Nel caso Ischia sta
sbagliando molto per non dire tutto. Uno specialista di comunicazione avrebbe
suggerito una strategia in tre mosse: querela all’infangatore, disponibilità
per i giudici e la spiegazione che un fornitore di vini e libri e pagine
pubblicitarie può non conoscere le malefatte dei suoi clienti.
Una delle prime
regolette che si insegna alla scuola di giornalismo recita più o meno così: una
smentita, o una rettifica, è una notizia data due volte.
Massimo D’Alema, giornalista
professionista dal 1991 e direttore de l’Unità
dal 1988 al 1990, di questo insegnamento se ne deve essere dimenticato. Infatti da tre giorni non sta facendo altro
che rilasciare interviste e minacciare querele, prontamente riprese dai
giornali e dalle televisioni, semplicemente perché accostato, magari un po’
maliziosamente, ad un certo scaldaletto di corruzione in quel di Ischia. In
verità i magistrati hanno tenuto fin da subito a precisare che Massimo D’Alema
non è indagato. Cioè non c’è nulla di penalmente rilevante a suo carico.
Il busillis sta tutto in un paio di fatterelli di cui, qui, ci si
limita a riportare solo per la cronaca. Il primo racconta di una conversazione
telefonica di tal Franco Simone, responsabile dei rapporti istituzionale della
Cpl Concordia, con il suo collega
dell’area commerciale Nicola Verrini nella quale viene pronunciata la frase: «D'Alema mette le mani nella merda come ha
già fatto con noi e ci ha dato delle cose» La seconda è che la cooperativa
Concordia abbia acquistato 2000 bottiglie di vino dall’azienda dello stesso oltre a 500 volumi
di un suo libro e qualche pagina pubblicitaria nella rivista Italianieuropei. Per
amor di verità bisogna dire che non sono stati gli unici: pure Finmeccanica ha
investito qualche soldarello nella rivista in questione oltre, naturalmente, alcuni altri.
Certo il bilancio della fondazione Italianieuropei non è pubblico ma pensare
che non sia più che perfetto è solo una perfida illazione tenuto conto che fino
a poco fa Giuliano Amato era il presidente dell’Addvisory Board.
Quindi, non indagato e senza nulla di penalmente rilevante sul groppone
non si capisce il perché di tanta frenetica voglia di smentire il nulla e di
lanciar minacce di querele a giornali,radio, televisioni e, ovviamente,
giornalisti come non si sapesse che questi sono come le mosche: perennemente affamati
e alla ricerca di cibo. Piuttosto il D’Alema Massimo dovrebbe querelare il
Simone per aver infangato la sua persona e oltre ad aver millantato credito.
Così la notizia è stata data una volta, tre giorni addietro ed è stata
rilanciata dal D’Alema stesso per altri due. E dire che era partito benino
dichiarandosi offeso ed indignato, la qual cosa è addirittura ovvia, però ha,
come dire, confuso gli obiettivi. Se l’è presa con i magistrati e le loro
maledette intercettazioni telefoniche, addirittura invocando l’intervento del
Csm e dell’Anm invece di ben mazzolare il solito Franco Simone perché dalla sua
bocca è partito il tutto. Va bene essere imbufaliti ma chi aspirava a diventare
Mr Pesc dovrebbe manifestare un cicinin
più di autocontrollo.
Pare, comunque che i magistrati siano interessati a sentire il D’Alema
come persona informata dei fatti e lui ha già detto di non aver nulla da dire.
Un po’ come fece Napolitano per la trattativa Stato mafia e poi si fermò a
chiacchierare con i giudici per tre ore che per dire un semplice niente è stato
un bel lasso di tempo. Forse il D’Alema ci metterà meno tempo o forse di più se
si perderanno a parlare di vitigni francesi trapiantati in Umbria e della crisi
dell’editoria.
Si fa un gran parlare dell’importanza del marketing e della
comunicazione in politica ma, come spesso succede ai politici, lo si fa a
sproposito e per sentito dire. Un consulente con un po’ d’esperienza, e dando
ovviamente per scontato l’estraneità del D’Alema ai fatti, avrebbe impostato una strategia tutt’affatto
differente. Strategia in tre mosse:
querelare (o anche solo attaccare) il volgare millantatore, ampia
disponibilità all’incontro con gli inquirenti e non ultima la spiegazione che
un semplice fornitore di vini, ancorché ex primo ministro (per due volte) non
può conoscere le eventuali malefatte dei suoi clienti. Anche se pagano a
centoventi giorni, mal vezzo che peraltro sta diventando tristemente la
norma.
Qualche ammaestramento D’Alema avrebbe dovuto coglierlo dal recente caso
del collega Lupi. Neanche a lui fu riscontrato nulla di penalmente perseguibile
(fino ad ora direbbe un maligno) anche se certo è inopportuno, come ministro della
cosa pubblica, ricevere regali dai propri appaltatori. Nel caso in questione sic stanti bus rebus non si può
biasimare chi fornisce agli assetati di cultura e di vino la giusta soluzione. Poi
domani si vedrà, Non si dice in vino
veritas?
Se io o qualsiasi scrittore scrive un libro,nessun partito ne comprerà una copia per quanto si possa essere bravi o superiori. Se io o un altro contadino coltiva carciofi o grano a nessun partito verrebbe in mente di comprare il pane per darlo in beneficenza ai poveri. Che questo Nobel della cultura sia caduto in una trappola a sua insaputa è una storia che non regge ne in cielo e ne in terra . Prendere per il culo i propri iscritti è una scelta personale ma considerare dei coglioni tutti gli italiani è un pensiero molto grave. Io chiederei scusa senza pensarci molto.
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