Ciò che possiamo licenziare

giovedì 30 aprile 2020

1 Maggio 2020 Festa di disoccupazione forzata


A festeggiare il 1 Maggio, festa del lavoro e dei lavoratori, c'è sempre voluto del coraggio a maggior ragione in questo periodo. Ma c'è chi questo coraggio mai l'ha avuto. E mai l'avrà. 

 

Primo maggio su coraggio intonava alla fine degli anni ’70 Umberto Tozzi e con il largo anticipo di cquarant’anni’anni tratteggiava la situazione attuale. Già, perché per festeggiare il primo maggio, festa del lavoro e dei lavoratori, oggi, anno 2020 ci vuole tanto, troppo, coraggio. E questa volta CoronaVirus non ha colpa, anzi ne ha il merito.
Il coraggio di festeggiare questo primo maggio non ce l’avranno quei geniacci che hanno inventato le millanta forme di lavoro atipico, dai co,co.pro. alle partite IVA che erano e sono solo dei modi beceri e neanche tanto subdoli per non applicare i contratti nazionali di lavoro ed evadere il versamento dei contributi e meglio ricattare i lavoratori
Il coraggio di festeggiare questo primo maggio non l’avranno quegli economisti che hanno sbrodolato per decenni sulla necessità di salvaguardare il lavoro e non i posti di lavoro, cioè i lavoratori. Che è come dire che questi siano immediatamente intercambiabili, cosa che non è: un metalmeccanico specializzato in motoriduttori epicicloidali non può riciclarsi il giorno dopo come programmatore informatico.  L’ha capito anche Carlo Calenda, quindi non deve essere difficile.
Il coraggio di festeggiare questo primo maggio non l’avranno quei turbo liberisti che corrono piagnucolanti alle casse dello Stato chiedendo sovvenzioni e prestiti senza interessi e magari a fondo perduto appena le cose vanno male, cioè quando non riescono più a reggere il mercato. Per sapere come si fa chiedere a Confindustria tra i soci troverete sicuramente qualche esperto.
Il coraggio di festeggiare questo primo maggio non l’avranno i tecnocrati del taglio. Per intenderci quelli che in Italia hanno sprecato le loro poche energie intellettuali solo per programmare tagli nella sanità, nella sicurezza, nella ricerca, nella università con il numero chiuso, e nella scuola. Tanto per dire le più rilevanti. Università mediaticamente blasonate ne hanno sfornati a kili
Il coraggio di festeggiare questo primo maggio non l’avranno quei politici, magari ex apparatinichi, ex braccianti o ex disoccupati che nei decenni non hanno mai visto il lavoro nero nelle campagne e neppure quello nelle città dove prospera il nuovo sfruttamento, che ben si può definire schiavista, dei rider. Nel parlamento ce n’è ampia scelta.
Il coraggio di festeggiare questo primo maggio non l’avranno quelli che sproloquiano di economia senza aver studiato i Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Karl Marx. L’avessero fatto avrebbero capito che l’economia è una disciplina inventata da filosofi e che non si fa buona economia solo con le calcolatrici. Si può prendere in blocco la categoria.
Il coraggio di festeggiare questo primo maggio non l’avranno quelli che non hanno visione del bene comune e soprattutto non hanno capacità di progetto. C’è solo l’imbarazzo della scelta
Il coraggio di festeggiare questo primo maggio non l’avranno quelli che tra indulti, condoni e tagli dei controlli hanno permesso il crescere e lo svilupparsi dell’evasione fiscale.
Il coraggio di festeggiare questo primo maggio non l’avranno quelli che non applicano le norme sulla sicurezza in azienda a cui siamo debitori di 700 morti sul lavoro e di 641mila e bricola denunce per infortuni nell’anno 2019.
A quelli che restano e campano la giornata con il loro lavoro salariato, senza incentivi e senza sovvenzioni, l’augurio di aver il coraggio di festeggiare il primo maggio.
Buona settimana e buona fortuna.

venerdì 24 aprile 2020

CoronaVirus cause ignote per effetti certi?

Ogni azione spesso si porta dietro degli effetti collaterali. Qualche volta positivi, qualche volta negativi e qualche volta dubbi. Accade anche per CoronaVirus.

Le acque del fiume Po sono tornate all'origine
CoronaVirus, come ogni evento, si porta appresso degli effetti non voluti definiti collaterali. In non pochi contesti la dizione, “effetti collaterali”, ha un che di cinico e di crudele. È accaduto talvolta che per colpire un capo nemico ci siano andati di mezzo i suoi ignari vicini, effetti collaterali, o che certe produzioni industriali assai profittevoli per pochi abbiano generato carcinoma per molti, altri effetti collaterali. CoronaVirus anche nel campo effetti collaterali dimostra una certa qual creatività, infatti ne ha messo sul tavolo ben tre tipologie: quelli negativi, quelli positivi e quelli dubbi, con tanti punti interrogativi. Di quelli negativi è inutile dire, sono sotto gli occhi di tutti. Quelli positivi sono di natura ecologica - riduzione dell’inquinamento e il ritorno all’azzurro delle acque del Po e del Canal Grande -  e anche politica: finalmente si è capito quanto sia stato idiota, per rimanere nel politicamente corretto, tagliare le spese per sanità, ricerca, scuola e università. Tanto per dirne quattro. Che in verità per capirlo non bisognava scomodare il CoronaVirus. Effetto collaterale dell’effetto collaterale quelli che prima sproloquiavano di tagli anziché andare a nascondersi sotto un tavolo sproloquiano ancora sulle solite comodissime e remuneratissime poltrone televisive. Poi ci sono gli effetti collaterali dubbi, nel senso che non si sa se siano positivi o negativi. Tra questi la caduta a pioggia di una montagna di miliardi nelle tasche di aziende e di lavoratori autonomi. È una buona cosa? Bah. Senz’altro alcuni se la passano male, decisamente male, ma non tutti, c’è il dubbio. Già, perché in questo momento di grande difficoltà sanitaria ed economica, nessuno si chiede dove siano finiti i profitti aziendali degli anni passati e perché gli imprenditori non li usino in questi frangenti. E se bastano un paio di mesi per mettere in ginocchio il sistema industriale italico ci si può ben chiedere su che razza di fondamenta questo poggi. In tutto questo ci si dimentica che l’Italia è il secondo paese al mondo per risparmio privato e qui vale la stessa domanda di prima e come soprammercato nessuno, ma proprio nessuno, sta parlando di evasione fiscale e di nero: 110mld annui che rappresentano l’equivalente di due manovre. E si tratta di una stima. Tanti, forse tantissimi stanno sfruttando la situazione. È il caso di chi proprietario di una attività di ristorazione, in località turistica, e già che c’è anche dei muri quindi nessun affitto da pagare, vacanze alle Maldive, vestito firmato o di chi, una fattura o uno scontrino ogni dieci, viaggia in auto superlusso. Entrambi in fila a mendicare i 600€. E li hanno pure ottenuti. Effetti collaterali. L’aspetto paradossale sta nell’incrocio tra l’esiguità dell’importo e la quantità delle richieste. Se questo è il paradigma come potremo cavarcela?
Buona settimana e buona fortuna.


 



domenica 19 aprile 2020

The world may end this year…so why am I still buying low-fat yoghurt? (By Brian Johnson)

The thought struck me yesterday with the force of a hammer forged from irony. I was shopping in a Hamptons grocery store. Usually, the store is not patronized by people from Manhattan until Memorial Day Weekend (late May). This year, they've blown in early.  




We see them first sat deep inside their leased Cadillac Escalades, kids scrapping in the football field of many back seats. These virus-unfriendly days, they're hunkered down in their $20m 'cottages' to escape COVID (or they've brought it with them from the city; thanks, guys.)  The ‘blow-ins’ are not hard to spot. Literally Botoxed up to their eyeballs, the women are puffy-cheeked, snuggled somewhere inside their padded, fur-collared coats, wearing too-tight jeans (‘check out my thigh gap’). Yesterday, one of these mutton-as-lamb sirens was followed by a sullen, trolley-pushing sixteen-year-old who was saying on her cellphone ‘OMG, I’m on, like, a shopping trip with my Mom!!!’  The men also are easy to identify: dressed in casual chic: Tom Ford to the fore, distressed Polo beanie, black moleskin shirt with matching Frame jeans, and Locke boots ('got 'em on Jermyn Street on our last trip’). Always on their cellphones, these shouty oafs are yelling through their designer masks at some underling back on Wall Street. Or they're bellowing to a fellow MOTU ('master of the universe') who's checking out Porterhouses in the meat section. 'Hey, Sandy! You're not gonna believe the price of this challah!

And there's me: a local retiree of no consequence, trying to stock up on fruit and veg and please, please, some fish. But today, there's no salmon, no halibut, no tuna. Tilapia? No thanks. I make do with some sea scallops, pick up some Thai noodles, and head for the check out. The check-out is decked out: with decals imploring me to 'keep six feet apart' (the USA being one of only three countries on the globe - Libya and Myanmar being the other two advanced civilizations - that has not gone metric. And now, one imagines, never will.)

I’m reaching for the low-fat yoghurt to sweeten my boring but healthy oatmeal and a little voice asks ‘Why? If we kick this sick puppy into touch this year, you’re only extending your own survival (I’m retired, remember) for a few more years of admirably worthy yet miserable eating. If we don't lick it, we're all licked anyway. So it's a win/win – even when it’s a lose/lose. Eat, eat, my boy, like there’s no tomorrow! Cos there may not be’. I go nuts: buy slabs of salami; cheeses that a Frenchman would applaud; broccoli and cheddar soups, oyster crackers; potato chips; butter pecan cookies, meatballs, teriyaki sauce, lasagna, mac ‘n cheese; and English toffee ice cream (I never buy ice cream; I’m not even sure I like ice cream but I hear it’s bad for you so – ship it in!) And, $150 later, I’m outta there and hurrying to the parking lot to drive home and enjoy a feast fit for the gods. In isolation.

In the car, goodies (baddies?) loaded, I wrestle off the mask which, with its many cords, often takes me five minutes. Putting on the mask takes much longer: I sit in the car wearing a thick woolen scarf under a heavy coat. Then, plastic-gloved, I try to tie a bow backwards - not an activity for which my shaking, fine-motor-skills were designed. There must be a better way! There is: ‘Get one with loops, pal’ says an unwanted onlooker as he passes. The young busybody snaps on his own mask with (rather too much) flair.


APRIL FOOL? 
But, but – another thought strikes me: what if this entire COVID pandemic is one huge cosmic April Fool’s prank? I’m convinced Y2K was a conspiracy conceived by The Spotty People, they of the unmoored eyes and stuttering voices. We techno ingenues waited for cyberspace to terminate as midnight approached in 1999…or was it New Year’s Eve, 2000? (I remember people were split about that.)  But the Revenge of the Nerds never happened.

Rather like a second visit from my washing machine repairman. He had called by two days previously. It was kind of exciting  to have another sentient being under my roof; one who could talk and breathe, albeit behind a mask, standing not six but twelve, feet away. He was a philosopher, this man from Honduras; he speculated that the planet no longer wanted to house us; the planet was sick and tired of our excesses; indeed, we were the virus on the face of the planet and it was payback time. The planet would send its own winged messenger, COVID, to destroy as many of us as possible. Then, if we learned the error of our ways, ended our plastic existence and restlessness, the planet might give us another chance. I was prepared to give this ‘deus ex machina’ another chance when, an hour after he said he’d fixed my machine and driven off in exhaust fumes of rectitude, it again went ‘on the fritz’. Now, two days later, I wait in isolation with my list of ‘topics to discuss with the Honduran nihilist’. So far, there’s been no ETA from mission control, although as they earnestly inform me on voice mail, my ‘business is very important’ to them.

© Jonny Comet, Amagansett, NY, April 2020.

venerdì 17 aprile 2020

CoronaVirus, insicurezza del Capitalismo Padano


A 8½ scontro tra il Professor Massimo Galli, Ospedale Sacco, e la Dottoressa Licia Mattioli Confindustria. Buon senso versus Velleitarismo. Il pericolo: riaprire troppo presto o aprire male.



Non tutto il male è sempre così male come non tutto il bene è sempre così bene e pure il CoronaVirus aderisce a questa antichissima regola di vita. Al dunque anche il CoronaVirus ha una qualche sua positività, per esempio farci assistere al confronto tra velleitarismo da una parte e il buon senso dall’altra andato in onda lo scorso 9 aprile su 8½. Nei panni del velleitarismo la Dottoressa Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria. Indovina. In quelle più sobrie del buon senso il Professor Massimo Galli, Direttore del Dipartimento Malattie Infettive Ospedale Sacco. La differenza dei pesi in campo balza agli occhi. A dare il via all’incontro è Licia Mattioli che, con cipiglio manageriale quanto basta e sguardo duro da spaccamontagne,  ha esordito dicendo che non discute le misure sanitarie, non ne ha le competenze, bontà sua,  «però (congiunzione avversativa) questo periodo di stop delle aziende sta creando delle difficoltà grandissime al sistema industriale italiano e questo ci preoccupa moltissimo.» Inutile spreco di superlativi. Poi ha proseguito dicendo, parole testuali:« noi abbiamo sicuramente a cuore la salute dei cittadini e dei nostri (attenzione nostri, si badi bene) lavoratori però (altra congiunzione avversativa) allo stesso tempo abbiamo a cuore il futuro del nostro paese che passa attraverso la salute delle nostre aziende.» A sentire queste affermazioni vengono in mente i 700 morti sul lavoro e le 641mila e bricola denunce per infortuni nell’anno 2019. Comunque la Dottoressa Mattioli si aspetta  da subito « un piano per la riapertura e soprattutto che ci sia una data certa perché le aziende hanno bisogno di certezze.» Tutti vorremmo certezze ma la vita è incertezza, bellezza. Aggiungo a titolo personale che i veri imprenditori, non cercano certezze certe ma (e qui l’avversativa calza a pennello) idee, magari innovative, magari rivoluzionarie. Ve l’immaginate Henri Ford o Adriano Olivetti o Bill Gates o Mark Zuckerberg o Steve Jobs piagnucolare o elemosinare certezze? Ogni limite ha il suo senso del ridicolo.. Il Professor Galli,  grazie al suo aplomb ha trattenuto le risa e ne aveva un gran voglia, ha risposto candidamente:«se siete capaci di convincere il virus a dare una data certa allora avremo una data certa.» Aggiungendo che «è molto dura dare delle date certe su situazioni che vengono governate da qualcosa che non è chiaramente governabile.» E qui Monsieur de La Palice ha gongolato alla grande. Più chiaro di così? Ma la protervia dei velleitari non si arresta di fronte a nulla e dunque la Dottoressa Licia Mattioli ha insistito:«non possiamo stare in questo stallo: la cura funzionerà ma il cavallo morirà.» La metafora è carina e azzeccata ma va ribaltata: il cavallo non è l’economia, ma la popolazione e la cura non è l’isolamento fisico, ma la fretta di riaprire. Con pazienza il Professor Galli ha ribadito che bisogna fare le cose in sicurezza perché «sapete cose succede se apriamo troppo presto o apriamo malamente? Risiamo nuovamente da capo e questo è il vero rischio dei rischi.» Quindi  chiosa: «se alla fine gli italiani preferiscano essere vivi con le pezze sul sedere o andare a correre rischi non avendo garanzie.» La risposta va da sé: fare il più ricco del cimitero è ambizione limitata solo a chi ha in mente i danee, i sghei, i sordi. Ma di mentecatti in giro per l’Italia ce n’è più d’uno. La Val Seriana con isuoi morti non ha insegnato nulla.
Buona settimana e buona fortuna.


A 8½ scontro tra il Professor Massimo Galli, Ospedale Sacco, e la Dottoressa Licia Mattioli di Confindustria. Buon senso versus Velleitarismo. Il pericolo: riaprire troppo presto o aprire male.
Non tutto il male è sempre così male come non tutto il bene è sempre così bene e pure il CoronaVirus aderisce a questa antichissima regola di vita. Al dunque anche il CoronaVirus ha una qualche sua positività, per esempio farci assistere al confronto tra velleitarismo da una parte e il buon senso dall’altra andato in onda lo scorso 9 aprile su 8½. Nei panni del velleitarismo la Dottoressa Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria. Indovina. In quelle più sobrie del buon senso il Professor Massimo Galli, Direttore del Dipartimento Malattie Infettive Ospedale Sacco. La differenza dei pesi in campo balza agli occhi. A dare il via all’incontro è Licia Mattioli che, con cipiglio manageriale quanto basta e sguardo duro da spaccamontagne,  ha esordito dicendo che non discute le misure sanitarie, non ne ha le competenze, bontà sua,  «però (congiunzione avversativa) questo periodo di stop delle aziende sta creando delle difficoltà grandissime al sistema industriale italiano e questo ci preoccupa moltissimo.» Inutile spreco di superlativi. Poi ha proseguito dicendo, parole testuali:« noi abbiamo sicuramente a cuore la salute dei cittadini e dei nostri (attenzione nostri, si badi bene) lavoratori però (altra congiunzione avversativa) allo stesso tempo abbiamo a cuore il futuro del nostro paese che passa attraverso la salute delle nostre aziende.» A sentire queste affermazioni vengono in mente i 700 morti sul lavoro e le 641mila e bricola denunce per infortuni nell’anno 2019. Comunque la Dottoressa Mattioli si aspetta  da subito « un piano per la riapertura e soprattutto che ci sia una data certa perché le aziende hanno bisogno di certezze.» Tutti vorremmo certezze ma la vita è incertezza, bellezza. Aggiungo a titolo personale che i veri imprenditori, non cercano certezze certe ma (e qui l’avversativa calza a pennello) idee, magari innovative, magari rivoluzionarie. Ve l’immaginate Henri Ford o Adriano Olivetti o Bill Gates o Mark Zuckerberg o Steve Jobs piagnucolare o elemosinare certezze? Ogni limite ha il suo senso del ridicolo.. Il Professor Galli,  grazie al suo aplomb ha trattenuto le risa e ne aveva un gran voglia, ha risposto candidamente:«se siete capaci di convincere il virus a dare una data certa allora avremo una data certa.» Aggiungendo che «è molto dura dare delle date certe su situazioni che vengono governate da qualcosa che non è chiaramente governabile.» E qui Monsieur de La Palice ha gongolato alla grande. Più chiaro di così? Ma la protervia dei velleitari non si arresta di fronte a nulla e dunque la Dottoressa Licia Mattioli ha insistito:«non possiamo stare in questo stallo: la cura funzionerà ma il cavallo morirà.» La metafora è carina e azzeccata ma va ribaltata: il cavallo non è l’economia, ma la popolazione e la cura non è l’isolamento fisico, ma la fretta di riaprire. Con pazienza il Professor Galli ha ribadito che bisogna fare le cose in sicurezza perché «sapete cose succede se apriamo troppo presto o apriamo malamente? Risiamo nuovamente da capo e questo è il vero rischio dei rischi.» Quindi  chiosa: «se alla fine gli italiani preferiscano essere vivi con le pezze sul sedere o andare a correre rischi non avendo garanzie.» La risposta va da sé: fare il più ricco del cimitero è ambizione limitata solo a chi ha in mente i danee, i sghei, i sordi. Ma di mentecatti in giro per l’Italia ce n’è più d’uno. La Val Seriana con isuoi morti non ha insegnato nulla.
Buona settimana e buona fortuna.