Una dei recenti mantra di Renzo Piano, architetto nel mondo e senatore nella repubblica italiana, dice che l'Italia debba essere rammendata. Con ciò intendendo che, dal punto di vista architettonico ed urbanistico, già molto è stato fatto, non sempre bene nel precedente e nell'attuale secolo, ma soprattutto che quanto costruito non ha goduto di una adeguata manutenzione. Che poi è un modo carino ed educato per dire che mai questa è stata fatta. E che anzi proprio quanto è di recente costruzione specialmente nelle periferie delle città sia anche un bell'esempio di degrado. Di lì a dire che là dove c'è degrado delle cose non è difficile trovare anche il degrado sociale e, ovviamente, viceversa è passo abbastanza breve e comunque è un dato di fatto sotto gli occhi di tutti.
In genere ad ogni teorema corrispondono dei corollari e anche questo dell'architetto-senatore non fa eccezione.
Il primo corollario del teorema del rammendo recita che è inutile se non addirittura dannoso lavorare per l'esplosione delle città che al contrario dovrebbero implodere ovvero guardare al loro interno e lavorare sulle ristrutturazioni. E poiché la gran parte dei cittadini abitano in periferie si farebbe bene a partire da queste. D'altra parte due dati sono più che emblematici: in Italia ci sono oltre cinque milioni di appartamenti vuoti e si consumano otto metri quadrati di terreno al secondo. Che oggettivamente son numeri da far rabbrividire anche considerando che una bella fetta dello stivale è costituita da montagne. Quindi la domanda è: perché continuare a costruire?
Il secondo corollario è che metter mano al rammendo può portare anzi senz'altro porterebbe, per non dire in modo più direttivo che porterà, alla creazione di nuove professionalità e quindi nuovi posti di lavoro sia per i giovani sia, magari, anche per quelli meno giovani. Che molti di questi ultimi sono stati fatti accomodare su poltrone ben lontane dal lavoro sia dalla crisi finanziaria sia da discutibili scelte politiche, di norma ponzate da bonzi dell'economia che magari non sanno cosa voglia dire tenere sotto controllo un bilancio familiare. Così magari non si darà la colpa alle nutrie per il collasso di un argine, che, anche se vero, suona un po' buffo, oppure non ci si trova con una scuola su cinque che pare non sia in regola con le norme basilari della sicurezza. E pure, verrebbe da dire, del buon senso.
Per tener dietro a teorema e conseguenti corollari Renzo Piano ha deciso di impostare un progetto, d'altra parte è un progettista e fare progetti è il suo mestiere, e già che c'è anche di finanziarselo con il suo emolumento di senatore a vita. In questo modo i soldi dati alla politica tornano alla polis che è un bel circolo virtuoso. Che se anche altri senatori a vita seguissero l'esempio nessuno se ne adombrerebbe. Perché un'idea se non la si mette in pratica è solo una astrazione buona giusto per parlarne al bar. L'architetto-senatore ha battezzato il progetto con la sigla G124 che altro non è che il numero del suo ufficio nel palazzo del Senato nel quale stanno lavorando sei giovani architetti. Tre uomini e tre donne. Tutti italiani e con esperienza internazionale, ça va sans dire. I sei hanno un anno di tempo per presentare il lavoro che con ogni probabilità dimostrerà che crescita e sviluppo si possono coniugare anche con rammendo e non necessariamente con il nuovo. Probabilmente poche volte negli ultimi vent'anni e forse pure qualcuno di più, le stanze del Senato hanno avuto la possibilità di assistere a lavori e si immagina pure a discussioni effettivamente intese a lasciare meglio quello che si è trovato. Neanche a dirlo.
Già, perché proprio al giuramento degli eletti ateniesi fa riferimento Renzo Piano quando, in modo atipico per gli standard nostrani, definisce il concetto di politica. Per la cronaca il giuramento suonava così: «Giuro di restituirvi Atene migliore di come me l'avete consegnata.» Se si dovessero giudicare con questa massima i politici di lungo corso che hanno scaldato gli scranni dell'italico parlamento negli ultimi cinque o sei lustri ci sarebbe poco da stare allegri. Non foss'altro avendo come parametro l'andamento del debito pubblico. Senza voler dire del numero degli inquisiti e condannati che in quei palazzi stanno dentro. Ma tant'è.
D'altra parte in Senato siede anche Maurizio Gasparri che commentò con fine umorismo la presenza di Renzo Piano alla seduta del 27 novembre (decadenza di Berlusconi) dicendo: «Non può fare come le tricoteuses che andavano ad assistere ai ghigliottinamenti. A Renzo Piano oggi gli mancano solo i pop corn per guardare lo spettacolo. Stavo pensando di fargli recapitare dei pop-corn, ma essendo vicepresidente del senato non l'ho fatto.»
Che Gasparri pensi che in Senato si tengano spettacoli lo fa acuto osservatore, che da lui non ce lo si aspetta. Che poi lui sia uno dei vicepresidenti non ne è altro che la conferma alla sua audace intuizione.
Poi, magari, ci si può divertire a confrontare biografie e reputazione degli attori in campo così si può dare specifica qualificazione allo spettacolo in scena: i tratta di una farsa.
Che poi a domandarsi se possa fare di più in Senato Renzo Piano con una sola presenza o Maurizio Gasparri in cento sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Una cattiveria. Ma forse salutare.
Non conosco Renzo Piano come Senatore ma come architetto non ha uguali in Italia. Nel mondo è uno dei più apprezzati. Grazie Renzo.
RispondiEliminaIl problema non è che ci sia Gasparri; il problema vero è che c'è gente che o sostiene e lo preferisce ai Piano. Allora che fare?
RispondiEliminainteressante articolo
RispondiEliminac'è da rammendare ma anche da tagliare.
RispondiEliminarammendare e rammentare.
RispondiEliminaMi entusiasma il fatto che Renzo Piano che ha fama e lavori importanti a livello modiale abbia volute convergere le sue energie, pensieri e lavoro a un progetto simile. Straordinario! La battutaccia di Gasparri e' degna di un uomo e dei suoi pari che non tollerano deviazioni dal malaffare che perpetuano. Grazie per questo articolo!
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