Ciò che possiamo licenziare

sabato 23 maggio 2020

FIAT Lux con colore.


La questione FIAT in poche righe. Tutto ciò che va bene per la FIAT va bene anche per l’Italia. La querelle vinta con l’Agenzia delle Entrate. Il favoloso dividendo. Arroganza, minacce e ricatti. Dover far conto su Calenda Carlo e Orlando Andrea.

 

Narra la vulgata torinese che uno dei tanti Giovanni Agnelli che hanno popolato la FIAT ebbe un giorno a dire: « Tutto ciò che va bene per la FIAT va bene anche per l’Italia». Pare crederlo anche un altro Giovanni, pure se all’anagrafe fa Johnny, e di cognome fa Elkan e non Agnelli,. A parte l’arroganza che è rimasta la stessa di sempre, il simil calembour  non era vero allora e non è vero neanche oggi. Anzi a ben vedere la FIAT e i suoi proprietari hanno avuto dall’italico Stato molto più di quanto questo non abbia ricevuto. Ne fa fede l’ultima querelle sulla valutazione dell’acquisto di Chrysler: il fisco chiedeva 2,1 miliardi e si accontenterà di incassare 730milioni. Neanche la metà. Che poi è tutto da vedere a che condizioni.  Ma tant’è. Praticamente quel che succede ad ogni comune contribuente preso di mira dall’Agenzia delle Entrate. E la storia dei vantaggi è ben lunga e parte da lontano: dallo spopolamento della forza lavoro del sud al contingentamento del solo il 30% fino agli anni ottanta, delle auto estere nel mercato italiano, e questo per citarne unicamente due. Adesso FIAT, che ha cambiato nome in FCA, chiede un prestito per 6,3miliardi, mentre si dà un dividendo di 5,5 miliardi, e già che c’è chiede allo Stato di fare da garante. In altre parole se a qualcuno in FCA stati balzasse l’uzzolo di non restituire il prestito interverrà lo Stato, cioè noi, i cittadini. E tutto ciò dopo aver trasportato la sede legale a Londra e quella fiscale in Olanda, che la cautela e il risparmio sono sempre ben presenti nella testa dei padroni.  A supporto della richiesta l’Elkan pensiero  recita, prosaicamente, in siffatto modo: “se avremo in prestito i 6,3milardi faremo finalmente l’investimento per 5miliardi che avevamo promesso in illo tempore”. Si parte con la blandizia cui si fa seguire il minaccioso bastone: “altrimenti  licenziamo, chiudiamo, delocalizziamo” e via con il solito armamentario. Sul primo punto c’è da domandarsi: se l’investimento è di 5 miliardi che se ne fanno del miliardo e trecento milioni in esubero? Nel secondo caso sarebbe tanto bello vedere la faccia dell’Elhan se qualcuno rispondesse, al ricatto semplicemente, con una sola parola: “fallo!” e si andasse a vedere il bluff.  Perché quelle belle minacce non son così facili da mettersi in pratica. E soprattutto non sono gratis. Alla fine il regalo garanzia è stato fatto. Ancora una volta s’è giocato sulla dictomia legalità-giustizia. E, al solito, vince la legalità. Siamo in uno stato di diritto d’altra parte, ma c’è comunque da chiedersi come mai le due parti non si sovrappongano neanche per sbaglio.  Ha vinto l’Elkan nonostante le tesi di Calenda Carlo e la richiesta dell’Orlando Andrea di far tornare la sede legale e fiscale in Italia. Che dover citare questi due come esempio una punta di gastrite la fa venire. Ma non c’è di meglio. 

Buona settimana e buona fortuna.

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