Ciò che possiamo licenziare

sabato 20 giugno 2020

Investimenti, Cassazione & IMU

Si parla spesso della farraginosità del sistema legislativo-giudiziario-fiscale del Belpaese e si portano ad esempio casi eclatanti, che si sgonfiano nel giro di breve. Quasi mai si racconta di quelle piccole, semplici, banali falle che rovinano la vita a milioni di italici.

 

Dice la vulgata che molte imprese straniere non sono disposte ad investire nell’italico stivale perché temono i biblici tempi della nostrana giustizia, la non certezza delle leggi e un fisco esoso e talvolta iniquo. L’IMU, la tassa simil-patrimoniale sulla casa che quest’anno frutterà all’erario, spannometricamente calcolati 25 miliardi, nel suo piccolo, rappresenta il paradigma del malessere dell’apparto legislativo-giudiziario-fiscale del Belpaese. Ne sono testimoni i tanti contenziosi che stanno scandendo  la vita di questa tassa. Ci si domanderà perché si parli proprio di IMU quando ben altre e ancor più macroscopiche sono le deficienze del sistema e la risposta è semplice: perché il diavolo si annida nei dettagli e poi che questi sono tempi di IMU. Molto di quello che riguarda questa tassa è un bel papocchio. Una volta c’era l’ICI, semplice e chiara tassa comunale sugli immobili che, con demagogico gesto fu abolita di punto in bianco per far vincere le elezione alla  prima versione del populismo nostrano.  Il popolo nella sua versione bue, per un piatto di lenticchie si predispose ad una ben più onerosa tassazione. Ma tant’è: gli italici non brillano per lungimiranza politica, sempre disposti come sono a seguire il pifferaio magico di turno. Infatti, a breve giro, per colmare il buco del mancato introito dell’ICI arrivò l’IMU, assai più onerosa. L’IMU non si applica sulla abitazione principale o prima casa, sempre che non sia di lusso o un castello, ma solo sulla seconda e altre possedute e qui un minimo di logica ci sta. Sulla definizione di abitazione principale e suoi corollari inizia la confusione: cos’è abitazione principale? Logica, sempre lei, vorrebbe che si intendesse l’unica dove il proprietario dimora e abitualmente vive. Ma così non è: come per incanto appare il sociologico concetto di nucleo familiare.  E qui il gatto si morde la coda: poiché il nucleo familiare è dato dai componenti che vivono sotto lo stesso tetto, ma quel tetto è principale solo se il nucleo familiare ci vive. Comma 22. Si dirà; c’è l’anagrafe che può dirimere il busillis. Già, ma il fatto è che, DPR 30 maggio 1989, una famiglia anagrafica può essere composta da una sola persona. E qui si aprono i contenziosi: due coniugi ciascuno proprietario di un immobile, che per motivi loro, hanno deciso di vivere abitualmente in due dimore diverse, in comuni e provincie o regioni diverse come si devono comportare? Il MEF, Ministero dell’Economia e delle Finanze, aveva stranamente previsto questa possibilità e quindi aveva stabilito con lungimiranza, circolare 3/DF maggio 2012, che nel caso in questione: due coniugi, due proprietari al 100%, due abitazioni, due comuni, se verificata l’abitualità della dimora, dimostrata dai consumi di acqua, elettricità, telefono, ognuna avesse diritto ad essere considerata abitazione principale. Sembra logico: due nuclei familiari uguale due abitazioni principali. Ma i Comuni hanno necessità di rimpinguare le loro casse e allora come non dare un aiutino, magari dalla magistratura. E infatti, a questo punto (febbraio 2020) interviene la Cassazione che, ex abrupto, con due ordinanze, che si svolgono in camera di consiglio dunque senza possibilità di contraddittorio tra le parti, stabilisce come sostanzialmente non validi sia il DPR del 1989 sia la circolare del Ministero del 2012, a cui molti contribuenti si sono attenuti negli anni. Questo detto a proposito della certezza del diritto. Ma la questione non finisce qui. Poiché ci vogliono in media,millecentodieci giorni, tradotto tre anni e briscola, perché un  procedimento si chiuda in Cassazione, cui vanno sommati i tempi di primo grado ed appello che cubano mediamente ad altri tre anni e briscola; totale sei anni e briscola, fonte Ministero della Giustizia, ci si può ben immaginare il danno a strascico che si viene a creare nei confronti di chi fino a quel momento ha seguito le indicazioni del Ministero. Come aggiunta: l’ordinanza in questione ha effetto retroattivo. E non, come sarebbe ovvio, dal momento di emissione della ordinanza stessa in avanti. Questa è la diversità tra legalità e giustizia. Infine il soccombente si troverà a dover saldare oltre all’imposta che legittimamente riteneva non dovuta anche more, interessi e sanzioni.
Dice la vulgata che molte imprese straniere non sono disposte ad investire nell’italico stivale perché temono i biblici tempi della nostrana giustizia, la non certezza delle leggi e un fisco esoso e talvolta iniquo. Chi l’avrebbe mai detto.
Buona settimana e buona fortuna.

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