Nessuno
la vuole ma lemme lemme il codicillo sull’immunità è nel testo dei relatori. È
giusto che di una legge si conoscano il papà e la mamma, non foss’altro che per
darle un nome oltre che un numero. Quando si andrà in aula sarebbe bello che qualcuno chiedesse il
voto palese che è il dna delle leggi dello stato.
Il governo Renzi nella
sua disperata impresa di creare discontinuità con il passato sta togliendo all’italico
popolo la possibilità di sapere chi è l’estensore di leggi quanto meno discutibili. È il caso dell’immunità (Marco Travaglio
scrive impunità) per i membri del nuovo Senato. Pare che nessuno sia padre o
madre del provvedimento. È un vero peccato.
Se c’era un dato positivo,
forse magari anche l’unico, nella
politica degli ultimi venti anni è che ogni legge per quanto sciagurata fosse aveva
un bel nome, un bel cognome e anche se non sempre, una bella faccia. Il caso
più famoso è stato quello della legge elettorale varata il 21 dicembre te2055:
era una porcata, così definita dal suo stesso estensore, il nome era Roberto il
cognome Calderoli e la faccia è quella che il suddetto porta a spasso. Attualmente
il Calderoli è vicepresidente del Senato, questo gli elettori vogliono e questo
hanno.
Di concettualmente simili, nel senso di legge schifezza, se non
addirittura peggio prima e dopo l’exploit calderoniano ne furono varate molte
altre. Ecco quindi, giusto per ravvivarne il ricordo un breve excursus che parte nel 1994 con il decreto Biondi, poi il
decreto D’Alema salva Rete4, quindi la Cirami, e il lodo Maccanico-Schifani, seguito
dalla ex Cirielli, per non dire delle varie
Gasparri, uomo sempre pronto alla bisogna e poi il lodo Alfano e il
provvedimento Pecorella. Molte, o quasi tutte erano anche leggi ad personam, ma questo è un dettaglio
trascurabile dato che nel periodo in oggetto il fatto veniva quasi di default.
Probabilmente qualcuno, naturalmente non si sa
chi, ha inserito quatto quatto la questione dell’immunità per i futuri senatori
fidando nel fatto che i Ris di Parma sono impegnati in altre questioni e che,
soprattutto, la prova del dna in questo contesto non è riscontrabile e forse
neppure ammissibile. E che la nazionale stesse perdendo con il Costa Rica. Ciò
che stupisce è che gli strateghi della comunicazione del governo non abbiano l’avvertenza
di leggere il contesto nel quale si muovono. Magari avessero dato un occhio,
anche distratto, si sarebbero resi conto che in neanche un mese sono emersi due
scaldaletti da niente come l’Expo di Milano e il Mose di Venezia. In entrambi i
casi i protagonisti apparenti (in attesa del terzo grado di giudizio) sono politici,
locali e a leggere le cronache anche qualche nazionale, con la speciale
partecipazione nel caso milanese della n’drangheta.
Un bel parterre de roi cui vanno
aggiunti i tanti (o tantissimi) inquisiti dei consigli regionali che, by the way, rappresentano il campo da
cui verranno raccolti i nuovi senatori. Sempre ammesso che il nuovo senato
passi il vaglio della Corte Costituzionale. E poi magari anche ragionare sul fatto che il 69%
di consenso che racimola personalmente Matteo Renzi lo deve proprio alle sue
affermazioni contro i ladri e il malaffare, come dire quando si mette a fare la
parte (intelligente) dell’antipolitica.
Storicamente l’immunità nasce per
difendere i parlamentari da attacchi proditori del potere costituito e non
quelli che guazzano in reati comuni come la corruzione o la concussione. L’articolo
68 della Costituzione recita: «I membri del
Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e
dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni» che nulla c’entra con il dolo e il settimo
comandamento.
Per intenderci un conto
è impedire che Andrea Costa (fondatore del partito socialista) venga arrestato e
si faccia mesi di carcere per avere partecipato ad una manifestazione di
contadini e un altro è non poter far visitare una cella, come momentaneamente
residente, a un deputato o senatore senza avergli prima chiesto il permesso. Che
poi non si capisce perché, così stante le cose, la regola non sia valsa per il sindaco
di Venezia. Anche se è andata bene come è andata.
Comunque alla fine, se
si escludono quelli dell’Udc, nessuno sembra volerlo il codicillo sull’immunità.
Almeno in via ufficiale. Non lo vuole il governo, «prima non c’era» ha ribattuto
piccata Maria Elena Boschi, non lo vuole Forza Italia «chiedete a Finocchiaro e Calderoli» dice
Paolo Romani, non lo vuole il M5S «Non ci appartiene» sostiene Di Maio. Mentre
il duo Finocchiaro Calderoli si autoscagiona: «Lo sapevano tutti, la volevano
tutti.» A questo punto si tratterà di vedere quel che succederà in aula. Dove
magari sul punto in questione qualcuno potrà chiedere il voto palese. Che, mutatis mutandis, è il dna per capire di
chi è figlia una legge. Che se passa
così com’è scritta lo si capisce bene.
è obbligatoria per Costituzione, bisognerebbe abrogarla con apposita riforma costituzionale in doppia lettura eccetera - ma allora anche per i deputati. Oltre a tutto se non si scrive niente rimane l'articolo che parla di immunità per il Parlamento, quindi per Camera e Senato, e l'immunità è automaticamente estesa. Penso che le persone di buon senso condivideranno 1) che l'immunità vada riformata in modo organico e omogeneo per tutti coloro che partecipano alle funzioni parlamentari 2) che l'immunità si estende automaticamente a tutti i parlamemntari a prescindere dal sistema di elezione 3) che nei consigli regionali ci sono le preferenze e nelle elezioni nazionali no, quindi il fatto che gli uni sono rappresentanti del popolo e gli altri no è totalmente inesistente 4) che il fatto che nessuno neanche al Governo abbia il coraggio di impostare il discorso nei suoi termini scolasticamente ineludibili dimostra che siamo tutti incontrollabilmente sotto schiaffo da parte di una demagogia da internet rancorosa e ignorante; e d'altra parte che molti hanno code di paglia lunghe centinaia di chilometri, e non osano parlare dell'argomento se non altro per scaramanzia. Concluderò con Linus: amo l'umanità, è la gente che non sopporto
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