Ciò che possiamo licenziare

venerdì 21 aprile 2023

La politica italiana non è più creativa

I politici della prima repubblica erano più creativi di quelli che adesso occupano i sacri scranni. La politica è un bel gioco,ma bisogna saperlo giocare con intelligenza, arguzia e anche un pizzico di ironia.

La politica italiana non è più creativa come un tempo. Della prima repubblica si può dire tutto, ma non che mancasse di estro, di senso dell’inaspettato (unexpected in inglese), di vivacità e di ironia. I politici dell’epoca erano persone leggermente attempate, in genere di solida cultura, anche quelli provenienti dai campi e dalle officine, talvolta sussiegose, mediamente competenti e anche capaci di un po’ d’eleganza nel vestire. Il senso del decoro aveva ancora il suo perché. Tutti i capipartito dell’epoca hanno dimostrato creatività nella gestione della cosa pubblica e della politica. Amintore Fanfani inventò il piano casa, Ugo La Malfa la politica dei redditi, Enrico Berlinguer il compromesso storico, Giorgio Almirante il partito frigorifero e già che c’era voleva un generale come ministro dell’interno e il ripristino della pena di morte, voglie nostalgiche e Bettino Craxi rispolverò Pierre-Joseph Proudhom e la Filosofia della miseria anche se la cosa aveva poca attinenza con le tangenti. Giusto per rendere giustizia anche all’ironia non può mancare Mariano Rumor o Rumor Mariano, lui riuniva la sua corrente nel convento delle suore dell’ordine di Santa Dorotea guadagnandosi il nomignolo di dorotei. Ogni accostamento alla Palude, il gruppo più moderato e più numeroso della Convenzione francese, salta immediatamente all’occhio. E i più accaniti contro il divorzio di famiglie ne avevano più d’una. Insomma c’era da divertirsi per creatività ed originalità. Con quelli di adesso invece è calma piatta. Sanno solo scopiazzare malamente e buttano sul tappeto proposte vecchie di decenni senza tener conto del contesto e soprattutto incapaci di indirizzare la politica. Le proposte sulla famiglia, il contrasto al calo demografico, la questione della sostituzione etnica, la difesa della italica lingua sono solo vecchie patacche e fanno il verso a quelle già masticate durante il ventennio mussoliniano. E il ventennio di inventiva ne aveva, ahinoi, assai di più: l’oro alla patria, la medaglia per la madre prolifica (soprannominata la madre coniglia), la battaglia del grano e il posto al sole, tanto per dire le più eclatanti. Con piccole differenze: il mondo di allora era contadino e le famiglie erano numerose a prescindere, non c’era la televisione e al cinema, ci si andava solo il sabato sera. Il regime era ancora più creativo: dava premi anche a chi battezzava i figli con nomi patriottici come Italo, Benito, Arnaldo Italia, Amedeo, Vittorio Emanuele et similia. Fra un po’, magari, lo proporranno anche i piccoli epigoni almirantiani. La Meloni Giorgia vuole donne multitasking, ma non sa che le aziende chiedono alle donne fertili lettere di dimissioni anticipate, nel caso rimanessero gravide. Il Giorgetti Giancarlo da Cazzago Brabbia vuole dare sussidi alle famiglie con due figli, ma è lo stesso che ipotizzava di abolire il medico di base e il Rampelli Fabio aborre le parole anglosassoni, ma non ha sottomano un D’Annunzio capace di trasformare un sandwich in un tramezzino. Sul Lollobrigida inutile dire: ha già detto tutto da solo. E poi c’è il Berlusconi Silvio con le sue camicette blu scuro poiché non ha mai avuto il coraggio di indossare quelle nere e quel ridicolo modo di salutare col braccio alzato, ma messo ad arco e non teso: il classico vorrei, ma non posso. Non hanno creatività e il ridicolo li sta innaffiando.

Buona Settimana e Buona Fortuna.

lunedì 10 aprile 2023

E non sono fascisti

 Sul non fascismo del Governo della Meloni Giorgia ci scommettono tutti o quasi. Alcuni provvedimenti hanno sapori strani, ma non sia mai accostarli all’esecrato ventennio. Stare oggettivamente con Orban, che pure ci mette le dita negli occhi, sulla questione Lgbtqi non sembra mossa lungimirante.

Da quando il governo della Meloni Giorgia si è installato l’opinione corrente (in inglese mainstream) ha sostenuto che non ci fosse pericolo fascista. Nello specifico non sono stati pochi, il Bonaccini Stefano incluso, a sostenere di non vedere un pericolo fascista: il governo non è fascista, la Meloni non è fascista, il La Russa non è … beh su questo si tratta di lavorarci ancora un po’. Insomma possiamo, potremo, potremmo dormire sonni tranquilli: non vedremo sfilare manipoli in camicia nera, non vedremo fez abbinati a manganelli e bottigliette di olio di ricino, non vedremo braccia tese nel saluto romano, questo soprattutto perché la Meloni ha minacciato di tagliare personalmente tutte le braccia tese che vedrà in giro. Lodevole aspirazione, ma di difficile applicazione. Quella promessa pare abbia comunque tranquillizzato almeno una parte dei pochi restanti preoccupati. Tuttavia alle premesse eteree sono seguiti i fatti, tremendamente più concreti, come emanare leggi draconiane contro le feste deliranti (in inglese rave party) e contemporaneamente impedire le intercettazioni per accertare le malfatte di presunti evasori fiscali, presunti truffatori ai danni dello Stato, presunti autori di corruzioni di testimoni e presunti autori di quisquiglie simili nonché proporre di poter eleggere deputati e senatori condannati in primo grado. In aggiunta, tanto per dire, obbligare le ong a effettuare un solo salvataggio per soccorso e spedirle a scaricare il loro tragico fardello nei posti più astrusi e non certamente nei porti più vicini, un grazioso modo di allungare le crociere dei migranti che tanto hanno bisogno di riposo. In seguito la proposta di legge di punire con salatissime multe chi utilizzerà parole straniere e questo per salvaguardare la purezza della lingua, storia già orecchiata. Infine, per non farsi mancare nulla, il governo ha deciso di non far parte delle quindici nazioni (Belgio, Lussemburgo, Olanda, Austria, Irlanda, Malta, Danimarca, Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Svezia, Slovenia, Grecia e Finlandia), aderenti al ricorso contro l’Ungheria, colpevole di aver emanato leggi discriminanti le persone Lgbtqi. Leggi un pochetto fasciste, ma evidentemente non troppo. Il modo in cui Orban si sta muovendo verso la comunità Lgbtqi ha qualche assonanza con quello messo in essere dai  nazisti nell’applicazione del famigerato piano AktionT4¹. Per inciso il ricorso è stato intentato dalla Commissione Europea davanti alla Corte di Giustizia della UE. A sostenere l’Ungheria, come ti sbagli, i paesi del gruppo di Visegrad, tutte nazioni ultrademocratiche, per nulla bigotte, per nulla razziste e per nulla contrarie ai diritti civili. C’è però nell’atteggiamento del Governo Meloni l’aggravante tipica dei pusillanimi: non essere dichiaratamente schierati né di qua né di là. Qualità italica il giusto che va a braccetto con l’indifferenza come più volte ricordato dalla Senatrice Lilliana Segre. Ma tutto questo non è fascismo. Ancora.

Buona Settimana e Buona Fortuna.

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¹https://ilvicarioimperiale.blogspot.com/2014/02/breve-storia-di-aktion-t4il-matto-mio.html


lunedì 3 aprile 2023

Quel dico, non dico.

Il dico non dico entra in politica: l’hanno usato sia il Bersani Pierluigi sia il Della Valle Diego. La chiarezza in politica, almeno in teoria, paga anche se creare confusione ha i suoi vantaggi e Meloni &Company lo sanno bene.

Nella cassetta degli attrezzi dei politici sta ben in vista la capacità del parlare oscuro e con metafore di difficile logica. In questo i vecchi democristiani erano imbattibili e il Moro Aldo un vero artista, una per tutte: le convergenze parallele: ci incontreremo un giorno, chissà quando, chissà dove, chissà perché. Anche i comunisti avevano le loro, ma con un repertorio più striminzito: incontro franco e  leale (abbiamo litigato), il dibattito è stato aspro (per poco non ci si cavava gli occhi), ma oltre a questo c’era ben poco. Gli altri partiti, un po’ meno chiese, un po’ meno creativi erano  dunque un po’più diretti e chiari. Nelle ultime puntate di otto e mezzo è spuntato un altro attrezzo vagamente affine a quel  dico non dico dal suono un vagamente omertoso. Di solito è tecnica usata nelle liti in famiglia e nei bar, in politica sembra fuori luogo. L’ha usato però il Bersani Pieluigi nella puntata del 28 marzo dove a domanda sul decreto sedicente Salvini risponde:«Si vuol deregolare non per efficienza… perché lasciamo stare eh…!» Come: lasciamo stare? Se c’è da dire, magari da denunciare qualcosa o qualcuno bisogna farlo hic et nunc, altrimenti questo si trasforma in uno di quei messaggetti per gli amici dei nemici. Alla puntata partecipa anche il Bocchino Italo, stranamente in grande spolvero, capace di utilizzare queste incertezze e ne approfitta con un provocatorio: «Vedi fascisti in giro?» La risposta è in due tempi: «Sì!» E qui il cuore si allarga: finalmente un po' di verità. Alla ribattuta:«Dove?» Segue:«Ti porto delle fotografie.» E qui lo scoramento. Ma come, delle fotografie? Anche qui fuori i nomi, fuori le circostanze, fuori i fatti. E ce ne sono: dai migranti, agli aiuti agli evasori, allo schiacciamento dei più deboli .... Poi ti domandi perché la gente non vada a votare. E di fascisti, nei termini e nei modi, ne girano addirittura in Parlamento.  Nella puntata del 29 marzo anche il Della Valle Diego s’è esercitato con lo strumento: ha diviso gli imprenditori tra i seri e i furbatti. Alla domanda chi siano i secondi ha risposto:«Quelli che hanno lasciato il Paese fingendo di stare qua.» «Ha chi sta pensando?» chiede la Gruber Lilli, ma la risposta è evanescente, come non si conoscessero le antipatie del Della Valle Diego e allora tanto vale dire. Chi invece, all’apparenza, sembra parlare chiaro, il che non vuol dire veritiero,  è la maggioranza. Ed ecco parlare delle vittime dei naufragi come di casualità e non vera scelta politica, tanto per dirne una.Poi c’è stata la trovata del LaRussa Ignazio: ha disegnato quanto successo a via Rasella come l’attacco ai musicisti di un corpo bandistico, oltre a tutto già avanti con l’età. E quindi la trovata sulla tutela della lingua italiana: bere brandy e cognac diventerà un’impresa. Ed è di oggi l’aver addebitato con chiarezza gli attuali ritardi nel pnrr al Draghi Mario, oggettivamente attribuirli a chi governa da sei mesi è francamente ridicolo. Come ridicolo è aver ripescato il ponte sullo stretto. Ma almeno, castronate incluse, questo governo parla chiaro e poi ci si domanda perché i pochi  andati ai seggi li abbia votati.

Buona Settimana e Buona Fortuna.