Ciò che possiamo licenziare

domenica 22 dicembre 2024

Salvini: la banalità dell'innocenza

Salvini Matteo: da aspirante martire a banale innocente. La magistratura giudicante ha sconfessato quella inquirente. La fine delle toghe rosse?


Non ci si può più fidare di nessuno: neanche delle toghe rosse. Neppure gli agenti della Spectre sono mai stati così imbranati. Non riuscire, in oltre tre anni, a mettere insieme un capo di imputazione banalmente solido, così come dovrebbe essere, fa cadere le braccia. Vengono a cadere alcuni dei principi politico.filosofici del comunismo. Pretese toghe rosse ed affini dovrebbero essere immediatamente impachettate e spedite per una full immersion nella Repubblica Popolare della Corea del Nord. Là sì, i pubblici ministeri sanno come preparare i capi di imputazione e i giudici,di conseguenza, d’altra parte lavorano insieme, come confezionare delle sentenze congrue, anche se talvolta un poco naif. O addirittura ai limiti della ragione: emettere giudizi irrealistici senza battere ciglio e soffrire il senso del ridicolo, pure se non stanno in piedi. D’altra parte hanno preso lezioni dalla Santa Madre Russia. Invece no, impegnarsi a dimostrare plasticamente che le posizioni di inquirenti e giudicanti sono indipendenti e quindi ognuno fa il suo lavoro vuol dire mettere in seria difficoltà la realtà politica-sociale-economica dello Stivale a cominciare da quel meraviglioso e arzigogolato, intrigante ed esoterico castello di carte che vuole la magistratura come antagonista della politica anziché potere terzo. E poi si pensi al buon ministro della giustizia il Nordio Carlo e a come gli viene spuntata la sua lancia principale: l’inciucismo (francesismo) fra pm e giudici. Senza contare il grave danno politico e di immagine arrecato al povero Salvini Matteo: da ieri ha perso l’aureola di vittima e martire e avrà una freccia in meno nella sua faretra politica, già scarsina. Non potrà più paventare la pena a sei anni di carcere,  eventualmente l’avrebbe scontata a babbo morto, e neppure agire la parte del patriota che solo e unico porge il (pingue) petto agli attacchi degli immigrati. Una simil scandalosa situazione fa addirittura passare in penultimo piano l’assoluzione del Renzi Matteo e della sua allegra compagnia di amici e parenti da una marea di accuse a partire dal finanziamento illecito ecc, ecc. In Corea , ma anche in Arabia Saudita e in Russia nessuno dei due ce l’avrebbe fatta.

Buona settimana e buona fortuna.

domenica 15 dicembre 2024

Chissà se la Meloni Giorgia potrà.

 Siamo proprio sicuri che la Meloni Giorgia possa tutto? Magari qualcosa le scappa.


Chissà se la Meloni Giorgia potrà mai guardare Elon Musk con uno sguardo men che adorante.

Chissà se la Meloni Giorgia potrà mai provare un po’ di empatia per la piccolaYasmine, 11 anni, unica sopravissuta al naufragio (l’ultimo?) di quarantasette (o più o meno) salvata grazie alle sue grida lanciate nel buio della notte.

Chissà se la Meloni Giorgia potrà mai chiedersi, come dopo la strage di Cutro, se c’è chi  pensi che qualcuno del governo o il governo tutto intero o lei stessa sia responsabile della carneficina di migranti che sta accadendo nel Mediterraneo e non solo.

Chissà se la Meloni Giorgia potrà mai spiegare perché ci siano tanti infami, parole sue, nel partito che presiede.

Chissà se la Meloni Giorgia potrà mai chiedersi come Javier Milei abbia ottenuto la cittadinanza italiana in un fiat mentre chi nasce e studia e vive in Italia ci mette anni.

Chissà se la Meloni Giorgia potrà mai spiegare come salga l’occupazione e cali il PIL.

Chissà se la Meloni Giorgia potrà mai spiegare come la nostra economia cresca mentre la produzione industriale è in calo.

Chissà se la Meloni Giorgia potrà mai provare un po’ di vergogna per aver lasciato proporre un aumento di oltre settemila euro al mese a chi già ha uno stipendio di più di novemila.

Chissà se la Meloni Giorgia potrà mai provare un po’ di vergona nel proporre l’aumento di un euro e briscola al mese per le pensioni minime. Meno di una pizza all’anno.

Chissà se la Meloni Giorgia potrà mai credere veramente che questa bazza della donna-ponte tra Usa e Europa, durerà ancora a lungo.

Chissà se la Meloni Giorgia potrà…

Buona settimana e buona fortuna.

domenica 1 dicembre 2024

Il silenzio è calato sullo Sinner Jannik.

Adesso un po’ di tranquillità per Sinner e per tutti noi. La speranza questa tregua duri per molti è tangibile. Oltre a quelli sportivi vi sono altri valori: trasparenza, sincerità ed etica, ad esempio. Il significato di sinner in tedesco.


Da quando l’insalatiera del tennis è atterrata in Italia gli articoli su Jannik Sinner sono andati scemando giorno dopo giorno fino a quasi del tutto scomparire. Tra gli ultimi articoli pare ce ne sia uno in cui si racconta di quanto scarso sia il suo
feeling con la mazza da golf.  Era ora, almeno un piccolo difettuccio, ancorché relegato al golf. Giusto per farlo sembrare quasi umano. La retorica sul tennista di San Candido è stata debordante, ad essere riduttivi. Per mesi i media tutti, senza alcun fallo, quotidiani, riviste, radio, televisione e social media non hanno fatto altro: raccontarci di quanto sia eccezionale l’ultimo pel di carota nazionale, la prima nell’era dei media imperanti era stata la Pavone Rita, cantante. Eccezionale in tutto, ovviamente: per meriti sportivi, per simpatia, per diplomazia, per autocontrollo, per modestia, per trasparenza, per capacità di collezionare sponsorizzazioni di tutti i tipi e dei brand più disparati, e naturalmente per tutto quello che il pensiero umano può elaborare, per sincerità e addirittura per etica. Magari su trasparenza, sincerità ed etica va fatta qualche piccola chiosa. Naturalmente l’oggetto è sempre il solito: i soldi. Non tanto quelli guadagnati con le imprese sportive o quelli incassati grazie alle sponsorizzazioni, ma per quelli non versati nelle casse dell’italico erario. In verità sulla questione c’era stato un fuoco, ma di paglia, all’inizio della vittoriosa cavalcata. Per qualche giorno si è parlato della residenza dello Sinner Jannik in quel di Montecarlo. In prima battuta ci si è buttati sull’aspetto legale e qui s’è scoperta trattarsi di questione estremamente complessa e delicata dove disposizioni per nulla chiare lasciano la possibilità a legulei di ogni risma di giustificare il mancato versamento dell’IRPEF. Poi è intervenuto lo stesso Sinner, tutto anima e core, per dire che ha preso la residenza nel Principato solo perché lì vi sono campi da tennis, in Italia evidentemente no, bisogna dirlo ai tennisti residenti a casa nostra, e poi sono suoi vicini di casa i campioni di tutto il mondo con i quali lui si allena regolarmente. In altre parole non si può pensare di diventare un campione se non ti alleni con i campioni e in località tasse free. Già, perché a Montecarlo, a parte pare per i francesi, le microscopiche tasse pagate lì esenta dal versamento nel proprio Paese. I giornalisti, nella stragrande maggioranza, hanno trangugiato la storiella degli allenamenti senza battere ciglio. Nessuno ha sollevato la semplicità della questione: se lo Jannik vuole stare a Montecarlo per giocare con i suoi amici del circus, benissimo lo faccia. Tuttavia è da sottolineare un banale fatto: non l’ha ordinato il medico allo Sinner di trasferire colà anche la residenza fiscale. In altre parole lo Sinner Jannik, senza scomodare paroloni come elusione o evasione, è uno che non paga le tasse in Italia. Pure se quando va a San Candido fruisce di tutte le infrastrutture pagate con le tasse degli italiani. Quelli che le pagano. Evvabbé. Un po’ più di trasparenza e sincerità sul tema aiuterebbe la crescita dell’etica. By the way sinner in tedesco significa peccatore. Sarà il solito scherzo del destino; uno solo ci guadagna e gli altri applaudono. Beotamente.

Buona settimana e buona fortuna.

giovedì 28 novembre 2024

Milano, la città n° 1 per qualità della vita.

 Mancava solo questo riconoscimento per completare il palmares della grande Milano. E’ arrivato al momento giusto.

L’annuncio di questo ennesimo primato è stato dato in pompa magna e le istituzioni cittadine ne hanno goduto. D’altra parte questo era un traguardo mai raggiunto, a mia memoria. Milano era stata definita in tanti modi, anche la capitale morale d’Italia, quando la morale aveva un qualche senso poi è arrivata la mafia dei colletti bianchi e la moralità ha patito qualche sofferenza. Ma questo è un altro discorso. Numero 1 per qualità della vita e ci mancherebbe: in questa città rutilante di luci e di colori che va sempre di corsa e neanche sa dove corre. Città tanto viva e tanto pimpante da trovare nelle acque reflue tanta cocaina da sballare la ZTL e le banlieue tutte insieme. E non solo cocaina, qui vige il libero mercato basta chiedere, pagare ed il cliente è soddisfatto. C’è il prodotto per ogni segmento di clientela. Questa è qualità della vita.  Per mantenerla alta, questa qualità della vita, anche gli altri indicatori devono andare di pari passo, per esempio il costo degli appartamenti:  i più alti d’Italia. I costi drgli affitti: i più alti d’Italia. Il costo delle camere per studenti: i più alti d’Italia, il costo degli speritivi. I più alti d’Italia, il costo dei taxi: i più alti d’Italia e se chiedi di pagare con la carta di credito di guardano storto e mentre armeggiano con il poss il tassametro corre così paghi anche per il tempo durante il quale cerchi di pagare. L’economia in nero da queste parti è tanto vispa e allegra così, quando ti mettono in mano uno scontrino, (supermercati a parte), si è colti da vertigini e te ne torni a casa con l’idea di essere apparso alla madonna. Nella città numero 1 per qualità della vita non c’è corruzione, anche se tangentopoli è nata e si è sviluppata rigogliosamente in questo contado e comunque la pulizia, tra una prescrizione e l’altra, tra una depenalizzazione e l’altra, è durata un battito di ciglia. Passata la festa gabbato lo santo dicono al Sud, qui nella città della qualità della vita è gabbato il magistrato. E con lui tutte le persone oneste. L’aria poi è uno spettacolo e le Dolomiti tutte ce la invidiano, soprattutto per quell’odorino di stallatico percepito molto spesso di prima mattina. Milano è anche ecologica: le foglie secche sono ovunque, specialmente vicine ai tombini, mentre  le erbacce se la fanno sui marciapiedi e nelle aiuole dei giardini, infestate in allegria. La chiamano biodiversità ecologica, la qualcosa tradotta significa risparmio sulle spese della manutenzione del verde.  Quanto poi alla criminalità: che domanda bizzarra. Qui non ci sono scippi, microcriminalità o altre bagatelle simili. Basta fare un giro alla stazione Centrale o nei giardini intorno al Politecnico, tanto per dirne due, per rendersene conto.  Poi turismo come se piovesse: arrivano da tutte le parti del mondo,girano come trottole senza neanche sapere dove,come e perché si trovino lì e ancora con il tramezzino in bocca li caricano sui bus verso Bologna-Firenza-Venezia-Genova… e via.

Quindi come non dargliela la medaglia di città con la miglior qualità della vita d’Italia. A nessuno venga in mente di fare un arditissimo parallelo tra questo meritatissimo riconoscimento e le olimpiadi invernali prossime venture. Guarda il caso di Cortina-Milano.  Cattiveria delle città del Sud.

PS. Questi gli items per diventare la città n.1 per la qualità della vita: affari e lavoro, ambiente, reati e sicurezza, sicurezza sociale, istruzione e formazione, popolazione, sistema salute, turismo, reddito e ricchezza.

martedì 22 ottobre 2024

La Meloni Giorgia vuole scrivere la storia.

Il prologo sarà:”Fare sta vita per far eleggere sta gente, anche no”. Dovrà scegliere il taglio: eroico, da underdog, retorico, oppure ..



La Meloni Giorgia l’ha ripetuto diverse volte: vuole scrivere la storia. In verità le piacerebbe ri-scrivere la storia, ma le viene difficile dopo la tombale frase del Mussolini Benito:«[i nazisti/tedeschi] Ci hanno sempre trattato come servi e alla fine ci hanno anche tradito». S’è fatto trattare da servo e non s’è accorto che lo stavano tradendo: un genio. Per cui chiuso il capitolo del passato, le conviene, resta il presente e forse, magari anche no, il futuro. Certo, dovrà decidere, la Meloni Giorgia, quale taglio vorrà dare alla “sua” storia. Quello un po’ piagnone da underdog oggettivamente non è bello, le vittime piacciono solo quando cadono eroicamente e di solito non scrivono: altri lo fanno a loro uso e consumo. Quello eroico potrebbe anche andare se non fosse palesemente non credibile. C’è poi la possibilità del taglio retorico, ma a guardare i compagni di viaggio viene già da ridere. Ecco, il comico è probabilmente il taglio giusto per questi due anni di storia. Se si vuol pensare a qualcosa di rilevante fatto da questo governo alla memoria viene niente, mentre per il ridere ce n’è a iosa. E qui i compagni di giro hanno dato una mano decisamente importante. Comunque la prima a far ridere è stata proprio la Meloni Giorgia quando ha esordito facendo le vocine: «oddio arriva la Meloni ... I mercati cadranno ... L’Europa non ci vorrà più parlare», e nel dire buttava gli occhi al cielo e  li strabuzzava e faceva diventare di gomma il grazioso visino. Sembrava di assistere ad una scenetta di Totò quando faceva ballare il cappello sulla testa muovendo solo la fronte, se non fosse che lui era chiamato per far ridere mentre lei,  in teoria, dovrebbe dare risposte alle domande del Paese. Quindi su questa onda s’è subito lanciato il La Russa Ignazio quando definì il reparto di SS di via Rasella «una banda musicale di semi pensionati». Poi ci si è messo il Piantedosi Matteo, dopo il disastro di Cutro disse: «Colpa di genitori irresponsabili». Ineguagliabile il Lollobrigida Francesco, di gag ne ha sparate a raffica da i poveri mangiano meglio dei ricchi, a quel che si trova in Puglia altrove non si trova, alla sostituzione etnica, al cibo sintetico che avrà un impatto dirompente sulla salute, a nessuno mangerà insetti a sua insaputa … e ce ne sarebbero ancora tante. E poi il mitico Sangiuliano: componente della giuria dello Strega riferendosi ai libri finalisti se ne uscì, dopo averli votati, con un «proverò a leggerli» . E per chiudere tre perle della leader maxima: definire “infami” i compagni di partito, non è da tutti, quindi la sceneggiata dei centri in Albania con sedici disperati sballottati da una sponda dell’Adriatico all’altra, e infine la rozza manipolazione della mail del sostituto procuratore della Cassazione Marco Patarnello. Neanche il servizio segreto russo, pure con l’alleanza di Ernst Stavo Blofeld, sarebbe riuscito a fare un simile pateracchio. Terzioli e Vaimer ci avrebbero messo la firma per avere un simile canovaccio per i loro libri umoristici. E allora anche noi, parafrasandola, tutti in coro: fare sta vita per eleggere sta gente anche no.

Buona fortuna e buona settimana

sabato 12 ottobre 2024

Per fortuna è venerdì

 Settimana ricca di fatti. Alcuni divertenti, altri scandalosi altri ancora pericolosi. Ma nulla smuove la passione per la nazionale di calcio e l’ansia per la ripresa del campionato.


La settimana è cominciata con un “Tajani, Tajani va fan ****” scandito sul pratone di Pontida, ancorché da pochi, definiti dal Salvini Matteo prima quattro e poi cinque scemi. Si pensava, ad occhio e croce, ce ne fossero di più, ma già l’ammissione salviniana è un bel passo in avanti chissà, forse nel futuro, non si arrivi a numeri più realistici. Dopo i quattro o cinque scemi ha parlato il Salvini Matteo definito “il capitano”. Col cuore in mano, da buon milanese, ha confermato: “Tajani è un amico e un alleato. Giorgia Meloni è un’amica e un’alleata”. A crederci. Almeno fino a quando si rimane tutti insieme appassionatamente abbarbicati al governo. Ipotesi non certa al cento per cento data l’esternazione della Meloni Giorgia, quella in cui, tra le tante, dice: «Per colpa di infami [Tradotto: sono i suoi parlamentari, non mafiosi, non brigatisti] Io alla fine mollerò per questo perché per fare sta vita per far eleggere sta gente, anche no». Non si capisce bene se sia una promessa o una minaccia. Piacerebbe la prima, ma lo si vedrà solo vivendo: bisogna aspettare. Nel frattempo il Giorgetti Giancarlo, per intenderci quello che voleva abolire il medico di base, leghista,e inopinatamente ministro dell’economia sta girando tutti i media e le commissioni parlamentari disposte ad ascoltarlo per sbandierare il suo mantra: non c’è una lira. Se avesse aggiunto “bambole” sarebbe stato perfetto per l’avanspettacolo, invece ne deve ancora mangiare di polvere del palcoscenico. Tentativi come quello sulle accise:«Non ho parlato di aumento, ma di allineamento» non fa ancora scompisciarsi dalle risate, ma è un discreto inizio. In ogni caso ha costretto la presidente del Consiglio ha intervenire per dire: mai ci sarà un aumento di tasse. La dichiarazione ha tranquillizzato il popolo tutto. Una volta terminate le risate. Lei sì, ci sa fare. Quasi contemporaneamente l’esercito israeliano, per non far torto a nessuno, prima ordina ai caschi blu dell’Unifil, segnatamente alle truppe italiane, e forse non è un caso, di sgommare e andare a portare i suoi aiuti umanitari altrove e poi, per non farsi mancare nulla, spara con un carro armato su una torre di avvistamento, sempre nell’italico settore. Vengono feriti due cingalesi, uno in modo grave. I nostri sono salvi. Scrivono le gazzette: erano nel bunker. Alleluia. Il Crosetto Guido, ministro della difesa, protesta con vigore chiedendo qualcosa del tipo:«la volta prossima cosa dovremo fare? Rispondere al fuoco? Ma poi subito aggiunge: è una domanda provocatoria». E ci mancherebbe. La fortuna dice: oggi cade lo Yom Kippur, giorno sacro, in cui, forse, l’esercito israeliano non ucciderà nessuno. È tuttavia probabile si rifaranno nella settimana a seguire. Con gli interessi. Chi di interessi se ne intende è il bancario Vincenzo Coviello, di Intesa San Paolo. Pare che in tempi brevi abbia visitato/avuto accesso/scaricato ben settemila file corrispondenti a oltre tremila e cinquecento correntisti. Grazie a questi accessi il Coviello ha/avrebbe avuto la possibilità di leggere i dettagli della vita degli altri:se ha assunto dei collaboratori domestici, anche babysitter, risalire ai loro nominativi attraverso i pagamenti. E ancora: gli eventuali centri sportivi frequentati, anche dai famigliari, i luoghi di vacanza, i negozi che frequenta, i beni acquistati online, gli spostamenti o le preferenze del suo tempo libero, il pagamento delle tasse, eventuali prestiti effettuati o ricevuti,rimborsi fiscali, investimenti e donazioni di qualsiasi tipo, luoghi dove acquista i libri, farmacie da cui si rifornisce, medici specialisti ai quali s’è rivolta, strutture sanitarie,centri estetici. Questo hanno scritto il  Borzi Nicola e il Massari Antonio de Il Fatto Quotidiano. Però a fare quattro conti viene che settemila accessi diviso tremila e cinquecento correntisti fa, più o meno: due. Cioè due accessi per ogni correntista. Certo è la media del pollo, ma anche a considerare un solo accesso per moltissimi correntisti, cosa te ne fai di un solo accesso?, sui rimanenti rimangono comunque poche possibilità per capire i dettagli di una vita. Il Coviello sarebbe stato più astuto se avesse effettuato tanti accessi su pochissimi correntisti. Ma tant’è. Comunque la nazionale di calcio ha pareggiato con il Belgio, Tutto ciò posto, resta solo la speranza di una fine settimana senza pioggia.

Buona settimana e buona fortuna.

giovedì 10 ottobre 2024

DUE SPAGNE TRA STORIA,POLITICA E CALCIO




Espanolito qui vienes / al mundo/ te guarde Dios /Una de las dos Espanas/ha de helarte el corazon. (Piccolo spagnolo che vieni al mondo che Dio ti protegga Una delle due Spagne ti gelerà il cuore ) (Antonio Machado scrittore e poeta spagnolo
) Francisco Paulino Hermenegildo Teódulo Franco y Bahamonde, , meglio noto, anzi, tristemente noto, come Francisco Franco o Caudillo de Espana, seguiva il calcio con una passione quasi compulsiva.Identica, maniacale attenzione dedicò alla guida del governo, della Spagna, dal 1° ottobre del 1936 al 20 novembre del 1975. Trentanove anni di dittatura! Il Generalismo (generale dei generali) ,titolo in uso nell’esercito bizantino, che il Franco gradiva in particolar modo, era in grado di recitare le formazioni del Real Madrid di decenni prima. El Caudillo, dunque, improntò tutta la sua vita, pubblica e privata, a un solo stile: l’ultrà. Paul Preston, uno dei massimi esperti di Storia della Spagna contemporanea ha scritto.”Franco era particolarmente sensibile alla coreografia pseudo medievale che caratterizzava molti dei grandi eventi pubblici ai quali prendeva parte. Il suo ritratto, comunemente diffuso come re guerriero o, più precisamente, come El Cid aveva lo scopo sia di lusingare lui in persona, sia di rendere il nucleo centrale di quella che passava per l’ideologia della dittatura.” Da bravo merengue (tifoso del Real Madrid) Franco detestava, ma, è più esatto dire odiava i culès ( tifosi del Barca). Le ragioni di tanta animosità non erano solo calcistiche. La Catalogna era stata l’ultima ad arrendersi alle sue truppe che avevano conquistato l’intero paese. Una resistenza accanita che, nelle suggestive, Ramblas di Barcellona, assunse le caratteristiche di una sanguinosa guerriglia urbana. “ Le truppe d’occupazione entrarono in città – ha scritto Manuel Vàzquez Montalban – e quarta nelle organizzazioni da purgare, dopo i comunisti, gli anarchici e i separatisti c’era il Barcellona Football Club.” Agli inizi della rivolta franchista le truppe nazionaliste arrestarono e giustiziarono il presidente del Barca Josep Sunyol, simpatizzante della sinistra. Nel corso dell’offensiva finale, per piegare la ribelle Catalogna, il palazzo che ospitava la sede del club blaugrana, dove erano custoditi i trofei conquistati dalla squadra, fu bombardato e, praticamente, raso al suolo. Ma, la vendetta franchista non si limitò alla distruzione materiale della sede societaria. La punizione doveva essere completa. Andava dunque annientata l’identità del club barcellonese. Il nuovo regime impose il cambio di denominazione. Da Futbol Club Barcelona in Club de Futbol Barcelona. Una sottile perfidia per imporre la versione castigliana del nome. DUE SPAGNE Real Madrid e Barcellona non rappresentano solo due modi di intendere il calcio. Incarnano due modi di intendere la Spagna. Sono due Spagne, due popoli con storia e tradizioni diverse. Senza contare poi la lingua. A Madrid si parla il castigliano, che è quella ufficiale del Paese, della Casa Reale. A Barcellona si parla il catalano che a Madrid viene considerato, con un certo disprezzo, più o meno un dialetto. Il Real Madrid è da sempre la squadra del potere politico, governativo. Nel 1920, re Alfonso XIII,grande appassionato di sport e di calcio in particolare, patrocinò diverse società calcistiche che presero il titolo di Real, tra queste, oltre al Real Madrid, anche la Real Sociedad, Real Betis e Real Union.Un onore che, ovviamente, il Barcellona non ha mai rivendicato. Sotto il suo regno il Primo Ministro era Miguel Primo de Rivera che odiava il Barca con lo stesso accanimento del suo successore Francisco Franco. De Rivera bandì dal Regno il catalano e la bandiera della Catalogna. Ovviamente, in virtù del suo valore simbolico, il Barca subì una feroce repressione. Nel 1925, prima di una partita amichevole, i tifosi catalani fischiarono l’inno nazionale. De Rivera chiuse per sei mesi lo stadio e inflisse una pesante pena pecuniaria alla dirigenza.In Cuore di ghiaccio – il grande romanzo di Almudena Grandes, in realtà un affresco epico delle due Spagne – un personaggio prende a prestito il verso di Machado e dice :"Difenditi dalle domande, dalle risposte e dalle loro ragioni, o una delle due Spagne ti gelerà il cuore. Il mio cuore era di ghiaccio e bruciava.” BATALLON DEPORTIVO Nell’autunno del 1936 le truppe dei nazionalisti avanzavano in maniera inesorabile. L’Andalusia e l’Extremadura erano sotto il controllo dell’Armata Sud di Franco. L’obiettivo vero, strategico, ma anche simbolico, era la capitale. A Madrid si lavorava alacremente per organizzare la resistenza. Per contrastare l’offensiva nemica migliaia di lavoratori si organizzarono in corpi volontari. Ma, non solo lavoratori, anche il mondo dello sport volle unirsi allo sforzo. Nacque il Batallon Deportivo. Era costituito da atleti di varie discipline, professionisti e dilettanti. Furono parecchi i calciatori che chiesero di farne parte.Alcuni anche di prestigiosi club. Emilín1, Espinosa, García de la Puerta, Lekue, Quesada e Villita (Madrid CF); Cosme (dirigente, ex attaccante) e Marín (Athletic de Madrid); Fraisón (Sporting de Gijón); Gómez, Paquillo e Trinchant (Ferroviaria); Moleiro (Carabanchel); Alcántara e Pablito (Club Deportivo Nacional); Cotillo (Tranviaria); Pedrín (Salamanca); Rocasolano II (Mirandilla de Cádiz), più altri giocatori di squadre minori. I calciatori furono attivi anche nelle attività di propaganda. Più famosi degli atleti di altre discipline esercitavano un forte richiamo sulla popolazione. Si organizzavano, ad esempio,amichevoli e gli incassi venivano devoluti agli orfani di guerra. Verso la fine di settembre di quell’anno una formazione del Batallon disputò una partita contro l’Athletic di Madrid (antica denominazione dell’attuale Atlético), vinta 2-0 grazie alle reti di Trinchant e Pablito. Il calcio svolse un ruolo di rilievo nelle attività dello speciale reparto. Una compagnia prese il nome di Josep Sunyol, presidente del Barca assassinato dai franchisti Le mostrine, sulle divise dei soldati-sportivi, erano giallorosse, i colori delle maglie della nazionale spagnola di calcio. LE GRANDI SFIDE DEI CLASICOS El Clasico espanol è il derby delle due Spagne. Derby è una definizione non idonea, vi abbiamo fatto ricorso per dare una definizione immediata dell’evento, ma non è sufficiente. Ogni anno, Real Madrid e Barcellona, si affrontano in due partite che fermano il tempo della nazione iberica. Si tratta di una sfida, tra due club portatori di una forte identità, che, naturalmente, non è solo calcistica. Alcune di queste sfide hanno fatto storia e quando diciamo storia intendiamo quella con la S maiuscola. Il Clasico del 1943, nei libri di Storia, ci è entrato dalla porta principale. Franco è saldamente al potere. La Spagna, rammentiamo, non partecipò alla 2a guerra Mondiale. Si dichiarò neutrale. Era reduce da una sanguinosissima e lunghissima guerra civile e, nonostante le insistenze di Mussolini e di Hitler, non si unì all’Asse. La partita di andata si disputò, il 6 giugno del 1943, a Barcellona, allo stadio Les Corts. Davanti a 60 mila spettatori i blaugrana inflissero una severa lezione di calcio alle merengues: 3 a 0 il risultato finale. La stampa madrilena, com’era prevedibile, si scatenò. Critiche a non finire sull’arbitraggio. Il signor Fombona, secondo la stampa della capitale, , era stato intimidito dal pubblico. Non solo, la prima rete, in mischia,era stata preceduta da molti falli. Il rigore, seconda rete, era inesistente. Inoltre, al Real, non era stato convalidato un goal validissimo. Infine, l’inevitabile complotto ( la dietrologia è una storia antica ndr). Secondo i furibondi articolisti le manovre intimidatorie, a danno del Real, erano state orchestrate da un giornalista catalano. Un certo Juan Antonio Samaranch il futuro presidente del Comitato Olimpico Internazionale. Ad ogni modo, il 13 giugno 1943, si giocò la partita di ritorno.Lo stadio Chamartin di Madrid era una bolgia infernale. I tifosi del Real accorsero in massa. Prima della partita, agli ingressi, furono distribuiti dei fischietti i cui trilli acutissimi accolsero l’entrata in campo della compagine catalana. L’arbitro, il sig. Celestino Rodriguez, si presentò subito e si rivolse al capitano del Barcellona per chiedergli, con cipiglio severo, di mantenere la calma, altrimenti ci avrebbe pensato lui con qualche espulsione. LA CORRIDA DELLO CHAMARTIN L’intemerata del sig. Rodriguez fece capire subito ai barcellonesi che piega avrebbe preso il match. Gli avanti blaugrana, appena s’affacciavano nell’area madrilena ,venivano fermati da qualche strano fuorigioco. Riuscirono, tuttavia, a fare un goal, ma venne prontamente annullato dall’ineffabile senor Rodriguez. Ma, come si dice ,poiché le disgrazie non vengono mai da sole, il Barcellona perse due uomini. Uno espulso, l’altro infortunato e in più il portiere catalano fu costretto a stare fuori dall’area di rigore in quanto oggetto di una fitta sassaiola da parte dei tifosi madrileni, dotati peraltro anche di una buona mira. Ovviamente, in tali condizioni di gioco, il Real Madrid impiegò poco più di venti minuti per pareggiare i 3 goal subiti a Les Corts. Si andò, dunque, al riposo con gli spagnoli in vantaggio per 3 a 0. E fu durante l’intervallo che accadde l’incredibile. Il capitano dei catalani, si recò dal signor Rodriguez e lo informò che non sarebbero tornati in campo per la disputa del 2° tempo. Non intendevano mettere a repentaglio la loro incolumità fisica. L’arbitro riferisce a chi di dovere e, nel giro di un minuto, fece la sua comparsa, negli spogliatoi, il Capo della Polizia di Madrid. Senza giri di parole, con un tono che non ammetteva repliche, l’alto funzionario fece loro capire che il rifiuto di tornare in campo avrebbe avuto un prezzo altissimo. Intanto, la prosecuzione della loro carriera poteva finire quel pomeriggio, e, aspetto ancor più grave, la loro permanenza sul territorio iberico sarebbe dipesa dalla magnanimità del regime franchista. In pratica li minacciò di esilio forzato. Rassegnati i giocatori barcellonesi tornarono in campo e il risultato finale è ancora oggi ricordato: 11 a 1 per il Real Madrid. Ma, riteniamo che il trofeo del 1943, non sia esibito, dai merengues, con fiero orgoglio. O no?

martedì 1 ottobre 2024

Questa volta Francesco ha esagerato

Dal “chi sono io per giudicare”, si passa alla “frociaggine” e si arriva a calpestare lo strazio delle donne che abortiscono e si definiscono i medici sicari. Ma poi: son tutte buone le mamme del mondo?

Dal “chi sono io per giudicare”, si passa alla “frociaggine” e si arriva a calpestare lo strazio delle donne che abortiscono e si definiscono i medici sicari. Ma poi: son tutte buone le mamme del mondo?

Una delle storielle che circola in Vaticano recita così: “Tre sono i misteri gloriosi della Chiesa: quanti sono gli ordini francescani,  quanti soldi hanno i salesiani, e cosa pensano veramente i gesuiti”. Nel giorno della sua elezione Papa Francesco, gesuita, sembrava voler polverizzare quest’ultimo mistero e denunciarne la fallacia. Quel suo “buona sera” la diceva lunga, apparentemente, sulla trasparenza del suo pensiero. E sulla sua volontà di trasgressione. Poi il fatto che volesse saldare di tasca propria il conto di Santa Marta e il prendere i pasti con gli altri prelati e il non voler insediarsi negli appartamenti papali erano altrettante tracce del suo limpido, e in qualche modo incantato, modo di pensare e di essere. L’apoteosi si ebbe quando in aereo, a meno di un passo dal cielo vero, pronunciò la frase ritenuta topica per il suo pontificato: “Chi sono io per giudicare un gay?”. Ecco, appunto, chi sono io, che sei tu, chi siete voi, chi siamo noi tutti per giudicare? Tal quale va a parafrasare: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Era il 29 luglio 2013, dieci anni fa, o poco più. Dipoi la frase è stata reiterata anche il 6 aprile del 2019. Pure a un incallito laico cinico dadaista questi passaggi hanno fatto considerare con una certa simpatia il Papa gaucho, venuto dall’altra parte del mondo laddove è nata la teologia della liberazione, e senz’altro hanno contribuito a iniziare la demolizione del mito della doppiezza dei gesuiti. Errore. In un gesuita, come diceva la mia nonna Elisa, la doppiezza è innata anzi è connaturata. Impossibile da estirpare e soprattutto impossibile capire cosa pensi veramente un gesuita. “Quello è un gesuita” diceva nonna Elisa intendendo un uomo, sineddoche, ipocrita, dal doppio pensiero. Infatti il 27 maggio del 2024, l’altro ieri, si sente Francesco, il Papa, uscirsene con: “C’è aria di troppa frociaggine” riferito al fatto che le porte del seminario debbano essere chiuse agli aspiranti seminaristi gay. Era un contesto in qualche modo privato, ma si sa: le frasi dette in privato rispecchiano meglio di quelle dette in pubblico il vero sentire.  Epperò a stretto giro sono arrivate le scuse: “Non volevo offendere nessuno o esprimere sentimenti omofobi”. Sarà. Ma intanto lo sgretolamento della doppiezza è in rallentamento. Poi si arriva a ieri: “L’aborto è un omicidio e i medici che si prestano a questo sono, permettetemi la parola, sicari”. Ma come? Chi sei tu, Papa, per giudicare? Che ne sai tu, Papa, dello strazio provato da una donna nel momento della decisione di abortire? Che ne sai tu, Papa, delle condizioni e del contesto in cui una così terribile scelta viene compiuta. Che ne sai tu, Papa, delle motivazioni del medico? Che ne sai tu, Papa. La maternità ha da essere libera e consapevole: non tutte le mamme del mondo sono buone. Non sono poche le mamme che abortiscono i figli, sineddoche, tutti i giorni, dopo averli fatti nascere. Francesco, Papa, questa volta hai proprio esagerato, e hai deluso chi stava cambiando idea sui gesuiti. Perché non basta fondare un’organizzazione dal titolo Dicastero per lo sviluppo umano integrale, se non c’è il cuore per capire il dramma della vita. Quel che pensano veramente i gesuiti continuerà a rimanere un mistero. Neanche tanto bello.

Buona settimana e buona fortuna.

P.S. Segnalo, tra i tanti, due libri sul tema essere o non essere madri:  Interruzioni di Camilla Ghedini e Mia madre mi ha abortita quando avevo 56 anni, di Giorgio Mameli, entrambi per i tipi di GiraldiEditore  


mercoledì 7 agosto 2024

Giuseppina Carta intervista lo scrittore Giorgio PCA Mameli

 Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa intervista. Ospite dell’ultimo incontro stagionale di Guida alla Lettura, rubrica a cura di Giuseppina Carta sulle frequenze di Radio Olbia, lo scrittore Giorgio PCA Mameli.


Giuseppina Carta: Benvenuto Giorgio è sempre un piacere averti con noi per parlare dei tuoi libri.
Giorgio PCA Mameli: Bene, sono contento di essere qui per la quarta volta e ringrazio Giuseppina Carta e tutti gli amici che vorranno ascoltarci
Giuseppina: Andiamo a scoprire insieme chi è Giorgio PCA Mameli. Suo padre era sardo, di Cagliari, che per motivi di lavoro dovette trasferirsi a Milano, quindi Giorgio, a suo dire, è nato a Milano per sbaglio. Giorgio sin da piccolo ha sentito parlare del celebre tenente dell’Aeronautica Militare Mario Mameli, che era fratello di suo padre. L’eroe medaglia d’argento al valor militare a cui è stato dedicato l’aeroporto di Cagliari. Questa figura lo ha accompagnato negli studi genealogici che negli anni ha curato. In verità nella famiglia vi è anche un altro personaggio illustre: Evelina Mameli Cubeddu che sposò Mario Calvino da cui ebbe Italo che è stato uno dei narratori italiani più importanti del ‘900. Giorgio attualmente collabora con quotidiani e radio, ama la letteratura, la filosofia, il jazz e l’equitazione. Oggi ci parlerà del suo ultimo libro di racconti: La Cadillac Eldorado color verde acqua e altri racconti, Gruppo Editoriale Bonanno. Dopo i tre romanzi: Mia madre mi ha abortita quando avevo 56 anni, Io sono Bianca, Il riparatore di Libri oggi ci parlerai de La Cadillac Eldorado color verde acqua e altri racconti.
Giorgio: Sì, si tratta di ventidue racconti selezionati tra circa un centinaio, scritti tra un romanzo e l’altro: idee … intuizioni … sensazioni che non ho voluto lasciarmi scappare. Ad esempio:  La settimana che cominciò di mercoledì è nato prima come sceneggiatura e poi è diventato un racconto.
Giuseppina: Quindi sono racconti molto diversi l’uno dall’altro.
Giorgio: Credo così debbano essere le raccolte. Ogni racconto rappresenta un momento, una situazione, uno stato d’animo particolare. I racconti sono degli specchi o delle fotografie, ci si riflette … ci si rivede. E quindi l’ho considerata una passeggiata allegorica-creativa-verista tra i fatti della vita
Giuseppina: E tu di fatti della vita, come li chiami? Ne hai individuati parecchi. Mi ha molto divertito Flirt Muto, ma sembra che manchi il finale. Come va a finire?
Giorgio: Flirt Muto non è l’unico a sembrare di terminare nel nulla. Anche ne Il Vento e in Cosa vuoi fare da grande, in L’esame  e in qualche altro ho voluto usare questo approccio, cioè lasciare al lettore la possibilità di non fermarsi all’ultima riga, ma andare avanti da solo e costruirsi il suo proprio finale .
Giuseppina: Tu, in questo caso, stai chiedendo molto al lettore.
Giorgio: Sì, certo, gli sto chiedendo molto. Voglio che partecipi e non si limiti a leggere.
Giuseppina: Richiesta ambiziosa.  Ho visto che hai ambientato alcuni racconti in Sardegna …
Giorgio: Tengo molto alla mia sardità e la Sardegna è sempre in cima ai miei pensieri e quindi non ho potuto resistere alla tentazione. Oltre a Il vento ho collocato nell’Isola anche La Cadillac Eldorado e Cannellas alludas.
Giuseppina: Con alcune frasi in lingua sarda…
Giorgio: In verità mi hanno aiutato diversi amici sardi e così ho imparato nuove parole e nuove  espressioni. 

“Gli uomini fermarono i cavalli a cinque o sei passi da su stabi [la veranda] era sopralzato di due gradini, con il pavimento in legno. Uno dei due cavalli si scrollò ed emise un suono basso e gutturale: un nitrito di saluto, quello legato rispose brevemente. Dopo pochi istanti la porta si

aprì e sulla soglia apparve un uomo di media altezza, nella mano destra teneva su bonette [berretto tradizionale sardo] e nella sinistra sa scopetta [fucile]. Scesi i due gradini si fermò, inspirò a pieni polmoni l’aria fresca dell’alba, sorrise e camminò con movenze lente verso i nuovi venuti , nel mentre si mise a tracolla il fucile, si ravviò con la mano destra i capelli, neri, duri, ondulati e calzò il berretto. Quando fu a un passo da loro entrambi si scoprirono il capo e uno dei due disse: «Salude [salute], don Gavinu» mentre l’altro non parlò, si limitò ad abbassare la testa. Don Gavino rispose prima con un cenno e poi disse: «Salude a bois [a voi]» Montò in sella con agilità e girò il cavallo fino ad avere i due di fronte. Li fissò con occhi penetranti, prima uno e poi l’altro, entrambi ressero lo sguardo e con voce chiara e calma disse: «Cannelas alludas‘nde lassamus [candele accese non ne lasciamo]». Dopo qualche secondo i due ripeterono all’unisono: «Cannelas alludas nun ‘nde lassamus.»  L’uomo chiamato don Gavinu assentì con gravità, toccò leggermente col tallone il fianco del cavallo, questo ruotò docilmente attorno alla sua gamba, poi guardò l’orizzonte e senza un cenno si avviò nella direzione opposta a quella dalla quale erano venuti i due.” (da Cannellas alludas)

 

Giuseppina: Hai anche disegnato una bella descrizione di Bergamo.
Giorgio: Sì, grazie. Grazie per “la bella descrizione”. Abito in un piccolo paese della provincia bergamasca e il racconto  è un omaggio a Bergamo. È intitolato  Un sentire di piazza vecchia.  Bergamo è una città che ammiro: poliedrica, molto bella, austera, elegante, con un forte tratto esoterico e Piazza Vecchia riassume in sé queste caratteristiche. Pensa che per poter entrare nella Basilica di Santa Maria Maggiore bisogna passare sotto il Palazzo della Ragione e questa è solo una delle tante aporie della città.
Giuseppina: Puoi dirmi qual è il racconto a cui ti sei più affezionato, non quello che più ti piace.
Giorgio:  Senz’altro sono molto affezionato a Piazza di Siena: domenica pomeriggio. Riprende la mia passione per l’equitazione ed è atto di affetto, purtroppo postumo, verso il mio cavallo. Ho cercato di mettere su carta le emozioni che Discovery, il mio cavallo, mi ha regalato nei dieci anni in cui siamo stati insieme. Mi ha dato molto e gli devo molto. A stare in groppa ad un cavallo si provano emozioni uniche e spesso  mi sono ritrovato nelle parole di . Margerite Yourcenar  quando, ne Le Memorie di Adriano, descrive il rapporto tra l’imperatore e Boristene, il suo cavallo.
Giuseppina:  Quindi, in qualche modo, la somma di questi tuoi racconti tracciano una sorta di tua biografia.
Giorgio:  In qualche modo si può dire così, ma bisogna districarsi tra allegorie e metafore. Non è proprio una biografia puntuale e anche un po’ burocratica.
Giuseppina: Per terminare un’ultima domanda: per il futuro cosa hai in cantiere?
Giorgio: Ho appena consegnato alla casa editrice la biografia dell’aviatore a cui è intitolato l’aeroporto di Cagliari. È un progetto su cui ho lavorato per oltre un anno, raccogliendo una discreta mole di documenti e di fotografie. Ci tengo molto e conto esca al più presto.
Giuseppina: Grazie Giorgio per essere stato con noi di Radio Olbia. Spero di poter presto leggere il tuo nuovo libro: la biografia dell’aviatore. Grazie ancora e buona estate a tutti. 


Buona settimana e buona fortuna. 

PS. Non è la prima volta che il Vicario Imperiale pubblica un pezzo non suo. Tra quelli che giungono in redazione si seleziona quello ritenuto più interessante per contenuto e forma. Non capita spesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 2 agosto 2024

I cazzotti fanno male.

 L’aveva già scandito Artemio Altidori nel 1963. La Carini Angela, detta Tigre, l’ha scoperto nel 2014. Ancora in scena la pièce dal titolo "l’underdog piagnone", protagonista Meloni Giorgia.

«I cazzotti fanno male» ricorda Artemio Altidori, pugile suonato  interpretato da Vittorio Gassman in La nobile arte, epico episodio  de I Mostri in coppia con Ugo Tognazzi.  E che i cazzotti facciano male doveva saperlo anche la Carini Angela, soprannominata Tigre, prima di salire sul ring delle Olimpiadi parigine. Doveva saperlo da tempo: i cazzotti fanno male soprattutto quelli stoppati con il naso e a scorrere le fotografie dei grandi pugili lo si vede con chiarezza. Fa male anche vedere una atleta ritirarsi dopo quarantacinque secondi e poi buttarsi sul tappeto in ginocchio e piangere. Suona un po’ come sceneggiata napoletana, proprio come se la immaginano a Parigi e nel resto del mondo quando pensano agli abitanti dello stivale. Anche i cronisti della tv nazionale sono rimasti basiti. L’episodio poteva finire lì: i soliti italiani. Ma è voluta intervenire la Meloni Giorgia, giornalista, in arte deputata e presidente del Consiglio dei ministri d’Italia, seguita dal presidente del Senato, da qualche ministro e alla fine dal governo tutto. E all’unisono si sono messi ad accusare l’avversaria della boxeur nostrana: la tunisina Imane Khelif di essere, detto con sineddoche,  un uomo che picchia una donna. Ridicolo, visto il contesto.  La colpa della magrebina è di avere un livello di testosterone, ormone maschile, ce l’hanno anche le donne, superiore a quello della Carini eppur tuttavia entro i limiti imposti dal CIO. Quindi tutto regolare? Certamente no: non è stato un incontro ad armi pari, ancora sineddoche, hanno tuonato alcuni giornalisti, cani (ammaestrati) da guardia del governo, i quali non si sono neppure peritati di dare un’occhiata al palmares di Imane Khelif:  51 incontri, vinti 42, per ko 6, persi 9, quindi tutt’altro che una rodomonte. E poteva finire anche qui, invece ancora no. La Meloni Giorgia insiste: chiede ed ottiene un incontro con Bach Thomas,  presidente del CIO, per uno scambio di vedute sull’andamento dei giochi. C’è da immaginarsi il commento dell’incolpevole Thomas alla fine dell’incontro. Meglio non sapere. La piéce underdog piagnone sta replicando da ormai due anni e non ha mai fatto ridere. A postilla si può dire: underdog significa perdente e non piagnone e piagnone fa rima con fregnone che fa rima con …

Buona settimana e buona fortuna.

lunedì 22 luglio 2024

Avere Dio al fianco

 

I had God on my side, la nuova frase topica della retorica trumpiana. Il primo a tirare per la giacchetta l’Onnipotente è stato papa Urbano II era il 1059. Da lì in avanti è stata una strada in discesa.


Come noto il Trump Donald, nonché John, è scampato per pochi centimetri a una pallottola che avrebbe potuto farlo secco e, in contemporanea, cambiare la storia del mondo per i prossimi decenni a venire.  Il caso così ha voluto.  Tuttavia il Trump Donald John, nipote di immigrati tedeschi in seguito divenuti milionari, non poteva accontentarsi di un concetto così astruso come il caso e quindi ha ben pensato di rivolgersi a qualcosa di ben più concreto come il concetto divino. Quindi, durante il discorso di accettazione a candidato per il partito repubblicano, non ha avuto tema di affermare: I had God on my side. Non Dio mi ha salvato, non Dio ha deviato la pallottola, ma Dio era al mio fianco, come un parente e anche di più: l’amico del cuore. Non si sa cosa abbia pensato Dio di questa affermazione, come noto non sempre palesa con chiarezza i suoi intendimenti. Quel che è certo, da fonti di solito non informate, il Trump Donald si sarebbe trattenuto dal dire, solo per modestia, di aver appoggiato la sua mano sulla spalla dell’amico, ma l’ha fatto ben intendere. Il fatto che personaggi i più vari abbiano sostenuto il coinvolgimento di Dio  sulle piccole cose del nostro mondo e specificatamente in quelle della politica è antico di quasi mille anni. Il primo a tirare per la giacchetta l’Onnipotente pare sia stato tale Urbano II, papa, in quel di Clermont-Ferrant, era il 1095 quando affermò inopinatamente: Dio lo vuole. La frase fu alla base della prima crociata e successive, ovvero sangue a catinelle. Il coinvolgimento del Creatore senz’altro piace a metodisti, presbiteriani e altri protestanti, lascia indifferenti i buddisti, sola religione senza Dio, è incomprensibile agli induisti, lascia perplessi i mussulmani, divertiti i cattolici e ironici gli atei. Questi ultimi, soprattutto quelli del vecchio mondo, ricordano come questo apparentamento non sempre abbia portato bene e citano il motto Gott mit uns: nato con l’Ordine Teutonico ha attraversato i secoli, impero tedesco, repubblica di Weimar,  fino ad arrivare all’esercito tedesco del terzo Reich nazista. E non è andata proprio bene. Mentre quelli dello Stivale hanno nella mente l’uomo della provvidenza e più recentemente il barzellettiere autodefinitosi l’unto del signore, ma questo non è stato sufficiente a  salvarlo dalla condanna per frode fiscale. Se tanto dà tanto nei panni di Trump Donald John c’è poco da stare allegri.

Buona settimana e buona fortuna.

domenica 23 giugno 2024

È morto Satmam Singh e quindi?

Ennesima morte sul lavoro. Ce ne sono state molte altre e molte altre ce ne saranno. Però ci si indigna, ci si costerna e lo Stato che fa? Getta la spugna con dignità.


È morto Santam Singh e quindi? E quindi niente. La solita storia. Satman Singh non è stato il primo a morire sul posto di lavoro, molti altri prima di lui e non è stato neppure l’ultimo, altri dopo di lui a poche ore di distanza e altri ancora ne verranno nei prossimi giorni, settimane, mesi, anni. È la norma. Satman Singh era uno straniero come altre cinque milioni di persone. Satman Singh era un immigrato irregolare come circa altri cinquecento o seicento mila, fonte Istat. Non è una novità. Satman Singh lavorava per pochi euro all’ora: c’è chi dice tre e chi dice cinque. È probabile che fossero cinque , ma è altrettanto probabile che due finissero nelle tasche di un caporale, quindi erano tre o forse anche meno. Ho sentito di una lavapiatti che era remunerata con due euro e quaranta centesimi, quando ha chiesto un aumento di venti centesimi è stata licenziata. Una macchina ha tranciato il braccio di Santam Singh e il titolare dell’impresa l’ha caricato sul furgone, coscienziosamente ha messo il braccio in una cassetta della frutta e ha scaricato il tutto davanti alla casa dove abitava. Questi i fatti e le reazioni? La solita paccottiglia di costernazione, di indignazione, di solidarietà, questa come le due precedenti viene elargita a profusione: non costa nulla quindi meglio abbondare.  E il governo? Il governo si impegna spasmodicamente a stabilire pene ancora più severe,basterebbe si applicassero quelle attuali e ce ne sarebbe d’avanzo, ma sarebbe troppo semplice. Ad ogni problema complesso va data una risposta complicata e più complicata è meglio è. Einstein non lo sapeva e quindi ha formulato la teoria della relatività con una formuletta semplice semplice.  La ministra del lavoro, Calderone Maria Elvira ha deciso di dichiarare guerra al caporalato, come la Meloni Giorgia  ai trafficanti di uomini, dopo il massacro di Cutro. Per essere credibile la Calderone Maria Elviraha sciorinato numeri: oltre duecentomila aziende in Italia, quattromila controlli che nel giro di brevissimo diventeranno nientepopodimenoche ottomila. Aumento del cento per cento. Quindi oltre duecentomila aziende e ottomila controlli, ammesso e non concesso verranno effettuati, definiti attraverso un algoritmo super sofisticato. Se poi si fan due conti c’è da scompiscarsi. Tutti sanno dove stanno gli immigrati nell’Agro Pontino, come nella Capitanata, come in Franciacorta o nelle Langhe o nell’Emilia grassa: la terra è lì, ferma, immobile, basta visitarla nei momenti topici della raccolta: non a campione, ma a tappeto: a pettine. E non semel in anno, ma tutti i giorni. Epperò così si perdono molti voti perché c’è da scommetterci: quei padroni, amici dei caporali, con le tasse proprio non ci vanno a braccetto e chi difende gli evasori o elusori, poco cambia, sono proprio quelli che emettono l’equivalente delle grida di cui raccontava Alessandro Manzoni. Come sempre tutto si tiene. Da due giorni è iniziata l’estate quindi prova costume e, come non bastasse, da qualcuno di più anche i campionati europei di calcio e il povero Satman Singh in ventiquattro ore è passato dalla prima alla quinta notizia nella scaletta dei telegiornali. Così va la vita: tutti sanno e tutti tacciono. Trasmissioni televisive come Piazza Pulita e Report hanno denunciato più volte la situazione, ma oramai la televisione nessuno la guarda più, specie chi adagia pesanti e flaccidi natiche sugli scranni del governo. Sia di sinistra sia di destra. Per fortuna questa volta non s’è levato il commento stile Cutro: se non vuoi perdere un braccio e poi morire dissanguato stai a casa tua! Un'assenza diventa un fatto concreto. Meglio di niente.

Buona fortuna e lieta settimana.

lunedì 15 aprile 2024

Eccellenza della sanità in Lombardia: il Besta

 Sotto l’ombrello “sanità” trovano due branche ben precise quella medica e quella burocratica amministrativa. Due branche, due valutazioni, due costi.



La regione Lombardia mena gran vanto delle sue eccellenze nell’ambito della sanità e ne ha ben donde.  Tuttavia c’è da dire: sotto il cappello “sanità” trovano spazio due branche ben precise quella medica e quella burocratica amministrativa. Ora sulla parte medica, la vera sanità gestita dai ricercatori, dai medici e dagli infermieri tocca in Lombardia, come del resto in molte altre parti dell’Italia punte di notevole qualità, ma questa è solo la parte buona della mela; quella senza il baco dentro. L’altra metà racconta una storia diversa. Anche all’istituto Besta di Milano. Accompagno un amico che con la bella ricetta rossa deve prenotare una prestazione neurologica. Già all’ingresso bisogna attendere qualche minuto la persona addetta alle informazioni: nel suo gabbiotto sta parlando con altre persone e c’è da attendere la fine della conversazione per avere la sua attenzione. Peraltro indossa la maglietta di un altro ente e quindi viene il sospetto che non sia un dipendente della struttura, però è solo un incaglio veniale. Forse. Avuta l’informazione si entra nella sala d’attesa, già vi stazionano, mal contate, oltre una trentina di persone: l’aria è un po’ pesante, ma come diceva il non rimpianto Draghi “si può sopportare un po’ di caldo (e altro) per la difesa della democrazia”. Evvabbè, mettiamo quell’aria mefitica in quel conto. Raccolto il numerino si butta un’occhiata un po’ distratta allo schermo delle chiamate e l’intuizione è immediata: numeri davanti ce n’è un bel po’. Dopo una decina di minuti di chiacchiere si torna a guardare lo schermo con più attenzione e si nota un’anomalia: gli sportelli aperti sono solo due. Come? Solo due sportelli al Besta con oltre, mal contate, trenta persone in paziente attesa? No gli sportelli del CUP al Besta di Milano, via Celoria 1, non sono due sono sei, ma quattro chiusi. Evvabbé, si risparmia sul personale e del costo sociale delle mal contate trenta persone chi se ne occupa? Sullo schermo del televisore, ogni sala d’attesa deve avere un televisore, compaiono in sequenza le figure istituzionali a partire dal direttore generale, la missione (ovviamente nobile e ben scritta da un’agenzia di comunicazione), le prestazioni e naturalmente l’immancabile intramoenia cioè le prestazioni a pagamento, Si avvicina il mezzodì e come per incanto spunta un nuovo sportello il numero 3. Ed è un vero incanto poiché fa una sola chiamata e… scompare. Per non essere da meno anche lo sportello 2 chiude i battenti. È l’ora della pausa pranzo.  È giusto.  Finalmente dopo quaranta minuti e una serie di numeri chiamati a vuoto (ci fossero stati saremmo ancora lì)  tocca al mio amico. La persona oltre il vetro deve subire un piccolo attacco, tutto sommato quasi educato, di un utente che teme di perdere la visita, ma regge bene e ci sorride. Ciò nonostante si nota il suo affaticamento. Prende dunque la ricetta e dopo aver fatto danzare le sue affusolate dita sui tasti del pc con un sorriso comunica la data prevista della visita: marzo 2025. Malcontato un anno. Un anno, vi rendete conto? La giustificazione: «Non c’è posto». Il mio amico è uno tignoso e quindi chiede quando poter effettuare la visita a pagamento. L’apertura delle acque del mar Rosso stupirono di meno Mosé e le sue dodici tribù: nei primi giorni di maggio (siamo a metà aprile) c’è posto. Fra solo, mal contati, quindici giorni. A modico importo: appena 202,00€. Per i non addetti ai lavori: 200,00€ di visita, da spartirsi tra la struttura e il medico e 2,00€ di marca da bollo a incasso dello Stato. «Allora non è vero non ci sia posto: basta pagare». Di là dal vetro ci si stringe tra le spalle e si mandano gli occhi al cielo. Ecco questa parte della sanità, in Lombardia come in molte altre parti d’Italia fa schifo: non ci sono i fondi per il personale da mettere agli sportelli, non ci sono i fondi per supplire alle intramoenia, ma ci sono i fondi per la corruzione, Roberto Formigoni docet.