Anche se nato in Svizzera il dadaismo ha piena cittadinanza in Italia. Gli italiani dicono di volere il Draghi Mario, ma votano per i suoi avversari. La Carfagna e la Gelmini abbandonano Forza Italia e vengono affossate in Azione. La Stalingrado d’Italia è espugnata dalla figlia del fondatore di Ordine nuovo. Due pillole: il discorso della Meloni e la possibilità di vedere un condannato per truffa ai danni dello stato presiedere la seduta di apertura del Senato.
È ben strano che
il dadaismo sia nato in Svizzera, nel cantone di Zurigo, tedesco per
antonomasia e Tristan Tzara fosse romeno con la passione dello scrivere in
francese. Tutto nel movimento dadaista porta all’Italia, ma qui c’erano già i
futuristi e il Dada ebbe poco seguito. Tuttavia la politica italiana, negli
ultimi decenni ha tratto la sua maggiore ispirazione proprio dal dadaismo. Quest’ultima
tornata elettorale ne è stata l’apoteosi. Primo fenomeno dadaista: la gran
parte degli italiani, dicono tutti i sondaggi, stravedono per il Draghi Mario,
novello camminatore sulle acque e dunque premiano chi gli ha maggiormente dato
contro: Fratelli d’Italia, sempre all’opposizione e il M5S partito sfogliato
come un carciofo fino a quando decide di uscire dalla maggioranza. Se non è
dadaismo questo. Ma non ci si ferma qui:
la Gelmini Mariastella nonché la Carfagna Mara, ex pupille del Berlusconi
Silvio, escono da Forza Italia per la tema di non avere collegi buoni e trasmigrano
in quel del Calenda, il promettente sfracelli. Il risultato: le due vengono
bistrattate insieme alla renziana Elena Bonetti e salvo non auspicabili
sommovimenti staranno fuori dal parlamento. A parte il neutrino, per cui la
Gelmini voleva costruire un tunnel, nessuno se ne accorgerà. Lo Sgarbi
Vittorio, il più dadaista dei parlamentari, viene sconfitto, dadaismo nel
dadaismo, dal Casini Pier Ferdinando, dal 1982 doroteo chierico vagante tra Camera, Senato e Parlamento europeo
con la creatività di un turacciolo. Il dadaismo coi suoi giochi sa mettere ordine,
così l’elettorato si sbarazza senza commozione del più renziano dei renziani
del PD: il Marcucci Andrea. Restano fuori anche la Bellanova Teresa, pure lei
renziana: da sindacalista dei braccianti
a sostenitrice del job act, qui forse il dadaismo c’entra poco e si tratta di
nemesi storica. Infine è triste dirlo, Sesto San Giovanni, la Stalingrado
d’Italia viene espugnata da Isabella Rauti, la figlia di Pino, il più fascista
dei segretari del vecchio MSI, fondatore di Ordine Nuovo. Metaforica vittoria
postuma dell’Armir. I secessionisti del M5S capitanati da Di Maio: Spatafora,
Azzolina, Patuanelli, Laura Castelli hanno fatto la fine del Nencioni Gastone e
dei suoi, anche come risultato elettorale: lo 0,6%. Il Parlamento farà anche a
meno del Bossi Umberto ed è una buona notizia. Mentre a Emma Bonino e + Europa
mancano, mal contati, diecimila voti per rimanerci e dunque chiede
sportivamente il riconteggio dei voti. Dopo tante battaglie stando un po’ a
destra e un po’ a sinistra potrebbero pure chetarsi e riposarsi. Monica Cirinnà
non ce l’ha fatta; avrà più tempo per rincorrere i ventiquattromila euro
trovati nella cuccia del cane, li rivendica con passione. Infine, come apoteosi
del dadaismo due pillole. Un passaggio del discorso della Meloni Giorgia: «questa per tante persone è sicuramente una
notte di orgoglio, è sicuramente una notte di riscatto, una notte di lacrime di
abbracci di sogni di ricordi. È una vittoria che voglio dedicare a tutte le
persone che non ci sono più e che meritavano di vedere questa nottata».
Meditate gente, meditate. La seconda: la seduta di apertura del Senato della Repubblica
potrebbe essere presieduta da un condannato per truffa ai danni dello Stato.
Tristan Tzara ne sarebbe entusiasta.
Buona settimana
e buna fortuna
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