Letta tenta la roulette russa con cinque colpi nel tamburo e una sola camera vuota. Nel PD non si parla tanto di programmi, non saprebbero da che parte cominciare, quanto di candidature. E naturalmente di alleanze. Neanche Groucho Marx ne avrebbe immaginate di simili.
Questa
volta a dirlo non è il Renzi Matteo, ma lo stesso Enrico Letta. Il risultato
sarà sostanzialmente lo stesso e non è detto ci sarà ancora un posto a Science
Po ad aspettarlo. Quando i fallimenti diventano troppi il valore delle scuse
scema. Comunque, per non saper né leggere né scrivere a guardare quelli che
passano per essere i prossimi futuri parlamentari del PD scorre un brivido
lungo la schiena: sono gli stessi degli ultimi quindici anni. Gli stessi, come
ha ricordato Gianni Cuerlo (anche lui speranzoso di tornare in Parlamento) a InOnda del 30 luglio, che hanno
regolarmente pertato il PD a perdere le elezioni e pure si sono trovati a governare
e in quei governi, Draghi incluso, hanno contato come il due di picche
meravigliosamente interpretando la parte dello stuoino. A partire dallo steso
Letta Enrico sempre prono, meglio
sarebbe stato di no, ai tecnici prestati alla politica. Forse qualcuno ricorda
il biglietto autografo mandato al Monti Mario nella seduta in cui questi ottenne,
ahinoi, la fiducia. Il Monti Mario, con la classe che lo contraddistingue,
sventolò a favore di telecamere il miserrimo scritto di sudditanza
sbertucciandone l’estensore. Al dunque pare che i collegi sicuri andranno ai
renziani del PD, da Marcucci a Lotti (quello che trafficava con Palamara), da
Del Rio alla Serrachiani e magari anche dalla Ascani e alla Morani. Se qualcuno
vorrà spiegare il loro valore aggiunto per il Paese, per il parlamento e per il
partito sarà ben accetto. Poi naturalmente, il bel correntone del Guerini
Lorenzo che tra gli adepti renziani vanta pure, se non ha cambiato corrente
proprio in questi giorni, il Piero Fassino. La volta passata per farsi
eleggere, lui piemontese, è andato in Emilia-Romagna, collegio supersicuro. Naturalmente
nel club non può mancare il Franceschini Dario, quello che spalancò la porta
della segreteria al Renzi Matteo. Bell’affare. Naturalmente il Franceschini
amerebbe avere al suo fianco in uno dei due rami del parlamento anche la moglie
e non sarebbe il primo caso. E poi c’è la questione delle alleanze e qui
neanche Groucho Marx ci sarebbe arrivato: abbracciare il Calenda Carlo. Quel
bravissimo Calenda Carlo, ex Italia Futura, ex scelta Civica, capace di essere
capolista per il PD nelle Euappena del
2019 e, appena eletto capace di abbandonare il PD (quindi all’elenco va
aggiunto anche ex PD) mantenendo tuttavia il seggio, chissà quando ci va, a
Strasburgo e ovviamente lo stipendio. Oggi quel Calenda, mentre il Letta Enrico
trepida, sta valutando se allearsi con il suo ex partito portandosi qualche berlusconiano
di lungo corso: il Brunetta, la Gelmini e la Carfagna. Resta a vedere se dietro
questi nomi ci saranno anche voti. E poi come fantasma aggirantesi nel panorama
politico sta il Renzi Matteo. Due spiccioli di voti, ma agognato come fosse il
depositario dell’asso vincente. Per pudore, si spera, il Letta non lo vuole
nelle sue liste, ma consente a garantirgli tre/quattro posti sicuri tramite il
Calenda: come fare la roulette russa con cinque colpi nel tamburo e lasciarne
vuota una sola camera. Anche qui la domanda è d’obbligo: qual è il valore
aggiunto apportato alla politica
italiana dal Renzi Matteo? Al di là di parole mancate, tradimenti e volubilità
d’affetti. Tutte cose già viste e agite con maggior classe dai vecchi della
vecchia DC. B the way il Renzie ha le sue radici proprio lì.
Quindi:
stai sereno Enrico. E spera ci sia ancora qualche posto libero in Francia.
Buona
settimana e buona fortuna.
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