Ciò che possiamo licenziare

venerdì 5 giugno 2020

Gaudeamus igitur: la Corte dei Conti sulla sanità.

La Corte dei Conti è arrivata, con decenni di ritardo, là dove la casalinga di Voghera già tutto aveva capito. Se nascono meno di cinquecento bambini all’anno si chiude il reparto di ostetricia. E se ne nasceranno cinquecento e dieci.che si fa? Si riapre? Il caso dell’ospedale di Priario.


 
Gaudeamus igitur!  La Corte dei Conti, che nel triste panorama delle istituzioni nazionali pare essere una delle più efficienti, se non la più efficiente, dopo aver letto carte e controcarte, aver fatto ponzamnti ponzamenti e controponzamenti è arrivata alla conclusione che la sanità pubblica nell’italico paese non funziona. O, per come si legge nel rapporto: “la concentrazione delle cure ospedaliere in grandi strutture specializzate” accompagnata da anni di tagli alla spesa hanno causato “una sostanziale debolezza della rete territoriale”. Che tradotto significa: hanno distrutto e sempre più stanno massacrando la sanità pubblica. Il tutto certificato da un bel bollo tondo, come si usa nella migliore tradizione della burocrazia italica, dalla Grande Guerra in avanti. Certo è che se i dotti professionisti della Corte dei Conti sull’argomento avessero letto qualche giornale o preso visione di qualche trasmissione televisiva di denuncia, anche solo episodicamente, avrebbero potuto lanciare il loro grido di allarme con almeno una decina di anni d’anticipo.  Magari senza attendere che si perdessero ventisettemila lavoratori e ventimila posti letto e che qualche devoto al voto di povertà si mettesse in tasca diverse milionate e passasse le vacanze su yacht di lusso. Recuperare adesso quei posti di lavoro, quei posti letto e quelle milionate sarà una bella impresa Tra l’altro sono stati anche smantellati quei piccoli simpatici ospedali che tanto facevano per il presidio locale. E quando non sono stati smantellati gli ospedali sono stati chiusi i reparti. È il caso, giusto per stare in medias res del reparto di ostetricia e pediatria dell’ospedale di Priario, in quel di Clusone, guarda caso Lombardia, guarda caso provincia di Bergamo, guarda caso Valseriana: se ne prospetta la chiusura poiché negli ultimi tempi sono nati  meno di cinquecento bambini all’anno. Giusto per puntualizzare: l’ospedale più vicino è quello di Alzano Lombardo a ventotto chilometri di distanza. E se dall’anno prossimo i nascituri diventeranno cinquecento e dieci? Sarà difficile riaprire il già chiuso. Scelte queste fatte sulla base di numeri inequivocabili, come spesso hanno cialtronato dalle televisioni gli esperti in tagli. Tecnocrati per le cui testoline mettere in relazione costo specifico con costo sociale è operazione improba. Al di là delle loro forze. E guarda caso la loro sanità è garantita da ricche assicurazioni. Così come accade anche per i parlamentari. Ricordate quale fu la prima azione di Ivan Scalfarotto* appena entrato in parlamento? Correre a iscriversi all’assistenza sanitaria parlamentare ed estenderla al suo compagno. Fatto indubbiamente legittimo che però i comuni mortali (giornalisti a parte) non potevano ottenere: le compagne o i compagni, le così dette unioni di fatto, non possono essere messi a carico. Al dunque La Corte dei Conti è giunta alla conclusione: distruzione della sanità pubblica. La casalinga di Voghera, con i suoi limitati mezzi, ci era arrivata da sola e subito, alle prime avvisaglie. Giusto ad omaggio della cronaca, sempre in Lombardia, per avere una visita dermatologica, un anno di attesa, per una TAC, quando va bene sei mesi, per una Risonanaza Magnetica sette mesi se va bene, oltre un anno se va meno bene. Provate poi a telefonare ad un qualsiasi ospedale e scoprirete che il tempo d’attesa al centralino è mediamente di cinque minuti, se poi chiedere di un reparto, questi salgono a venti e magari vi sentirete rispondere che non danno informazioni: bisogna scrivere una mail. Che il tempo speso in attesa e di scrittura dell’indirizzo mail avrebbe potuto essere meglio impiegato nel dare l’informazione richiesta. A questo punto gaudeamus, ma un po’ meno.
Buona settimana e buona fortuna.


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