Ciò che possiamo licenziare

venerdì 30 aprile 2021

Sofri Adriano: da rivoluzionario a piagnone.

Per difendere il suo sodale Pietrostefani scrive un pezzo prolisso e noioso. Prima tenta la strada della satiura, ma non è il suo mestiere, poi quella del pietismo. Definisce gli anni di piombo come cosiddetti. Gratifica il proprio ego parlando di discussioni con il Pertini Sandro, Presidente. A crederci.

Dopo un primo momento di silenzio il Sofri Adriano non ha saputo resistere e ha detto la sua sugli arresti avvenuti in Francia di quegli italiani condannati in via definitiva in Italia e latitatnti oltralpe. Ha scritto un post sulla sua pagina fb quindi pubblicato, come ti sbagli,  su Il Foglio. Da sempre suo organo ufficiale, anche quando stava in carcere. L'ha fatto al modo suo con un debordante e sbrodolante intervento. Uno di quegli interventi prolissi e senza quadratura che sarebbe stato benissimo all'interno dei congressi della terza Internazionale. Parole in libertà con lo snobismo di quello che l'ha scavallata. L’articolo non gli è venuto propriamente bene poiché non ha saputo prendere una precisa direzione. È un mischione tra tentata satira, tentata politica, tentato intimismo, tentato giustificazionismo, tentato pietismo.  Il titolo recita: La retata.  Forse nelle intenzioni voleva essere ironico-satirico per dire di questi dieci poveretti attaccati dagli interi apparati repressivi di due Stati. Esordisce citando l’odiato e irriso Togliatti Palmiro quando, rivolgendosi al Pajetta Giancarlo che aveva occupato la Prefettura di Milano, disse:Bravi e adesso che ve ne fate? Che se ne farà lo Stato di questi dieci, forse undici, che hanno determinato i cosidetti atti di piombo. Ché per il Sofri Adriano sono cosiddetti.. Quindi pigia sull’acceleratore e parla  di operazione combinata … retata in ore antelucane … blitz … colpo di mano. Ma la satira non è il suo forte e allora ripiega sul simil pietismo legalitario: non uno di questi, da che sta in Francia, ha commesso un reato. La spiegazione sta in un radicale passaggio di pensieri, linguaggi, sentimenti e stati d’animo, come avviene dopo ogni guerra, anche le guerre più immaginate. Come avviene “la mattina dopo”. In altre parole un brutto sogno, Che nessuna e nessuno abbia più aperto conti con la giustizia penale è l’inesorabile dimostrazione che le loro azioni appartenevano a una temperie politica, comunque distorta, e non le sarebbero sopravvissute. E dunque vai con un tuffo carpiato: si passa all’esaltazione della dottrina Mitterrand che ha realizzato il fine più ambizioso e solenne che la giustizia persegua: il ripudio sincero della violenza da parte dei suoi autori, e così, con la loro restituzione civile, la sicurezza della comunità. Se la poteva cavare con molte meno parole, poiché il tradotto è: dato che non l’ha più fatto  scurdammoce o’ passato. Chissà se scriverebbe le stesse cose per qualche reduce della XMas. E qui si passa alla parte intimista. E quindi dalla retata di pensionati si tira fuori dal mazzo il vecchio amico Pietrostefani che In Francia ha sempre lavorato, avuto residenza regolare, pagato le tasse, condotto vita discreta di vecchio uomo e di nonno. Dimentica il Sofri Adriano che se avesse fatto il contrario i francesi ce l’avrebbero reso per tempo, Comunque avanti, Ovviamente non è mancato il peloso passaggio sulle precarie condizioni di salute. Quelle precarie condizioni di salute che il commissario Calabresi Luigi non ha potuto godere. E per finire un po’ di gratificazione dell’ego, aver discusso accanitamente con Sandro Pertini presidente, col quale avevo rapporti molto amichevoli. Ettipareva. Perché un conto era l’amnistia funzionale di Togliatti, del ’46 da condannare, come ovvio, e un conto l’amnistia sociale, diciamo così, ai protagonisti degli anni di piombo. Senza contare che molti di quelli sono già fuori e la pena, di riffa o di raffa, il Sofri Adriano incluso, non l’hanno scontata tutta.  Il pezzo termina tragicamente, ambirebbe a un fine pena mai, ma non gli viene. Per vero la risposta al quesito li avete presi e adesso che ve ne fate? l’ha data Mario Calabresi: non importa tanto mettere in carcere qualche vecchio male in arnese, che peraltro s’è fatto un bel po’ di latitanza, quanto di ottenere almeno brandelli di verità. Se non la verità tutta intera.

Buona settimana e buona fortuna.

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