. Ci si sarebbe accontentati pure di un monito sfumato e felpato. All’uso
della casa quando i temi sono scottanti. Non rispondere alle richieste, come fu
fatto con Cira Antignano la madre di Daniele Franceschi ucciso nelle carceri
francesi, dice della distanza della Istituzione dalla gente comune più di cento
trattati di sociologia.
C’è invece chi ha
parlato: il segretario del Sap, sindacato autonomo polizia, Gianni Tonelli: «Se
uno disprezza la propria salute e conduce una vita dissoluta ne paga le
conseguenze.» e anche il Coisp, sigla
che sta per Coordinamento per l’Indipendenza delle forze di polizia:«Per certe
sciagure si guardi prima di tutto altrove, magari in famiglia.». Frasi difficili da commentare. Come d’altra parte
tutte le affermazioni sciocche. Che il bon ton chiede di andare oltre.
Ovviamente le parole di comprensione, se verranno, s'immagina saranno ben accette soprattutto se non gronde di retorica e comunque a queste dovranno presto essere seguite da ben precisi fatti.
Ovviamente le parole di comprensione, se verranno, s'immagina saranno ben accette soprattutto se non gronde di retorica e comunque a queste dovranno presto essere seguite da ben precisi fatti.
e in più è la sorella Ilaria ad essere presa di mira dal Sindacato di polizia penitenziaria, che si ritiene calunniato dalla stessa...
RispondiEliminatutto questo aumenta il senso di paura e insicurezza nei cittadini...
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