La pièce messa in scena dalla compagnia Mancuso-Mondadori, al suo debutto sulle scene nazionali lo scorso sabato 21 agosto, non mi ha particolarmente emozionato e neppure coinvolto.
In prima battuta mi è parsa la solita commediola con trama un po’ frustra: lui, buono onesto e pio, anzi teologo, scopre dopo una non breve frequentazione che lei non è così pura e la di lei famiglia, in particolare il padre-padrone-patrignio, non è così virtuosa come si converrebbe.
Lui confessa pubblicamente il suo peccato (in fondo per un po’ di tempo l’ha amata – si frequentano dal 1997 - e di qualche suo favore ha goduto), si pente, quindi si auto-assolve e reso candido dai soliti tre pater-ave-gloria (a questo punto si immagina auto-imposti) invita gli altri frequentatori della famiglia (che sono i tanti scrittori di sinistra, politici inclusi, che pubblicano con Mondadori) a pentirsi ed ha seguire il suo esempio: non frequentar più né la fanciulla né si reproba famiglia.
Per un ghibellino disincantato , e un po’ dadaista, non c’è molto da dire se non suggerire di moltiplicare per trentatre i tre pater-ave-gloria. Perché? Perché novantanove mi pare un bel numero.
L’interesse è salito, grado dopo grado, nel leggere l’escalation di risposte sia dei co-peccatori tirati in ballo dal teologo laico Mancuso Vito sia di quelli che pur non chiamati hanno voluto comunque dire la loro.
Corrado Augias, co-peccatore, ci informa che continuerà a frequentare la famiglia, malgrado non ne ami il capo, perché ha un buon rapporto “professionale ed affettivo”* con i dirigenti della casa editrice. Cosa vuol dire il cuore!
Poi è stata la volta di Piergiorgio Odifreddi** (raccomando senza pentimento un suo titolo nella sezione libri, vedi a lato) che, felice lui, si sente libero e mozzartianamente, per rafforzare la posizione, aggiunge un bel “così fan tutte” (tipo mal comune mezzo gaudio o giochiamo a liberi tutti) con stoccata finale al Vaticano. Quest’ultimo nella questione proprio non c’azzecca ma per lui il Vaticano è come il kechup per gli americani: va spruzzato su tutto.
L’elefantino Giuliano Ferrara, che è ovviamente “contro”, apostrofa come “anima-bella” (evidentemente dev’essere un insulto) il teologo Mancuso. Ma come? Proprio lui, l’elefantino, che crede nelle cicogne e si definisce ateo-devoto***, che è come dire fare la dieta con la Nutella. Più anima bella di così.(e questo non vuole assolutamente essere un insulto)
Tra i co-peccatori (Pietro Ciati, Michela Marzano, Nadia Fusini, Gustavo Zagrebelsky, Aldo Schiamone, ecc…) è un florilegio di “solidarizzo … ma…”**** sembra di assistere ad un comizio di Veltroni: amore (tanto) e giustificazionismo (ancor di più). Dietro i “ma” c’è di tutto: da “troppo riconoscente ai funzionari” a “non mi censurano” quindi “l’importanza culturale della casa editrice”, un iperbolico “non ne guadagnerebbe la democrazia” e un più prosaico “un fetore schifoso di denaro”. Tutto un po’ datato e tutto anche un po’ triste. Tutto un po’ peloso..
Quindi il colpo di grazia: intervista del TG1 a Marcello Veneziani e Antonio Pennacchi*****, ovviamente entrambi “contro”, data l’ambientazione della scena.
Stesso copione: “lo scrittore è responsabile solo di quello che scrive ...” dicono entrambi, hanno studiato bene, con due varianti in finale:
- Veneziani: “ lo scrittore non è responsabile dei libri contabili dell’editore”
- Pennacchi: “…e poi nessuno mi pubblicava” (che poi non è proprio vero perché Pennacchi pubblica dal ’94 e ha girovagato per un bel po’ di editori – Donzelli, Novecento, Terziana, Valecchi, Laterza e anche Mondatori. Su 13 titoli solo 3 sono stati pubblicati da Mondatori negli anni 2003, 2006 e 2010).
Quest’ultima giustificazione, “lo scrittore è responsabile solo di ciò che scrive” è quella più puerile e, al tempo stesso, anche la più pericolosa. Certo responsabile solo di ciò che scrivi ma se lo fai sui muri di casa tua, non se entri in un contesto che è economico-sociale-politico oltre che (dovrebbe essere) culturale.
Comunque tutti, più che dar risposta vera e concreta, fanno come gli struzzi: cacciano la testa sotto la sabbia delle mille giustificazioni vane. E questo non solo non è bello ma anche non è onesto. Per questo abbasso gli struzzi.
Nessuno, infatti, che dica quanto la famiglia (Gruppo Mondadori) sia influente e che stare con la figlia (Editoria Mondatori) vuol dire anche avere relazioni con le sorelle (le tante e di ampia tiratura riviste) e le cugine (le televisioni) che garantiscono visibilità (inviti ai talk-show e disinteressate recensioni) presso una larghissima fetta di pubblico. E poi che dire della forza vendita e della grande capacità distributiva e dei punti vendita propri (o in franchising) e, perché tacerlo degli interessanti e, probabilmente, ricchi emolumenti. In altre parole amoreggiare con al figlia anche se la famiglia (dicono) non è tanto per la quale forse conviene.
E che centra l’alveare scontento? E’ il titolo che Bernard Mandeville****** diede alla prima versione del suo poema in cui scriveva:
Infatti non c’era ape che non guadagnasse
non dico più di quanto dovesse,
ma più di quanto osasse far sapere agli altri,
che pagavano;
Mandeville scriveva così nel 1704 e il senso del suo poema era: non raccontiamoci l’uomo quale dovrebbe essere ma rappresentiamolo come è. E se del caso (e personalmente credo che lo sia) diamoci da fare per cambiarlo.
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* Corriere della sera 22 agosto pag. 11
** Corriere della Sera 23 agosto, pag 11
*** L’elefantino e la donna nuda con le mani in tasca - Il Vicario Imperiale - 5 aprile 2010
**** Corriere della Sera 24 agosto pag. 11 “Mancuso&Segrate, tormento(ne) di coscienza” Paolo Di Stefano
***** TG1 martedì 24 agosto, edizione delle 20,30
****** La favola delle api – Bernard Mandeville – Editori Laterza
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