Uguali
in quasi tutto eccetto che nel rapporto con i libri. Renzi sa come fare
scouting, d’altra parte viene dagli scout. Sa dividere il rischio con gli avversari. Il caso Vasco Errani. D’Alema invece vuol fare tutto da solo. La sua sembra una rentrée
alla Artemio Altidori.
Massimo D'Alema e Matteo Renzi: padre e figlio |
I due non si
sono mai amati. Troppo simili per essersi reciprocamente simpatici. Gli uguali
si sa si respingono. Entrambi si credono diretta emanazione del cielo anche se non sono
così allocchi da dichiararlo pubblicamente. Arroganti e spocchiosi oltre il
giusto, hanno con la base lo stesso rapporto di tranquillo disprezzo: il D’Alema
gli parla come se fosse composta da deficienti, diciamo, mentre l’altro la
tratta come un sex toy. L’unico atteggiamento che li differenzia è il rapporto
con il libri: feticistico per il post comunista da usarsi come fermaporte per il democristiano
di nuovo conio. Adesso si scazzottano avendo come ring le feste del l’Unità nel bel mezzo di una situazione
politica particolarmente complessa, quando mai è stata semplice?, Il fatto che
frau Merkel si sia spostata due volte per venire in terra d’Italia e
soprattutto incontrare il Matteo che senz’altro non è in cima alla sua
classifica dei simpatici, sta lì a dimostrarlo. Referendum costituzionale,
terremoto, pil, ripartenza dell’economia che non c’è, diminuzione dei disoccupati
nonché contemporaneo calo degli occupati et
similia bagatelle, tutte questioncine che si tengono tra di loro ben
strette e sembrano (forse sono) tutt’uno, rappresentano il piatto forte
dell’autunno. Dove uno ha capito molto e
l’altro abbastanza poco.
Chi ha capito molto,
strano a dirsi è il Renzi, ragazzo che vien dalla campagna toscana avendo
senz’altro stretta parentela con Bertoldo. Lui ha ben chiaro che una sconfitta anche
in uno solo dei fronti sarebbe per lui pericolosissima e allora che fa? cerca
alleanze anzi obbliga all’alleanza quelli che proprio amici suoi non sono. Lo
fa con la Merkel, di cui s’è detto, e anche con i suoi avversari interni. Come
dire: ripartisce il rischio sugli altri facendo scouting. Alla nascita del suo governo ha distribuito poltrone
anche e forse soprattutto alla minoranza e così bersaniani, lettiani, prodiani,
daleminani, civattiani nonché giovani turchi si sono trovati ministri, sottosegretari,
presidenti di commissioni e responsabili di settori di partito o speaker
ufficiosi . Uno anche presidente. E sono proprio gli ex a essere le vere teste
d’ariete del governo Renzi che poi è come dire del renzismo. Che fare scouting per il Renzi è un attimo: viene
dagli scout dove gli hanno insegnato che quando la partita è complessa la si scompone
in tante piccole partitelle semplici. Facendo giocare gli altri. Soprattutto. Il
caso di Vasco Errani è solo l’ultimo ed emblematico della fila: chiama un emiliano, ad oggi
ancora bersaniano e non si sa per quanto, a parlare di territorio nel Lazio e nelle Marche. E già
ottiene un risultato: Bersani, Seranza e Cuperlo sono freddini con il comitato dalemiano del NO.
La logica di Renzi è semplice, come spesso avviene per le soluzioni intelligenti
(o furbe): dovesse andar male qualcosa nella ricostruzione chi mai lo potrà
incolpare? Non certo gli altri del governo: hanno tutti votato Errani. Non certo
la minorazna del Pd: Errani è dei loro. Non certo l’Europa: la Merkel, anche se
cautamente un po’ si è esposta. Non certo i rabdomanti di scandali: c’è
Cantone. Tombola. Comunque andrà Renzi avrà più di una pezza d’appoggio dalla
sua.
E D’Alema? @MassimoLeaderPd nella sua spasmodica lotta
contro il suo figliolo naturale sta puntando sul NO al referendum, tentando di
diventarne il portabandiera. Solo e unico. Dopo aver vestito i panni della zia
zitella e petulante che in modo civettuolo, così scrivevano i suoi adoranti intervistatori,
dichiarava di occuparsi solo di grandi temi internazionali adesso s’è reso
conto che è meglio essere il primo a Tusculo che il secondo a Roma. E allora dai
convegni nei quattro angoli del mondo (che contano come l’acqua al Oktoberfest) è rientrato velocemente e
spasmodicamente nella tanto negletta italietta. Solo che il D’Alema Massimo non
ha colto un paio di questioni. La prima: se nelle urne prevarrà il NO
(auspicabile) non sarà una vittoria che potrà intestarsi. In questo caso più
che mai i padri saranno molti, moltissimi: dall’avvocato Besostri e i suoi
colleghi che hanno presentato esposti di non costituzionalità in quasi tutte le procure della Repubblica, ai
costituzionalisti che per primi bollarono la riforma come sbagliata, all’Anpi, che sta litigando con i renziani, fino ai partiti di opposizione. Al
massimo, il D’Alema, sarà un primus inter
pares. Diciamo. Seconda questione: la sconfitta di Renzi (che s’è già
cautelato mantenendo le date stabilite per il congresso di partito ed elezioni)
al referendum non significherà, soprattutto all’interno del Pd, la rinascita e lo
sdoganamento delle vecchie cariatidi come D’Alema, appunto, o Bersani e neanche
dei giovani vecchi alla Speranza o Cuperlo. Questi non solo sono la causa del
renzismo, ma soprattutto, non hanno una straccio di vera proposta politica da
presentare al partito e al Paese se non voler rioccupare i posti da cui sono
stati scalzati. Diciamo. Un po’ pochino per aspirare ad alcunché. Insomma una rentrée alla Artemio Altidori.
Artemio
Altidori? Il pugile dell’episodio dedicato alla nobile arte da Dino Risi nel
film i Mostri: non aveva capito che il suo tempo era passato anche se ricordava
che «i cazzotti fanno male» È che il D’Alema fino ad ora ne ha presi pochi. Di
cazzotti politici.
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