Ciò che possiamo licenziare

lunedì 20 giugno 2016

Il Pd nuovo perde a Roma, quello vecchio a Torino. A Milano vince Sala che però non è renziano.

Le sconfitte son tutte di Renzi. E però anche le vittorie, poche, gli vengono sottratte. Giachetti andrà al Divino Amore, A Fassino l’invito a godersi il vitalizio . La zia zitella, D’Alema Massimo, intonerà: si scopran le tombe, si levano i morti. Ma non è più tempo.

Piero Fassino, sostenitore di Renzi, ex sindaco
Brutta domenica quella del 19 giugno per il Pd. Per tutto il Pd perché a guardare i dati hanno perso proprio tutti: maggioranza e minoranza. A Roma ha perso il Pd nuovo o seminuovo, il sor Giachetti è un commensale della politica di lungo corso ma è stato tra i primi dei vecchi a mettersi con Renzi. Che un po’ è stata la sua fortuna: da quel giorno D’Alema non gli rivolge più la parola. Non è poco. E comunque la sconfitta, bella tonda tonda, gli ha evitato di dover scegliere tra una tribolata vita da sindaco e quella comoda da deputato nonché vicepresidente della Camera. E così si potrà godere meglio il casalone con cinque bagni e piscina di cui si era dimenticato. Farà un pellegrinaggio di ringraziamento al Divino Amore.

A Torino ha perso la vecchia guardia saltaquaglista: Piero Fassino una vita da funzionario di partito e poi da deputato. Che potesse perdere, in verità, lo si era intuito da un segnale inequivocabile: la sua profezia. Infatti durante una seduta del Consiglio di Torino il Piero rivolto all’Appendino, che contestava una sua decisione, disse:«vedremo quando lei sarà sindaco.» Appunto. Ha fatto il paio con: «Grillo, fondi un partito, prenda i voti e poi discuteremo.» Appunto. Adesso il suggerimento è di godersi il vitalizio anzi i vitalizi che in casa Fassino oltre al suo entra anche quello della moglie e son soldi. Magari faccia un giro in periferia adesso che ha tempo e impari.

A Milano invece ha vinto Beppe Sala, mr. Expo, anche se tutti sono ancora in attesa di vedere i conti della manifestazione. Chissà. Questa potrebbe essere una vittoria dello scout Renzi se non fosse che il Sala stesso, forse per mettersi al vento, una settimana prima del voto ha dichiarato:«Io non sono renziano. Chi mi vota, vota me e non Renzi.» Quindi questa vittoria non può finire oggettivamente nel carniere del Presidente del Consiglio. Con buona pace di Emanuele Fiano, della Quartapelle e degli altri renziani similmeneghini. Anche perché dovranno fare i conti con Basilio Rizzo che ha portato i voti decisivi e, per soprammercato, di sinistra se ne intende.

E neanche Bologna finisce con Renzi: Merola Virginio (come la Raggi) appena eletto pensa bene di attaccarlo. Con i tempi che corrono ci sta. Mentre invece all’ex nuovo avanzante vengono accreditate le sconfitte di Trieste e Pordenone, ci sono da tirare le orecchie alla Serracchiani che ha messo il becco a Roma anziché occuparsi dei territori suoi. E poi di Benevento riecco il Mastella Clemente, di Napoli dove il Pd non è arrivato neanche al ballottaggi, di Carbonia e Crotone, Savona, Grosseto, Olbia e naturalmente San Giuliano Milanese. E qui ci si ferma per carità di patria.

Come ovvio con le sconfitte del Renzi Matteo si scopron le tombe, si levano i morti i martiri nostri son tutti risorti. Questo auspicherebbero la zia zitella del Pd, in arte D’Alema Massimo che per fortuna della Raggi ha smentito, usualiter,il suo appoggio, il nipote secchione, Cuperlo Gianni, il cugino di campagna, Bersani Pierluigi e l’eterna speranza, Roberto Speranza per dire i primi quattro che vengono in mente, ma così non è. La sconfitta di Renzi non vuol dire vittoria dei vecchi piciisti incapaci che anziché fare la sinistra quando governavano si son messi a fare i neo lib-lab, più lib(eral) che lab(our). Per loro il tempo è auspicabilmente finito, si ritirino: hanno già avuto. E si accontentino.

Adesso che il Renzi non è più quello del 41% delle europee, ci sarà da vedere le mosse dei saltaquaglisti perché si sa: chi tradisce una volta tradisce sempre e di Verdini e della sua truppa. Magari ancora più indispensabili.  E poi gli scannamenti nel centrodestra e le cene del lunedì tra il  moderato (sic!) Berlusconi e il lepenista Salvini Matteo.  E infine gli auguri: a Giorgia Meloni perché si goda la maternità e ad Alfio Marchini la sua Ferrari. Entrambi l’hanno scampata bella.

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