Quando si invoca il ritorno alle origini si
ammette il proprio fallimento: non tattico ma strategico. I vecchi partiti della
prima repubblica mai parlarono di ritorno alle origini. Il primo scostamento di
Renzi fu accettare gli endorsement di Franceschini, Fassino e Chiamparino. Gli
endorsement non si pagano una sola volta, sono un leasing e il leasing politico
ha rate infinite.
Matteo Renzi il rottamatore già cercava endorsement |
In tutte le
situazioni ci sono degli accadimenti che sono prodromi di fatti molto
importanti che di lì a breve capiteranno. Oltre che prodromi, questi
accadimenti sono detti indicatori. Per esempio, le vendite di carrelli
elevatori e di cartone ondulato sono indicatori che segnalano lo stato di
salute dell’economia. Anche il volo delle
rondini è un indicatore: se basso significa che pioverà, mentre invece se è
alto il tempo sarà bello. La politica non fa eccezione: ci sono delle frasi che
sono indicatori.
Per esempio la
topica frase: «dobbiamo tornare alle origini.» è un indicatore di cattiva
salute per chi la pronuncia. Di solito viene declamata dopo una qualche
sconfitta, e sta a significare che il leader di cui sopra è alla frutta o giù
di lì. Gli esempi storici non mancano.
Mussolini dopo la liberazione ad opera del maggiore Otto Skorzeny affermò che: ora
basta, si deve ritornare alle origini del fasismo
(non sapeva pronunciare il nome del movimento che aveva fondato! Sic). E fu
Repubblica sociale e s’è visto come è andata a finire. Lo disse anche il
Berlusconi Silvio: «Bisogna ritornare allo spirito del 1994», dopo l’ultima batosta
elettorale e adesso ha un partitello al 13-14%, che solo Renzi può far contare
qualcosa.
Adesso a rievocare
lo spirito delle origini ci si sta
mettendo anche il Renzi Matteo. Aria grama, allora. Più che per il suo partito
per lui e per i suoi, specialmente quelli che proprio suoi-suoi non sono,
essendosi scapicollati all’ultimo per arraffare uno strapuntino. C’è da dire
che nessuno dei partiti della prima repubblica, dal Pci alla Dc al Pri financo
al Pli e al Psdi, per non dire del Msi, aveva mai fatto riferimento al così
detto spirito delle origini poiché tutti, bene o male, stavano perseguendo ciò
da cui avevano tratto origine. Magari non sempre con la più definita
determinazione, ma gli scostamenti erano quasi accettabili. Ad eccezione dl Psi
craxiano che lo spirito delle origini se lo era proprio dimenticato e quindi
neanche poteva tradirlo.
Richiamarsi
allo spirito delle origini significa nella sostanza ammettere di non aver fatto
quello per cui si era nati, come dire aver mancato alle promesse e, in
definitiva, ammettere il proprio fallimento. Il Renzi Matteo aveva promesso la liberazione
da un gruppo dirigente appiccicoso, più al potere che agli interessi del Paese.
Un gruppo dirigente che, contrariamente a quanto fatto dai vietcong:
appropriarsi delle armi del nemico per rivolgerglieli contro, ha utilizzato il
mandato degli elettori per dar copertura a quello che gli avversari non
sarebbero riusciti a far passare. E forse proprio per questo il Renzi del camper
e delle origini mieteva applausi nelle Case del Popolo.
Il primo
errore, o abbandono dello spirito delle origini, il Renzi Matteo l’ha commesso
quando nel settembre del 2013 ha accettato l’endorsement prima di Franceschini e
poi quello di Fassino. E quindi quelli di tutti gli altri. Con Renzi ci sono
sono più ex dalemiani di quanti lo stesso D’Alema abbia mai incontrato. Così, con l’aria di essere il nuovo che
avanza, il Renzi s’è messo a fare caminetti e trattative e inciucetti con i
capi corrente. Li chiamerà stra-apple-otto-punto-zero, ma quello sono e quello
restano. E uno dopo l’altro pensava di esserseli pappati, tutti i vecchi
appiccicaticci. Credeva di utilizzarli come fossero dei taxi: far la corsa,
pagare e scendere. Ma, proprio perché appiccicosi, da certi taxi non è così
facile scendere. Anzi è il taxi che ti segue anche dopo aver pagato. E adesso
se ne sta rendendo conto. Pensava il Renzi che l’acquisto fosse fatto una volta
per tutte, ingenuo. Quotidianamente sta scoprendo che certi accordi non hanno
il prezzo fisso ma sono dei leasing. E soprattutto che accendere un leasing non
è come accendere un cero alla madonna. Fatto una volta per tutte. Il leasing
politico va acceso e riacceso e riacceso. Tante volte quanti sono gli impicci
contro cui si va a sbattere.
A poco servirà
al Renzi ed ai suoi scudieri richiamarsi alle primarie, perché in
direzione dovrà fare i conti con i
Bettini, i Bianco, i Chiamparino, i Crocetta, i Damiano, i De Luca, i
Franceschini, i Fassino, le Finocchiaro, i Minniti, i Mirabelli, e poi i Pittella (che loro sono due) le
Pollastrini, le Sereni, i Veltroni giusto per dirne alcuni, tutta gente dalla
lunga militanza che sanno come si elegge ma anche come si affossa un
segretario. E quindi o i caminetti o la
rivoluzione. Ma per fare la rivoluzione, quella vera, ci vogliono i
rivoluzionari e Renzi tutto sembra meno che un rivoluzionario. Si accomoderà,
come già fatto, nei caminetti. Altrimenti rottami, rottami senza pietà a cominciare da quelli che gli stanno vicino.
Per fare il
nuovo ci vuol altro che la semplice citazione e alla lunga anche un po’ di
sostanza aiuta o si finisce come a Trapani: perdere anche quando si corre da
soli.
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