Stava cominciando a nevicare quando Donnino scostò la tenda della finestra per vedere se nel parcheggio della piazza ci fossero dei taxi in attesa di clienti. Nonostante fosse molto presto ne contò una mezza dozzina. Alcune auto avevano la cupoletta illuminata a segnalare di essere liberi mentre altri la tenevano spenta. Un paio di taxisti chiacchieravano vicino al telefono di servizio e nella silenziosa fine della notte si sentiva indistintamente il suono delle loro voci, un altro se ne stava solitario, più distante, a fumare. Si vedeva la brace della sua sigaretta farsi più rossa ad ogni boccata e poi, immediatamente dopo, con l’espirazione, scompariva in una gran nuvola di fumo: aggiungeva la condensa del suo respiro a quello della sigaretta.
Mentre li osservava Donnino pensò a Larry il protagonista de ‘il filo del rasoio’ che, dopo aver trovato sé stesso vagando per il mondo, decise di essere taxista a New York. Già, il taxista a New York, chissà come gli era venuto a Sommersest Maugham di fare finire così l’eroe del suo romanzo meglio riuscito.
La neve continuava a scendere placida e silenziosa, oramai le strade erano diventate in larga parte bianche e nel giardinetto rimaneva scura solo la zona intorno al pino e l’atmosfera si faceva ovattata. Salito in vettura, Donnino, prima salutò poi diede all’autista l’indicazione dell’aeroporto.
«Chissà se faranno decollare gli aerei questa mattina.» disse il taxista che era uno dei due che stava chiacchierando vicino al telefono.
«Sembra di sì.» rispose Donnino e dal tono della sua voce l’altro intese che non aveva voglia di parlare e quindi se ne stettero tutte e due silenziosi: il conducente concentrato sulla strada e Donnino a guardare fuori dal finestrino il paesaggio urbano che stava lentamente mutando di colore.
«Forse avrei dovuto fare il taxista. - pensò Donnino – Sarei vissuto da anarchico, come forse voleva fare Larry. Sarei stato ricco di tempo e di passioni soddisfatte. Avrei lavorato solo ai parcheggi, così d’avere lunghe pause e il tempo di leggere. Avrei tenuto la radio sintonizzata sul terzo canale così da seguire in diretta le mie trasmissioni preferite e non doverle scaricare di notte per poi non riuscire mai ad ascoltarle. Avrei fatto festa a piacere e sarei andato a tutte le mostre di pittura della città e anche a quelle delle città vicine. E magari avrei pure ricominciato, anzi non avrei mai smesso di andare a pescare. Già, sarei stato un anarchico. Adesso è troppo tardi ma forse anche no.»
«Nazionali o internazionali?» chiese il taxista
«Internazionali.» rispose automaticamente Donnino.
L’auto slittò leggermente nel momento della fermata e Donnino pensò che forse quelli dell’aeroporto erano stati un po’ troppo ottimisti a dirgli che non erano previsti problemi né per le partenze né per gli arrivi. Ma fu il pensiero di un attimo.
Non c’era fila al check-in e non c’era tanta gente neppure al controllo del bagaglio. Un uomo davanti a lui, piccolo e calvo con ampie chiazze di sudore sotto le ascelle dopo aver piegato meticolosamente la giacca e averla riposta nel vassoio azzurro protestò per il fatto di doversi togliere anche le scarpe e sfilare la cintura dei pantaloni. Una scena già vista mille volte. Banalmente noiosa.
«C’è sempre un fesso che protesta per questo e se la prende con le persone sbagliate. – pensò Donnino – Che c’entrano gli addetti alla vigilanza con le procedure? Non sono loro che le stabiliscono, anzi, loro le subiscono.»
Superato lo sbarramento si diresse prima al bar dove ordinò un caffè, una spremuta e due brioche e poi all’edicola: acquistò due quotidiani e una rivista. Il viaggio sarebbe stato lungo e non si sentiva nello spirito di parlare con un eventuale vicino. In aereo come in treno si fanno sempre i soliti discorsi infarciti di banalità è per sfuggire da questi che sceglieva il posto di corridoio. Alla peggio si alzava e se ne andava, senza avere la preoccupazione di dover chiedere il permesso di passare a qualcuno.Si diresse a quello che di solito era il gate di partenza, si scelse una poltrona defilata di fronte alla vetrata e cominciò a sfogliare i giornali.
Mancavano dieci minuti all’imbarco quando l’altoparlante annunciò che il suo volo era stato posticipato di circa un’ora per consentire ai mezzi di servizio di rimuovere la neve dalla pista.
Donnino piegò il giornale e si alzò per sgranchirsi le gambe, i gate che poteva vedere d’infilata erano strapieni di gente, lanciò un’occhiata al monitor più vicino e notò che tutti i voli erano stati ritardati.
Una signora poco distante da lui fermò una hostess per chiedere informazioni e sentì che questa dava rassicurazioni.: «Si partirà senz’altro, appena i mezzi spargisale avranno finito il loro lavoro.»
La neve continuava a cadere e i fiocchi erano più grossi e più fitti.
«Forse varrebbe la pena tornarsene a casa e andare in ufficio. – pensò – Magari aspetto lo scadere dell’ora di ritardo e poi me ne vado.» Si sedette e si rimise a leggere.
Finì i giornali e anche la rivista e quindi attaccò gli ultimi capitoli di Giuseppe il nutritore di Thomas Mann. L’ora di ritardo era in prossimità di scadenza quando l’altoparlante comunicò che questo sarebbe stato prolungato anche in considerazione del fatto che l’aeroporto di destinazione si trovava in una situazione peggiore «a causa delle avverse condizioni atmosferiche.»
La gente cominciava a rumoreggiare, il nervosismo serpeggiava, un paio di tizi, una decina di metri più in là, cominciarono a litigare con un assistente di volo: prima urli poi insulti e quindi qualche mano cominciò a roteare. Intervennero velocemente due poliziotti che con fare deciso e che non ammetteva repliche invitarono i litiganti a seguirli. Dopo l’esempio la folla continuò a mormore, ma piano, sottovoce.
«Colpirne uno per educarne cento – disse tra sé Donnino – funziona sempre. Santo Mao Tse Tung.» E ghignò.
Pensò di andarsene anche se il bagaglio era già stato avviato all’imbarco, ci avrebbe pensato Helmut il suo efficiente segretario teutonico, a recuperarlo.
Abbandonò i giornali su un tavolinetto, mise il libro nella sua cartella e si avviò all’uscita. Dopo poche decine di metri si trovò prigioniero di una massa umana che come un mostro dei fumetti fagocitava chiunque gli passasse vicino e una volta dentro quel girone sembrava impossibile uscirne. Si era spinti da destra verso sinistra e poi da dietro in avanti quindi da sinistra a destra e dal davanti indietro. Pareva di essere nella metropolitana di Tokyo nell’ora di punta. Con l’aggravante di essere pure shakerati.
Sentì qualcuno urlare che non c’erano taxi e che l’intera città era bloccata dalla neve. Le connessioni internet e dei cellulari saltavano in continuazione. Pareva di vivere una situazione alla blade runner.
Donnino si sforzava di togliersi da quella situazione e spingeva per portarsi ai margini di quella folla. Un tizio gli montò su un piede e un altro gli diede una gomitata ad un fianco. A un certo punto gli mancò il fiato un piccoletto stava sbattendo insistentemente la testa contro il suo plesso solare. In quei movimenti forsennati eppure placidi la forza d’urto della massa era impressionante. Perdere l’equilibrio e cadere in quella situazione significava morire. Si sentiva schiacciato e strattonato da ogni parte, non riusciva a vedere le sue mani e a momenti neppure a respirare. (la seconda puntata domani 11 settembre)
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