Ciò che possiamo licenziare

martedì 22 ottobre 2024

La Meloni Giorgia vuole scrivere la storia.

Il prologo sarà:”Fare sta vita per far eleggere sta gente, anche no”. Dovrà scegliere il taglio: eroico, da underdog, retorico, oppure ..



La Meloni Giorgia l’ha ripetuto diverse volte: vuole scrivere la storia. In verità le piacerebbe ri-scrivere la storia, ma le viene difficile dopo la tombale frase del Mussolini Benito:«[i nazisti/tedeschi] Ci hanno sempre trattato come servi e alla fine ci hanno anche tradito». S’è fatto trattare da servo e non s’è accorto che lo stavano tradendo: un genio. Per cui chiuso il capitolo del passato, le conviene, resta il presente e forse, magari anche no, il futuro. Certo, dovrà decidere, la Meloni Giorgia, quale taglio vorrà dare alla “sua” storia. Quello un po’ piagnone da underdog oggettivamente non è bello, le vittime piacciono solo quando cadono eroicamente e di solito non scrivono: altri lo fanno a loro uso e consumo. Quello eroico potrebbe anche andare se non fosse palesemente non credibile. C’è poi la possibilità del taglio retorico, ma a guardare i compagni di viaggio viene già da ridere. Ecco, il comico è probabilmente il taglio giusto per questi due anni di storia. Se si vuol pensare a qualcosa di rilevante fatto da questo governo alla memoria viene niente, mentre per il ridere ce n’è a iosa. E qui i compagni di giro hanno dato una mano decisamente importante. Comunque la prima a far ridere è stata proprio la Meloni Giorgia quando ha esordito facendo le vocine: «oddio arriva la Meloni ... I mercati cadranno ... L’Europa non ci vorrà più parlare», e nel dire buttava gli occhi al cielo e  li strabuzzava e faceva diventare di gomma il grazioso visino. Sembrava di assistere ad una scenetta di Totò quando faceva ballare il cappello sulla testa muovendo solo la fronte, se non fosse che lui era chiamato per far ridere mentre lei,  in teoria, dovrebbe dare risposte alle domande del Paese. Quindi su questa onda s’è subito lanciato il La Russa Ignazio quando definì il reparto di SS di via Rasella «una banda musicale di semi pensionati». Poi ci si è messo il Piantedosi Matteo, dopo il disastro di Cutro disse: «Colpa di genitori irresponsabili». Ineguagliabile il Lollobrigida Francesco, di gag ne ha sparate a raffica da i poveri mangiano meglio dei ricchi, a quel che si trova in Puglia altrove non si trova, alla sostituzione etnica, al cibo sintetico che avrà un impatto dirompente sulla salute, a nessuno mangerà insetti a sua insaputa … e ce ne sarebbero ancora tante. E poi il mitico Sangiuliano: componente della giuria dello Strega riferendosi ai libri finalisti se ne uscì, dopo averli votati, con un «proverò a leggerli» . E per chiudere tre perle della leader maxima: definire “infami” i compagni di partito, non è da tutti, quindi la sceneggiata dei centri in Albania con sedici disperati sballottati da una sponda dell’Adriatico all’altra, e infine la rozza manipolazione della mail del sostituto procuratore della Cassazione Marco Patarnello. Neanche il servizio segreto russo, pure con l’alleanza di Ernst Stavo Blofeld, sarebbe riuscito a fare un simile pateracchio. Terzioli e Vaimer ci avrebbero messo la firma per avere un simile canovaccio per i loro libri umoristici. E allora anche noi, parafrasandola, tutti in coro: fare sta vita per eleggere sta gente anche no.

Buona fortuna e buona settimana

sabato 12 ottobre 2024

Per fortuna è venerdì

 Settimana ricca di fatti. Alcuni divertenti, altri scandalosi altri ancora pericolosi. Ma nulla smuove la passione per la nazionale di calcio e l’ansia per la ripresa del campionato.


La settimana è cominciata con un “Tajani, Tajani va fan ****” scandito sul pratone di Pontida, ancorché da pochi, definiti dal Salvini Matteo prima quattro e poi cinque scemi. Si pensava, ad occhio e croce, ce ne fossero di più, ma già l’ammissione salviniana è un bel passo in avanti chissà, forse nel futuro, non si arrivi a numeri più realistici. Dopo i quattro o cinque scemi ha parlato il Salvini Matteo definito “il capitano”. Col cuore in mano, da buon milanese, ha confermato: “Tajani è un amico e un alleato. Giorgia Meloni è un’amica e un’alleata”. A crederci. Almeno fino a quando si rimane tutti insieme appassionatamente abbarbicati al governo. Ipotesi non certa al cento per cento data l’esternazione della Meloni Giorgia, quella in cui, tra le tante, dice: «Per colpa di infami [Tradotto: sono i suoi parlamentari, non mafiosi, non brigatisti] Io alla fine mollerò per questo perché per fare sta vita per far eleggere sta gente, anche no». Non si capisce bene se sia una promessa o una minaccia. Piacerebbe la prima, ma lo si vedrà solo vivendo: bisogna aspettare. Nel frattempo il Giorgetti Giancarlo, per intenderci quello che voleva abolire il medico di base, leghista,e inopinatamente ministro dell’economia sta girando tutti i media e le commissioni parlamentari disposte ad ascoltarlo per sbandierare il suo mantra: non c’è una lira. Se avesse aggiunto “bambole” sarebbe stato perfetto per l’avanspettacolo, invece ne deve ancora mangiare di polvere del palcoscenico. Tentativi come quello sulle accise:«Non ho parlato di aumento, ma di allineamento» non fa ancora scompisciarsi dalle risate, ma è un discreto inizio. In ogni caso ha costretto la presidente del Consiglio ha intervenire per dire: mai ci sarà un aumento di tasse. La dichiarazione ha tranquillizzato il popolo tutto. Una volta terminate le risate. Lei sì, ci sa fare. Quasi contemporaneamente l’esercito israeliano, per non far torto a nessuno, prima ordina ai caschi blu dell’Unifil, segnatamente alle truppe italiane, e forse non è un caso, di sgommare e andare a portare i suoi aiuti umanitari altrove e poi, per non farsi mancare nulla, spara con un carro armato su una torre di avvistamento, sempre nell’italico settore. Vengono feriti due cingalesi, uno in modo grave. I nostri sono salvi. Scrivono le gazzette: erano nel bunker. Alleluia. Il Crosetto Guido, ministro della difesa, protesta con vigore chiedendo qualcosa del tipo:«la volta prossima cosa dovremo fare? Rispondere al fuoco? Ma poi subito aggiunge: è una domanda provocatoria». E ci mancherebbe. La fortuna dice: oggi cade lo Yom Kippur, giorno sacro, in cui, forse, l’esercito israeliano non ucciderà nessuno. È tuttavia probabile si rifaranno nella settimana a seguire. Con gli interessi. Chi di interessi se ne intende è il bancario Vincenzo Coviello, di Intesa San Paolo. Pare che in tempi brevi abbia visitato/avuto accesso/scaricato ben settemila file corrispondenti a oltre tremila e cinquecento correntisti. Grazie a questi accessi il Coviello ha/avrebbe avuto la possibilità di leggere i dettagli della vita degli altri:se ha assunto dei collaboratori domestici, anche babysitter, risalire ai loro nominativi attraverso i pagamenti. E ancora: gli eventuali centri sportivi frequentati, anche dai famigliari, i luoghi di vacanza, i negozi che frequenta, i beni acquistati online, gli spostamenti o le preferenze del suo tempo libero, il pagamento delle tasse, eventuali prestiti effettuati o ricevuti,rimborsi fiscali, investimenti e donazioni di qualsiasi tipo, luoghi dove acquista i libri, farmacie da cui si rifornisce, medici specialisti ai quali s’è rivolta, strutture sanitarie,centri estetici. Questo hanno scritto il  Borzi Nicola e il Massari Antonio de Il Fatto Quotidiano. Però a fare quattro conti viene che settemila accessi diviso tremila e cinquecento correntisti fa, più o meno: due. Cioè due accessi per ogni correntista. Certo è la media del pollo, ma anche a considerare un solo accesso per moltissimi correntisti, cosa te ne fai di un solo accesso?, sui rimanenti rimangono comunque poche possibilità per capire i dettagli di una vita. Il Coviello sarebbe stato più astuto se avesse effettuato tanti accessi su pochissimi correntisti. Ma tant’è. Comunque la nazionale di calcio ha pareggiato con il Belgio, Tutto ciò posto, resta solo la speranza di una fine settimana senza pioggia.

Buona settimana e buona fortuna.

giovedì 10 ottobre 2024

DUE SPAGNE TRA STORIA,POLITICA E CALCIO




Espanolito qui vienes / al mundo/ te guarde Dios /Una de las dos Espanas/ha de helarte el corazon. (Piccolo spagnolo che vieni al mondo che Dio ti protegga Una delle due Spagne ti gelerà il cuore ) (Antonio Machado scrittore e poeta spagnolo
) Francisco Paulino Hermenegildo Teódulo Franco y Bahamonde, , meglio noto, anzi, tristemente noto, come Francisco Franco o Caudillo de Espana, seguiva il calcio con una passione quasi compulsiva.Identica, maniacale attenzione dedicò alla guida del governo, della Spagna, dal 1° ottobre del 1936 al 20 novembre del 1975. Trentanove anni di dittatura! Il Generalismo (generale dei generali) ,titolo in uso nell’esercito bizantino, che il Franco gradiva in particolar modo, era in grado di recitare le formazioni del Real Madrid di decenni prima. El Caudillo, dunque, improntò tutta la sua vita, pubblica e privata, a un solo stile: l’ultrà. Paul Preston, uno dei massimi esperti di Storia della Spagna contemporanea ha scritto.”Franco era particolarmente sensibile alla coreografia pseudo medievale che caratterizzava molti dei grandi eventi pubblici ai quali prendeva parte. Il suo ritratto, comunemente diffuso come re guerriero o, più precisamente, come El Cid aveva lo scopo sia di lusingare lui in persona, sia di rendere il nucleo centrale di quella che passava per l’ideologia della dittatura.” Da bravo merengue (tifoso del Real Madrid) Franco detestava, ma, è più esatto dire odiava i culès ( tifosi del Barca). Le ragioni di tanta animosità non erano solo calcistiche. La Catalogna era stata l’ultima ad arrendersi alle sue truppe che avevano conquistato l’intero paese. Una resistenza accanita che, nelle suggestive, Ramblas di Barcellona, assunse le caratteristiche di una sanguinosa guerriglia urbana. “ Le truppe d’occupazione entrarono in città – ha scritto Manuel Vàzquez Montalban – e quarta nelle organizzazioni da purgare, dopo i comunisti, gli anarchici e i separatisti c’era il Barcellona Football Club.” Agli inizi della rivolta franchista le truppe nazionaliste arrestarono e giustiziarono il presidente del Barca Josep Sunyol, simpatizzante della sinistra. Nel corso dell’offensiva finale, per piegare la ribelle Catalogna, il palazzo che ospitava la sede del club blaugrana, dove erano custoditi i trofei conquistati dalla squadra, fu bombardato e, praticamente, raso al suolo. Ma, la vendetta franchista non si limitò alla distruzione materiale della sede societaria. La punizione doveva essere completa. Andava dunque annientata l’identità del club barcellonese. Il nuovo regime impose il cambio di denominazione. Da Futbol Club Barcelona in Club de Futbol Barcelona. Una sottile perfidia per imporre la versione castigliana del nome. DUE SPAGNE Real Madrid e Barcellona non rappresentano solo due modi di intendere il calcio. Incarnano due modi di intendere la Spagna. Sono due Spagne, due popoli con storia e tradizioni diverse. Senza contare poi la lingua. A Madrid si parla il castigliano, che è quella ufficiale del Paese, della Casa Reale. A Barcellona si parla il catalano che a Madrid viene considerato, con un certo disprezzo, più o meno un dialetto. Il Real Madrid è da sempre la squadra del potere politico, governativo. Nel 1920, re Alfonso XIII,grande appassionato di sport e di calcio in particolare, patrocinò diverse società calcistiche che presero il titolo di Real, tra queste, oltre al Real Madrid, anche la Real Sociedad, Real Betis e Real Union.Un onore che, ovviamente, il Barcellona non ha mai rivendicato. Sotto il suo regno il Primo Ministro era Miguel Primo de Rivera che odiava il Barca con lo stesso accanimento del suo successore Francisco Franco. De Rivera bandì dal Regno il catalano e la bandiera della Catalogna. Ovviamente, in virtù del suo valore simbolico, il Barca subì una feroce repressione. Nel 1925, prima di una partita amichevole, i tifosi catalani fischiarono l’inno nazionale. De Rivera chiuse per sei mesi lo stadio e inflisse una pesante pena pecuniaria alla dirigenza.In Cuore di ghiaccio – il grande romanzo di Almudena Grandes, in realtà un affresco epico delle due Spagne – un personaggio prende a prestito il verso di Machado e dice :"Difenditi dalle domande, dalle risposte e dalle loro ragioni, o una delle due Spagne ti gelerà il cuore. Il mio cuore era di ghiaccio e bruciava.” BATALLON DEPORTIVO Nell’autunno del 1936 le truppe dei nazionalisti avanzavano in maniera inesorabile. L’Andalusia e l’Extremadura erano sotto il controllo dell’Armata Sud di Franco. L’obiettivo vero, strategico, ma anche simbolico, era la capitale. A Madrid si lavorava alacremente per organizzare la resistenza. Per contrastare l’offensiva nemica migliaia di lavoratori si organizzarono in corpi volontari. Ma, non solo lavoratori, anche il mondo dello sport volle unirsi allo sforzo. Nacque il Batallon Deportivo. Era costituito da atleti di varie discipline, professionisti e dilettanti. Furono parecchi i calciatori che chiesero di farne parte.Alcuni anche di prestigiosi club. Emilín1, Espinosa, García de la Puerta, Lekue, Quesada e Villita (Madrid CF); Cosme (dirigente, ex attaccante) e Marín (Athletic de Madrid); Fraisón (Sporting de Gijón); Gómez, Paquillo e Trinchant (Ferroviaria); Moleiro (Carabanchel); Alcántara e Pablito (Club Deportivo Nacional); Cotillo (Tranviaria); Pedrín (Salamanca); Rocasolano II (Mirandilla de Cádiz), più altri giocatori di squadre minori. I calciatori furono attivi anche nelle attività di propaganda. Più famosi degli atleti di altre discipline esercitavano un forte richiamo sulla popolazione. Si organizzavano, ad esempio,amichevoli e gli incassi venivano devoluti agli orfani di guerra. Verso la fine di settembre di quell’anno una formazione del Batallon disputò una partita contro l’Athletic di Madrid (antica denominazione dell’attuale Atlético), vinta 2-0 grazie alle reti di Trinchant e Pablito. Il calcio svolse un ruolo di rilievo nelle attività dello speciale reparto. Una compagnia prese il nome di Josep Sunyol, presidente del Barca assassinato dai franchisti Le mostrine, sulle divise dei soldati-sportivi, erano giallorosse, i colori delle maglie della nazionale spagnola di calcio. LE GRANDI SFIDE DEI CLASICOS El Clasico espanol è il derby delle due Spagne. Derby è una definizione non idonea, vi abbiamo fatto ricorso per dare una definizione immediata dell’evento, ma non è sufficiente. Ogni anno, Real Madrid e Barcellona, si affrontano in due partite che fermano il tempo della nazione iberica. Si tratta di una sfida, tra due club portatori di una forte identità, che, naturalmente, non è solo calcistica. Alcune di queste sfide hanno fatto storia e quando diciamo storia intendiamo quella con la S maiuscola. Il Clasico del 1943, nei libri di Storia, ci è entrato dalla porta principale. Franco è saldamente al potere. La Spagna, rammentiamo, non partecipò alla 2a guerra Mondiale. Si dichiarò neutrale. Era reduce da una sanguinosissima e lunghissima guerra civile e, nonostante le insistenze di Mussolini e di Hitler, non si unì all’Asse. La partita di andata si disputò, il 6 giugno del 1943, a Barcellona, allo stadio Les Corts. Davanti a 60 mila spettatori i blaugrana inflissero una severa lezione di calcio alle merengues: 3 a 0 il risultato finale. La stampa madrilena, com’era prevedibile, si scatenò. Critiche a non finire sull’arbitraggio. Il signor Fombona, secondo la stampa della capitale, , era stato intimidito dal pubblico. Non solo, la prima rete, in mischia,era stata preceduta da molti falli. Il rigore, seconda rete, era inesistente. Inoltre, al Real, non era stato convalidato un goal validissimo. Infine, l’inevitabile complotto ( la dietrologia è una storia antica ndr). Secondo i furibondi articolisti le manovre intimidatorie, a danno del Real, erano state orchestrate da un giornalista catalano. Un certo Juan Antonio Samaranch il futuro presidente del Comitato Olimpico Internazionale. Ad ogni modo, il 13 giugno 1943, si giocò la partita di ritorno.Lo stadio Chamartin di Madrid era una bolgia infernale. I tifosi del Real accorsero in massa. Prima della partita, agli ingressi, furono distribuiti dei fischietti i cui trilli acutissimi accolsero l’entrata in campo della compagine catalana. L’arbitro, il sig. Celestino Rodriguez, si presentò subito e si rivolse al capitano del Barcellona per chiedergli, con cipiglio severo, di mantenere la calma, altrimenti ci avrebbe pensato lui con qualche espulsione. LA CORRIDA DELLO CHAMARTIN L’intemerata del sig. Rodriguez fece capire subito ai barcellonesi che piega avrebbe preso il match. Gli avanti blaugrana, appena s’affacciavano nell’area madrilena ,venivano fermati da qualche strano fuorigioco. Riuscirono, tuttavia, a fare un goal, ma venne prontamente annullato dall’ineffabile senor Rodriguez. Ma, come si dice ,poiché le disgrazie non vengono mai da sole, il Barcellona perse due uomini. Uno espulso, l’altro infortunato e in più il portiere catalano fu costretto a stare fuori dall’area di rigore in quanto oggetto di una fitta sassaiola da parte dei tifosi madrileni, dotati peraltro anche di una buona mira. Ovviamente, in tali condizioni di gioco, il Real Madrid impiegò poco più di venti minuti per pareggiare i 3 goal subiti a Les Corts. Si andò, dunque, al riposo con gli spagnoli in vantaggio per 3 a 0. E fu durante l’intervallo che accadde l’incredibile. Il capitano dei catalani, si recò dal signor Rodriguez e lo informò che non sarebbero tornati in campo per la disputa del 2° tempo. Non intendevano mettere a repentaglio la loro incolumità fisica. L’arbitro riferisce a chi di dovere e, nel giro di un minuto, fece la sua comparsa, negli spogliatoi, il Capo della Polizia di Madrid. Senza giri di parole, con un tono che non ammetteva repliche, l’alto funzionario fece loro capire che il rifiuto di tornare in campo avrebbe avuto un prezzo altissimo. Intanto, la prosecuzione della loro carriera poteva finire quel pomeriggio, e, aspetto ancor più grave, la loro permanenza sul territorio iberico sarebbe dipesa dalla magnanimità del regime franchista. In pratica li minacciò di esilio forzato. Rassegnati i giocatori barcellonesi tornarono in campo e il risultato finale è ancora oggi ricordato: 11 a 1 per il Real Madrid. Ma, riteniamo che il trofeo del 1943, non sia esibito, dai merengues, con fiero orgoglio. O no?

martedì 1 ottobre 2024

Questa volta Francesco ha esagerato

Dal “chi sono io per giudicare”, si passa alla “frociaggine” e si arriva a calpestare lo strazio delle donne che abortiscono e si definiscono i medici sicari. Ma poi: son tutte buone le mamme del mondo?

Dal “chi sono io per giudicare”, si passa alla “frociaggine” e si arriva a calpestare lo strazio delle donne che abortiscono e si definiscono i medici sicari. Ma poi: son tutte buone le mamme del mondo?

Una delle storielle che circola in Vaticano recita così: “Tre sono i misteri gloriosi della Chiesa: quanti sono gli ordini francescani,  quanti soldi hanno i salesiani, e cosa pensano veramente i gesuiti”. Nel giorno della sua elezione Papa Francesco, gesuita, sembrava voler polverizzare quest’ultimo mistero e denunciarne la fallacia. Quel suo “buona sera” la diceva lunga, apparentemente, sulla trasparenza del suo pensiero. E sulla sua volontà di trasgressione. Poi il fatto che volesse saldare di tasca propria il conto di Santa Marta e il prendere i pasti con gli altri prelati e il non voler insediarsi negli appartamenti papali erano altrettante tracce del suo limpido, e in qualche modo incantato, modo di pensare e di essere. L’apoteosi si ebbe quando in aereo, a meno di un passo dal cielo vero, pronunciò la frase ritenuta topica per il suo pontificato: “Chi sono io per giudicare un gay?”. Ecco, appunto, chi sono io, che sei tu, chi siete voi, chi siamo noi tutti per giudicare? Tal quale va a parafrasare: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Era il 29 luglio 2013, dieci anni fa, o poco più. Dipoi la frase è stata reiterata anche il 6 aprile del 2019. Pure a un incallito laico cinico dadaista questi passaggi hanno fatto considerare con una certa simpatia il Papa gaucho, venuto dall’altra parte del mondo laddove è nata la teologia della liberazione, e senz’altro hanno contribuito a iniziare la demolizione del mito della doppiezza dei gesuiti. Errore. In un gesuita, come diceva la mia nonna Elisa, la doppiezza è innata anzi è connaturata. Impossibile da estirpare e soprattutto impossibile capire cosa pensi veramente un gesuita. “Quello è un gesuita” diceva nonna Elisa intendendo un uomo, sineddoche, ipocrita, dal doppio pensiero. Infatti il 27 maggio del 2024, l’altro ieri, si sente Francesco, il Papa, uscirsene con: “C’è aria di troppa frociaggine” riferito al fatto che le porte del seminario debbano essere chiuse agli aspiranti seminaristi gay. Era un contesto in qualche modo privato, ma si sa: le frasi dette in privato rispecchiano meglio di quelle dette in pubblico il vero sentire.  Epperò a stretto giro sono arrivate le scuse: “Non volevo offendere nessuno o esprimere sentimenti omofobi”. Sarà. Ma intanto lo sgretolamento della doppiezza è in rallentamento. Poi si arriva a ieri: “L’aborto è un omicidio e i medici che si prestano a questo sono, permettetemi la parola, sicari”. Ma come? Chi sei tu, Papa, per giudicare? Che ne sai tu, Papa, dello strazio provato da una donna nel momento della decisione di abortire? Che ne sai tu, Papa, delle condizioni e del contesto in cui una così terribile scelta viene compiuta. Che ne sai tu, Papa, delle motivazioni del medico? Che ne sai tu, Papa. La maternità ha da essere libera e consapevole: non tutte le mamme del mondo sono buone. Non sono poche le mamme che abortiscono i figli, sineddoche, tutti i giorni, dopo averli fatti nascere. Francesco, Papa, questa volta hai proprio esagerato, e hai deluso chi stava cambiando idea sui gesuiti. Perché non basta fondare un’organizzazione dal titolo Dicastero per lo sviluppo umano integrale, se non c’è il cuore per capire il dramma della vita. Quel che pensano veramente i gesuiti continuerà a rimanere un mistero. Neanche tanto bello.

Buona settimana e buona fortuna.

P.S. Segnalo, tra i tanti, due libri sul tema essere o non essere madri:  Interruzioni di Camilla Ghedini e Mia madre mi ha abortita quando avevo 56 anni, di Giorgio Mameli, entrambi per i tipi di GiraldiEditore