La solidarietà è merce a costo zero e quindi si dà a piene mani. Se però ha implicazioni va centellinata. Il mare una volta nostrum ora è diventato algerinum, metodo Putin. L’Italia invasa tace.
Sull’Unione Sarda di lunedì 9 maggio sono apparsi due articoli i quali, con la giusta retorica, si possono definire epocali. Uno pubblicato in prima pagina, due brevi e ficcanti colonnine, racconta della solidarietà, in questo caso accidentalmente fornita-data-accreditata al popolo ucraino, e di quanto questa sia eterea-evanescente-intangibile-di-poco-o-nullo-costo e pertanto fornita a piene mani. Anzi a piena bocca: aria resa all’aria. Si pensi alla solidarietà data all’Aquila, ai parenti del ponte Morandi, agli esodati, ai morti sul lavoro,tanto per dire solo di quattro, poiché l’elenco sarebbe assia lungo. Quando invece questa comincia ad avere un costo, tanto o poco che sia, la quistione (come diceva il sardo Antonio Gramsci) cambia di segno. Se c’è il rischio di rimanere coinvolti,economicamente in modo pesante e magari anche militarmente, si comincia a pensare-borbottare-dire che l’Ucraina è lontana sia geograficamente sia culturalmente. Oibò, altro che parte dell’Europa e dunque la Russia si prendesse quel Donbass cui tanto agogna, si tenga anche la Crimea e si smetta con la guerra. Naturalmente a seguito il prezzo del gas deve tornare ai livelli di ante conflitto così come quelli del petrolio e del carbone e i turisti russi con le tasche piene di rubli-euro-dollari, definiti con delicato eufemismo alto spendenti, tornino ad invadere le nostre città, le nostre ville, ii nostri alberghi e le nostre spiagge perché in questo caso quanto l’occhio vede fa gioire il cuore e al contrario se occhio non vede schifezze il cuore non duole. Saggezza popolare. Pertanto basta guerra poiché gli affari ne risentono. Così come nel caso Reggeni-Egitto: mica si può rovinare il business per un morto solo. Ma dai, scherziamo?
Il secondo articolo è la prima puntata di un’inchiesta promettente quanto basta per far salivare quelli che mai hanno creduto si possa camminare sulle acque. Il tema è una bazzecola a cui né l’attuale governo dei migliori né il precedente dei peggiori ha prestato la minima attenzione: l’Algeria ha deciso di annettersi, metodo Russia, parte delle nostre acque territoriali allargando le sue fino a lambire la Sardegna. Così un bagnante di Sant’Antioco dopo qualche decina di bracciate si troverà in acque territoriali algerine. Un record. Il motivo è semplice: in fondo al mare ci stanno placidi e giocondi miliardi di metri cubi di metano: Algeri li vuol tutti per sé. Cioè li vuole estrarre tutti per sé, ma poi magnanimamente ce ne venderà una parte. In altre parole, ad essere diplomatici, ci venderà quello che ci avrà preso o rubato. Scegliere il participio passato ritenuto più consono. Naturalmente finché staremo buoni e zitti. Qualcosa di stranamente somigliante alla quistione Ucraina-Russia. Ovviamente quando nei giorni passati il Draghi Mario, camminatore sulle acque nonché fuoriclasse del chissà cosa, s’è trovato a sua insaputa ad Algeri a colloquio col premier algerino di tutto ha chiacchierato, whatever it takes, meno di questo oltremodo trascurabile dettaglio. Al danno la beffa per i sardi a loro neanche uno sbuffo: il gas estratto andrà direttamente nelle condotte installate in Sicilia, peraltro troppo piccole per poter trasportare tutto quello promesso la cui entità neanche si avvicina a quanto necessario. Bagatelle. Chi se la riderà alla grande saranno tre compagnie energetiche: l’algerina Sonatrach, la francese Total e l’italiana Eni assolta da presunti reati di corruzione. Ça va sans dire, ollallà, mais oui, mais non, ça va. Il giorno 10 maggio è uscita la seconda puntata dell’inchiesta di Mauro Pili e si è data sostanza al termine peracottaro.
Buona settimana e buona fortuna.
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