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martedì 27 settembre 2022

Elezioni 2022: risultati dadaisti.

Anche se nato in Svizzera il dadaismo ha piena cittadinanza in Italia. Gli italiani dicono di volere il Draghi Mario, ma votano per i suoi avversari. La Carfagna e la Gelmini abbandonano Forza Italia e vengono affossate in Azione. La Stalingrado d’Italia è espugnata dalla figlia del fondatore di Ordine nuovo. Due pillole: il discorso della Meloni e la possibilità di vedere un condannato per truffa ai danni dello stato presiedere la seduta di apertura del Senato.

È ben strano che il dadaismo sia nato in Svizzera, nel cantone di Zurigo, tedesco per antonomasia e Tristan Tzara fosse romeno con la passione dello scrivere in francese. Tutto nel movimento dadaista porta all’Italia, ma qui c’erano già i futuristi e il Dada ebbe poco seguito. Tuttavia la politica italiana, negli ultimi decenni ha tratto la sua maggiore ispirazione proprio dal dadaismo. Quest’ultima tornata elettorale ne è stata l’apoteosi. Primo fenomeno dadaista: la gran parte degli italiani, dicono tutti i sondaggi, stravedono per il Draghi Mario, novello camminatore sulle acque e dunque premiano chi gli ha maggiormente dato contro: Fratelli d’Italia, sempre all’opposizione e il M5S partito sfogliato come un carciofo fino a quando decide di uscire dalla maggioranza. Se non è dadaismo questo.  Ma non ci si ferma qui: la Gelmini Mariastella nonché la Carfagna Mara, ex pupille del Berlusconi Silvio, escono da Forza Italia per la tema di non avere collegi buoni e trasmigrano in quel del Calenda, il promettente sfracelli. Il risultato: le due vengono bistrattate insieme alla renziana Elena Bonetti e salvo non auspicabili sommovimenti staranno fuori dal parlamento. A parte il neutrino, per cui la Gelmini voleva costruire un tunnel, nessuno se ne accorgerà. Lo Sgarbi Vittorio, il più dadaista dei parlamentari, viene sconfitto, dadaismo nel dadaismo, dal Casini Pier Ferdinando, dal 1982 doroteo chierico vagante tra Camera, Senato e Parlamento europeo con la creatività di un turacciolo. Il dadaismo coi suoi giochi sa mettere ordine, così l’elettorato si sbarazza senza commozione del più renziano dei renziani del PD: il Marcucci Andrea. Restano fuori anche la Bellanova Teresa, pure lei renziana: da  sindacalista dei braccianti a sostenitrice del job act, qui forse il dadaismo c’entra poco e si tratta di nemesi storica. Infine è triste dirlo, Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia viene espugnata da Isabella Rauti, la figlia di Pino, il più fascista dei segretari del vecchio MSI, fondatore di Ordine Nuovo. Metaforica vittoria postuma dell’Armir. I secessionisti del M5S capitanati da Di Maio: Spatafora, Azzolina, Patuanelli, Laura Castelli hanno fatto la fine del Nencioni Gastone e dei suoi, anche come risultato elettorale: lo 0,6%. Il Parlamento farà anche a meno del Bossi Umberto ed è una buona notizia. Mentre a Emma Bonino e + Europa mancano, mal contati, diecimila voti per rimanerci e dunque chiede sportivamente il riconteggio dei voti. Dopo tante battaglie stando un po’ a destra e un po’ a sinistra potrebbero pure chetarsi e riposarsi. Monica Cirinnà non ce l’ha fatta; avrà più tempo per rincorrere i ventiquattromila euro trovati nella cuccia del cane, li rivendica con passione. Infine, come apoteosi del dadaismo due pillole. Un passaggio del discorso della Meloni Giorgia: «questa per tante persone è sicuramente una notte di orgoglio, è sicuramente una notte di riscatto, una notte di lacrime di abbracci di sogni di ricordi. È una vittoria che voglio dedicare a tutte le persone che non ci sono più e che meritavano di vedere questa nottata». Meditate gente, meditate. La seconda: la seduta di apertura del Senato della Repubblica potrebbe essere presieduta da un condannato per truffa ai danni dello Stato. Tristan Tzara ne sarebbe entusiasta.

Buona settimana e buna fortuna

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