Ciò che possiamo licenziare

giovedì 30 agosto 2012

Bersaglio mobile: noia fissa. C'è Giuliano Ferrara.

Il faccione perennemente sorridente di Enrico Mantana, chissà che avrà mai tanto da ridere, ha fatto da contorno all'ultima puntata di Bersaglio Mobile. La trasmissione era dedicata ad un tema leggerino, di quelli da prendere sotto gamba in una calda estate: la trattativa tra Stato e mafia e già che c'erano il ruolo giocato nei recenti sviluppi dal Presidente della Repubblica . Ospiti: Giuliano Ferrara, Antonio Di Pietro, Emanuele Macaluso e Marco Travaglio. Con l'intermezzo del deputato Francesco Boccia che per la verità ha avuto il grande merito di dare sostanza al proverbio: un bel tacer non fui mai detto.
Puntata noiosa oltre ogni dire e soprattutto un film già visto mille volte dove gli interpreti principali e sostanzialmente unici, sono Marco Travaglio e Giuliano Ferrara. Essendo Emanuele Macaluso, migliorista d'antan e simpatizzante craxiano nella parte della bella statuina mentre Antonio Di Pietro, al solito, minaccia d'andarsene ma resta e si fa bellamente insultare senza rispondere, al lato pratico, da quello che si firma elefantino. Chissà se i sindacati africani ed indiani dei pachidermi sono al corrente dell'indebita appropriazione. Ogni razza ha diritto a veder tutelata la sua dignità.
Le parti sono quindi assegnate: Marco Travaglio gioca il suo solito ruolo di snocciolatore di articoli della costituzione e del codice penale, di comunicati stampa, di dichiarazioni ufficiali e di sentenze di tribunali di vario grado nonché di documenti ufficiali e Ferrara, che di nome fa Giuliano come l'imperatore romano apostata (sarà il caso di nomen omen ?) fa il solito suo ovvero l'elefante nel negozio di porcellane. Unica novità l'abbigliamento di Giuliano Ferrara: scarpe da jogging, pantaloni color vinaccia (che in milanese si dice trasù de ciuc) camicia azzurrina, con lo sbottono d'ordinanza, e giacca azzurra, maldestro tentativo di imitazione del look di Oscar Giannino. Barba mefistofelica con pizzo sgangherato e fuori misura. Per il resto noia mortale.
Del tema, la trattativa tra Stato e mafia, nella sostanza non si è trattato, in compenso si sono sentiti i soliti mantra.
Giusto come nota di colore va detto che l'elefantino ha voluto dare un tocco di ulteriore volgarità al suo già ricco palmares con nuove espressioni. Peraltro non sempre originali.
Quindi nei suoi interventi, sempre prolissi, divagatori e quasi mai sul punto in questione come succede dal barbiere e nei bar, nell'ordine ha detto che: i magistrati sono fottuti carrieristi, (indicando nella fattispecie il presente Di Pietro, che ha iniziato ammuina (di andarsene), come capo partito, quindi Luigi de Magistris come sindaco di Napoli e Michele Emiliano come sindaco di Bari. Ha anche detto che qualche magistrato gioca pure a destra, dimenticando di citare il presidente del senato Renato Schifani. Ma vabbè. Poi su pressione di Mentana ha ritirato il fottuti ma ha lasciato il carrieristi. E Di Pietro si è ritenuto soddisfatto. Beato lui). Quindi ha definito gli interventi di Travaglio come comizi che gli hanno rotto i cogl … e dunque rivolto al sorridente Mentana l'ha apostrofato con ma che  caz.... di conduttore sei, poi inebriato del suo dire se ne è uscito con non esiste il reato di trattativa Stato-mafia. Oibò, forse nessuno aveva mai pensato che questo fatto potesse accadere, ma senz'altro qualcosa di poco legale in una simile relazione pericolosa senz'altro c'è. Quindi già che c'era ha aggiunto che la magistratura è pazzotica ma anche troppo furba, e che sarebbe disposto ad andare in vacanza con Stalin. Infine ha definito Il Fatto Quotdiano come il giornalino di Gianburrasca. Che detto da uno che dirige un giornale che tira 15000 copie (1) e ne vende effettivamente poche migliaia (roba che anche il giornaletto della parrocchia accanto ne vende di più) e che sopravvive grazie al contributo di 2.985.120,88€ (2) che lo Stato magnanimamente elargisce, è stato un tocco di involontario umorismo. By the way Il Foglio riceve questo importo sotto la voce “contributi ad imprese editrici di quotidiani o periodici organi di movimenti politici trasformatesi in cooperativa entro e non oltre il1° dicembre 2001 (3) E anche questo è umorismo.
Per completezza di informazione Il Fatto Quotidiano ha una tiratura media di 110.667 e un totale di copie vendute (e pagate) di 55.926. A occhio e croce più di dieci volte di quelle del il Foglio. E non gode di contributi.
Ora la domanda è: perché Giuliano Ferrara? Soprattutto se si vuol fare della televisione seria.

-----------------------------------------------------
(3) art.153 legge 388/2000


2 commenti:

  1. Per conto di Elio Notarbartolo Imperdonabile,il figlio di cotanta famiglia,non ne ingarra una.A napoli si dice " E' l'avvocato delle cause perse" o meglio ,ingiuste.

    RispondiElimina
  2. Da parte di: Paolo Penacchio figlio e nipote ( sia per lo zio che per il nonno) ; non è solo in casa repubblicana che i morti si ribaltano nella tomba per colpa di queli che sono venuti dopo.

    RispondiElimina