Ciò che possiamo licenziare

venerdì 30 settembre 2022

Bonaccini: tante chiacchiere senza distintivo.

Adesso  i media si lanciano sulle candidature alla segreteria del PD. Bonaccini, intervistato dalla Gruber Lilli, racconta il vuoto. Nessuna idea sul nuovo posizionamento e sulla nuova identità del partito. Non un accenno ai temi sociali: precariato, lavoro, ecologia. Nessuna riflessione sulle motivazioni della sconfitta.


Superati gli ultimi sussulti dell’effetto flipper nella scelte degli eletti per Camera e Senato e in attesa dell’incarico alla Meloni Giorgia, con gli abituali cascami spartitori, l’occhio di bue dei media ha già individuato il nuovo tema di intrattenimento: la scelta del nuovo segretario del Pd. Si parte con con chi oramai da qualche anno viene visto come il segretario in pectore ed è ragionevole pensare seguiranno altri aspiranti di ogni ordine e grado. Dalla Gruber Lilli, giovedì 29 settembre, fa la sua comparsata Bonaccini Stefano. L’intenzione, abbastanza scoperta è di presentarsi come super partes: «mi presenterò se capirò di poter essere utile (lo disse anche Mario Monti) … sto ricevendo richieste da Bolzano a Palermo» e via dicendo. Musica vecchia, già suonata e già sentita. Dopo di ciò i successivi minuti per arrivare alla mezz’ora sono stati riempiti da trite banalità: «opposizione intelligente, dare una mano per il bene del Paese, essere intransigenti con chi vuole scassare e compromettere i diritti civili». E fin qui ci mancherebbe. Ha poco apprezzato le autocandidature «perché prima ci vuole il programma». Perbacco baccone, questa sì è una novità. Al dunque però di temi programmatici, ma soprattutto di posizionamento non parla assolutamente. Al massimo butta là con nonchalance «i drammi quotidiani… i costi energetici» e null’altro. Sulla questione “partito” arriva a dire, come massimo, della necessità del Pd di aprirsi, magari fare rientrare Renzi e, perché no? Calenda, di essere rifondato, quindi «prima dei cognomi sono necessari i programmi» e, tocco d’artista, l’aggiunta di avere alleanze larghe. E ci mancherebbe. Poi: il nulla. Il vuoto assoluto. In trenta minuti non un accenno alle motivazioni della sconfitta del PD, a quanto farebbe, nel caso in cui gli toccasse l’onere, a come si comporterebbe sulle questioni di carattere sociale a come gestire il precariato, alla differenza tra costo sociale e costo privato e poi che fare con le correnti e le quinte colonne renziane. Detto per inciso, alcuni, i due Andrea, il Marcucci e il Romano, renzianissimi doc, sono stati bocciati dall’elettorato in collegi tradizionalmente sicuri e di sinistra. E questo la dice lunga sulla attuale relazione tra il partito e la società. Comunque, se queste sono le premesse auguri Pd. Una sola domanda: la corona di fiori dove va mandata?

Buona settimana e buona fortuna.

martedì 27 settembre 2022

Elezioni 2022: risultati dadaisti.

Anche se nato in Svizzera il dadaismo ha piena cittadinanza in Italia. Gli italiani dicono di volere il Draghi Mario, ma votano per i suoi avversari. La Carfagna e la Gelmini abbandonano Forza Italia e vengono affossate in Azione. La Stalingrado d’Italia è espugnata dalla figlia del fondatore di Ordine nuovo. Due pillole: il discorso della Meloni e la possibilità di vedere un condannato per truffa ai danni dello stato presiedere la seduta di apertura del Senato.

È ben strano che il dadaismo sia nato in Svizzera, nel cantone di Zurigo, tedesco per antonomasia e Tristan Tzara fosse romeno con la passione dello scrivere in francese. Tutto nel movimento dadaista porta all’Italia, ma qui c’erano già i futuristi e il Dada ebbe poco seguito. Tuttavia la politica italiana, negli ultimi decenni ha tratto la sua maggiore ispirazione proprio dal dadaismo. Quest’ultima tornata elettorale ne è stata l’apoteosi. Primo fenomeno dadaista: la gran parte degli italiani, dicono tutti i sondaggi, stravedono per il Draghi Mario, novello camminatore sulle acque e dunque premiano chi gli ha maggiormente dato contro: Fratelli d’Italia, sempre all’opposizione e il M5S partito sfogliato come un carciofo fino a quando decide di uscire dalla maggioranza. Se non è dadaismo questo.  Ma non ci si ferma qui: la Gelmini Mariastella nonché la Carfagna Mara, ex pupille del Berlusconi Silvio, escono da Forza Italia per la tema di non avere collegi buoni e trasmigrano in quel del Calenda, il promettente sfracelli. Il risultato: le due vengono bistrattate insieme alla renziana Elena Bonetti e salvo non auspicabili sommovimenti staranno fuori dal parlamento. A parte il neutrino, per cui la Gelmini voleva costruire un tunnel, nessuno se ne accorgerà. Lo Sgarbi Vittorio, il più dadaista dei parlamentari, viene sconfitto, dadaismo nel dadaismo, dal Casini Pier Ferdinando, dal 1982 doroteo chierico vagante tra Camera, Senato e Parlamento europeo con la creatività di un turacciolo. Il dadaismo coi suoi giochi sa mettere ordine, così l’elettorato si sbarazza senza commozione del più renziano dei renziani del PD: il Marcucci Andrea. Restano fuori anche la Bellanova Teresa, pure lei renziana: da  sindacalista dei braccianti a sostenitrice del job act, qui forse il dadaismo c’entra poco e si tratta di nemesi storica. Infine è triste dirlo, Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia viene espugnata da Isabella Rauti, la figlia di Pino, il più fascista dei segretari del vecchio MSI, fondatore di Ordine Nuovo. Metaforica vittoria postuma dell’Armir. I secessionisti del M5S capitanati da Di Maio: Spatafora, Azzolina, Patuanelli, Laura Castelli hanno fatto la fine del Nencioni Gastone e dei suoi, anche come risultato elettorale: lo 0,6%. Il Parlamento farà anche a meno del Bossi Umberto ed è una buona notizia. Mentre a Emma Bonino e + Europa mancano, mal contati, diecimila voti per rimanerci e dunque chiede sportivamente il riconteggio dei voti. Dopo tante battaglie stando un po’ a destra e un po’ a sinistra potrebbero pure chetarsi e riposarsi. Monica Cirinnà non ce l’ha fatta; avrà più tempo per rincorrere i ventiquattromila euro trovati nella cuccia del cane, li rivendica con passione. Infine, come apoteosi del dadaismo due pillole. Un passaggio del discorso della Meloni Giorgia: «questa per tante persone è sicuramente una notte di orgoglio, è sicuramente una notte di riscatto, una notte di lacrime di abbracci di sogni di ricordi. È una vittoria che voglio dedicare a tutte le persone che non ci sono più e che meritavano di vedere questa nottata». Meditate gente, meditate. La seconda: la seduta di apertura del Senato della Repubblica potrebbe essere presieduta da un condannato per truffa ai danni dello Stato. Tristan Tzara ne sarebbe entusiasta.

Buona settimana e buna fortuna

lunedì 19 settembre 2022

Giorgia Meloni arriverà prima, ma non vincerà.

Sondaggi pieni e urne vuote, è già capitato. Anche se i sondaggi avessero ragione FdI resta una minoranza, cospicua minoranza , ma pur sempre minoranza. I folgorati sulla via della Scrofa si sentono dei padreterni e non saranno il solo problema, ci sono anche quelli “lì da sempre”. Giorgia una Zelig in gonnella qualche volta istrionica e qualche volta moderata. Indecisi e chi non vota aumentano, ma non si sa mai.


Il titolo non è mio e lo ripesco da Bersani Pier Luigi. Lo inventò in occasione delle elezioni del 2013. Probabilmente lo reciterà, magari anche solo in privato, la Meloni Giorgia. Oggi, come allora, il partito con più voti non sarà in grado di garantire la governabilità. E la Meloni non sarà in grado di garantirla, questa araba fenice della governabilità. Innanzitutto sarà da vedere se i numeri indicati dai sondaggi si concretizzeranno nelle urne, non sarebbe la prima volta di sondaggi pieni e urne vuote. Un conto è rispondere a un questionario sul cui anonimato c’è sempre qualche dubbio e un conto starsene solo soletto dentro la cabina elettorale, dove neanche Stalin, ai suoi tempi, poteva metterci un occhio. Poi sarà da vedere se ai  numeri dei voti corrisponderanno uguali numeri di seggi. Ma, anche ammesso e non concesso, si tratterà di fare i conti a urne aperte e comunque si tratterà di una minoranza, forse cospicua, ma pur sempre minoranza. Per governare bisognerà essere in due o più e i due o più a disposizione della Meloni Giorgia su molti temi, se non su quasi tutto, la pensano in maniera diversa. Molto diversa. Lei stessa la pensa in maniera diversa, molto diversa, dalla sé stessa di solo pochi mesi-anni addietro e da una certa sé stessa di alcune settimane fa. L’essere stata all’opposizione di Draghi in questi venti mesi prevede di avere un piano alternativo a quello, peraltro evanescente, dell’apotropaico camminatore sulle acque. E questo piano non c’è o se c’è è tenuto ben nascosto. E dunque la Meloni Giorgia, detta Draghetta, per nascoste simpatie per il Draghi Mario, sarà costretta a proseguire sulle peste dell’attuale governo? Sarà il disastro suo e del Paese. Anche se uno in più o uno in meno, di disastri, non farà tanta differenza. Tra quanti le impediranno la governabilità ci saranno i recenti imbarcati: da Nordio a Tremonti passando da Fitto a Pera. Ognuno di questi novelli folgorati sulla via della Scrofa si crede un padreterno e pensa di poter fare e disfare in indipendenza, ma così non sarà. Come non bastasse nel gruppo ci sono quelli lì da sempre, quelli del quattro-virgola-cinque-per-cento: si aspettano sia arrivato il loro turno, ma non ci sono così tanti posti e in sovrappiù i nuovi arrivati sono il triplo dei vecchi e in più sono in qualche modo presentabili.. E loro, i folgorati, si sono pappati i collegi migliori, quindi ci saranno, mentre i vecchi chissà. Senza contare che quelli della vecchia guardia sono palesemente inadeguati e la lista degli inquisiti (non ancora condannati) è lunghetta. E poi c’è lei la Meloni Giorgia, una Zelig in gonnella, capace di essere l’istrionica agitatrice dei comizi e la compassata moderata delle interiste in tv.  Dice che non vuol cancellare la legge 194 però sta con Orban, quello che vuol far sentire il battito del feto alla donna prima di abortire, si giustifica dicendo che Orban ha vinto le elezioni, ma lo fece anche Mussolini, ops! È europeista, di nuovo conio, ma minaccia la Ue dicendo: «la pacchia è finita». Vuol difendere gli interessi degli italiani e chi non lo vorrebbe e vuol rivedere il pnrr.  Evvabbé. Nelle ultime apparizioni è sembrata nervosetta, forse sta leggendo sondaggi poco sorridenti. Intanto gli indecisi e forse quelli che a votare non ci andranno aumentano. Però si sa mai. Comunque si tratterà di attendere ancora una settimana e come si usa dire: passata la campagna elettorale gabbato l’elettore.

Buona settimana e buona fortuna.

venerdì 9 settembre 2022

Cingolani Roberto: la massaia d’Italia.

Il Ministro dell’ambiente scopre la sua anima da oculata massaia. Una Signora telefona a Prima Pagina per sbertucciarlo: come caricare lavatrici e lavastoviglie lo sa bene. Ha aggiunto: come dipendente pubblica, è infermiera, riceverà la sua liquidazione a rate e la prima dopo due anni. Forse la Signora Cingolani dovrebbe trattenere il marito a casa e affidargli la gestione degli elettrodomestici. Ne guadagnerà il suo budget famigliare e magari anche la nazione.

Il dottor Cingolani Roberto, classe 1961, di professione fisico, è l’attuale Ministro della transizione ecologica. Ministero in genere importante e in questo tremendo periodo addirittura cruciale. Data la situazione internazionale, è fortemente in dubbio che nei prossimi mesi si avrà a disposizione la stessa quantità di gas e di energia elettrica di cui si è goduto nell’anno precedente. Si tratta dunque di prendere misure efficaci e ed efficienti per risparmiare e qui il Cingolani fisico è venuto in aiuto al Cingolani ministro. Facendo infatti ricorso ai suoi studi il ministro ha messo a punto una strategia vincente con poche azzeccate mosse. Così lui crede. Innanzitutto ha deciso di puntare sulla famiglia, come noto questa rappresenta il cuore, il basamento, il nocciolo della società e quindi ... Ecco dunque le proposte: fare docce più corte (alle madri poter imporre ai figli adolescenti di ridurre il tempo sotto il getto d’acqua protette dall’usbergo dell’autorevolezza del ministro non parrà vero), il secondo passaggio è di abbassare o addirittura spegnere la fiamma dopo la prima ebollizione della pasta coprendo la pentola con un coperchio. In fondo è solo questione di fisica. Poi: non buttare l’acqua di cottura, ma conservarla per lavare i piatti, per chi non ha la lavastoviglie mentre per chi ce l’ha caricarla adeguatamente come pure  la lavatrice. Quindi ridurre le ore di accensione delle lampadine, forse sostituendole con candele. Magari, ma questo non lo ha esplicitato, dismettere aspirapolvere e lucidatrice tornando alle sane scope e allo strofinaccio con paraffina  Usare meno o per nulla gli ascensori e ricoprire le scale con evidenti benefici per la circolazione e il tono muscolare soprattutto se si portano pingui sacchi della spesa. Così si risparmiano i soldi della palestra, attività alto consumante di energia. Il tutto da sommarsi al drastico minor utilizzo del riscaldamento mettendosi addosso qualche maglione in più. In sostanza si sta scoprendo un lato nuovo del Cingolani Roberto: il suo lato massaia risparmiosa. E allora la signora Cingolani dovrebbe chiedere al suo signor marito di starsene a casa ad occuparsi delle questioni domestiche. Ne guadagnerà certamente il budget familiare e probabilmente anche la nazione.

P.S. Le uscite da massaia oculata del Cingolani hanno turbato una Signora che ha telefonato a Prima Pagina, Rai Radio3, per dire di essere lei una massaia. Ha sottolineato come quanto suggerisce il Cingolan-massaia già lo fa da sempre e in più, come molte altre donne oltre ad occuparsi della casa lavora come infermiera in una struttura pubblica. E ha aggiunto, giusto a memoria, che riceverà solo una parte della liquidazione dopo due anni dall’essere essere andata in pensione e la totalità chissà quando. Quindi sì, meglio se il Cingolani vorrà dedicarsi a fornelli, lavatrici e docce dei figli.

Buona settimana e buona fortuna.

giovedì 1 settembre 2022

Autunno freddo, inverno gelido e primavera al verde.

Il governo dei migliori sul gas dovrebbe dire la verità. Lo sostiene Alberto Clo, pericoloso bolscevico, ex ministro del governo Dini, Cavaliere di Gran Croce e direttore della rivista Energia, fondata con Romano Prodi. Le tappe del governo draghiano sulla questione gas. Price cap: la vittima ricatta i suo aguzzino.


Sulla questione del gas il governo dei migliori sta rappresentando, con grande teatralità, una delle sue migliori performance. Come si ricorderà sul tema ha esordito l’apotropaico camminatore sulle acque sostenendo l’impossibilità della Russia di innalzare il prezzo delle sue forniture e questo per via delle  stringenti clausole contrattuali. E infatti il prezzo a cui si sta comprando galoppa libero e selvaggio come Furia il cavallo dell’West. Dopo di che, sempre lui, mentre si faceva supino alla richiesta ammerigana di destinare il 2% del Pil in armamenti - ma non ce l’ha fatta - e chiedeva sanzioni draconiane, proponeva di applicare un limite al prezzo del gas russo: con leggiadria lo definiva price cap. Come dire: dopo aver messo due dita negli occhi del vicino chiedergli un prestito. Di solito così non funziona e infatti non sta funzionando. Altra tappa di questa kafkiana vicenda è stata quella di declamare ad ogni piè sospinto la volontà di fare a meno del gas russo e quindi si gira qua e là nel mondo ad elemosinare forniture. Forniture che vengono magnanimamente concesse, sia chiaro, a caro prezzo, ovviamente. Se vuoi il price cap «non lo stampi sui muri, lo contratti» ha commentato il dottor Alberto Clo, pericolosissimo bolscevico, ex ministro del governo Dini e attualmente direttore della rivista Energia, fondata con Romano Prodi, A questo punto come in ogni sketch dei De Rege ecco avanzarsi il ministro Cingolani, prima si autoimbroda: «siamo i migliori in Europa e le cose andranno bene», poi sostiene di disporre di riserve per il 70-80% e quindi si scavallerà l’autunno, l’inverno e magari anche la primavera. E poiché uno sketch si nutre di trovate continue ecco adesso far intendere che non si può stare proprio sicuri-sicuri e allora la richiesta di non accendere i condizionatori, posticipare quella dei caloriferi, ridurne l’uso e abbassarne la temperatura. Ovviamente sulla fiducia. Sarà divertente fare un giro nei locali degli enti pubblici, ministeri, regioni e comuni  per constatarne l’applicazione. Recentemente il dottor Alberto Clo, sempre quel pericoloso bolscevico, ha definito, con un largo giro di parole, il tanto detto e il poco fatto come bubbole. Libera traduzione. Aggiungendo: «il governo dovrebbe dire la verità», intradicendo come i migliori non l’abbiano ancora fatto. D’altra parte se lo facessero dovrebbero dire di essere i peggiori, ma non ne hanno né la capacità né il coraggio, altrimenti non starebbero lì dove stanno. Il dottor Clo ha concluso il suo intervento radiofonico (Tutta la città ne parla, Rai radio 3 del 30 agosto 2022) dicendo: «la Francia paga il gas la metà del nostro.» Alleluia.

Buona settimana e buona fortuna.