Anni fa andai al circo con mia figlia e un gruppetto di compagne e compagni di classe. E sull’uso del termine compagna/o all’epoca dei fatti non si aprì nessun dibattito.
I bambini erano entusiasti del circo: divertiti dai clown, affascinati dai prestigiatori, esaltati dagli acrobati. Nell’intervallo tra il primo ed il secondo tempo fummo invitati a vedere gli animali feroci. Come dire di no? Versato l’obbligato obolo ci incamminammo dietro un uomo che indossava il costume da domatore. Vedemmo dromedari e orsi e leoni e tigri, con ruggiti di pragmatica. I bambini erano felici.
Andò tutto bene fino a quando girammo un angolo e allora apparvero i maestosi elefanti. Erano sei adulti ed un cucciolo.
La gioia dei bambini, dopo una prima occhiata, svanì di colpo. I giganti con le grandi orecchie erano incatenati gli uni agli altri per le zampe e dondolavano ora a destra e ora a sinistra con ritmo e tristezza. Che pena. I bimbi ne furono così colpiti che vollero tornare ai loro posti e lì aspettare l’inizio della seconda parte dello spettacolo. Questa non fu apprezzata come la prima. Anzi quando gli elefanti entrarono in pista e sotto lo schiocchiare della frusta si misero a fare i soliti esercizi i bimbi si incupirono di più. In quegli enormi animali oramai non c’era più nulla che ricordasse lo splendore e la dignità di un tempo.
Leggere su “il foglio” gli articoli dell’elefantino,procura lo stesso effetto di profonda tristezza. Della voglia di cambiamento, di innovazione e di libertà che un tempo animava il giovane elefantino che correva disordinatamente per Villa Giulia non v’è più memoria. Sì che la memoria è una se non addirittura la tipica caratteristica dell’elefante ma nel caso in questione ogni traccia è andata persa.
E, per la comodità dei quattro appassionati che ci seguono giusto qualche esempio di cosa dice e come pensa l’elefantino:
1. “lettore gonzo” è chi chiede libertà d’informazione (la legge antibavaglio è solo fuffa per lettori gonzi, 14 giugno 2010)
2. “resa senza condizione alla ossessiva campagna secolarista sulla pedofilia del clero” è la trasparenza nei fatti di pedofilia che coinvolgono ecclesiastici (Chiesa sventramenti in corso, 27 giugno 2010).
3. “non sapremmo niente di San Francesco se la chiesa fosse povera in canna” che è un modo indiretto e anche un po’ tortuoso da un lato di contraddire gli insegnamenti del vangelo (gli uccelli non seminano e non accumulano e Salomone mai ebbe vestito più bello di quello dei gigli di campo) e dall’altro di dare una mano e giustificare chi con i quattrini, destinati appunto a san Francesco, ha finanziato altre ambrosiane imprese e non solo (Per una chiesa ricca, 24 giugno 2010)
4. “chi alza la posta deve procurarsi i soldi per stare al tavolo da gioco” per dire che, in fondo i soldi servono e tra averli e non averli è meglio averli. Stupenda banalità, di per sé innocua se non si tien conto nè il da dove vengono e neppure il dove vanno (Craxi e i quattrini, 19 gennaio 2010)
5. “basta con sputtanopoli” la solita zuppa anti stampa che ci aiuta a pensare cosa può fare un elefantino in una cristalleria (Basta con puttanopoli …, 24 maggio 2010)
6. “pedofilo senza violenza” è la definizione di padre Murphy che semplicemente esercitando una coazione legata all’autorevolezza del suo ruolo …. e via giustificando fino all’irreale notte dell’Innominato (*) (La carne e padre Murphy, 26 marzo 2010)
E si potrebbe andare avanti. Purtroppo
Il fatto è che se l’elefantino fosse sempre stato così ce ne rammaricheremmo ma nulla più.
Invece il nostro all’età di soli 21 anni o giù di lì, non si sa per quali nascosti meriti personali, fu il responsabile fabbriche del PCI a Torino. Ovvero il responsabile delle sezioni del partito all’interno delle fabbriche della città del gianduia e dintorni. Fabbriche tipo FIAT, per intenderci.
Anno 1973, tempi duri e gente dura. Mica bruscoli.
E’ vero che a quell’incarico fu “mandato” da Roma, o caso, e non eletto o nominato dai locali. Ma tant’è. Un qualche santo da qualche parte doveva avercelo pure lui.
Poi nel 1983 con la scusa di un concerto non fatto, forse pensava non avrebbe trovato posto in tribuna, diventò socialista, impero Craxi. Anche qui fu diverse volte “mandato”. E dalla CIA (così dice lui) anche voluto, ricercato e (sempre dice lui) ben pagato.
Certo quello era il partito, come lo definì Rino Formica, di nani e ballerine, (ironiche anticipazioni della storia) e poco aveva a che vedere con quello uscito dalla resistenza di Nenni o Pertini, Lellio Basso o Lombardi o Brodolini, estensore dello statuto dei lavoratori.
E certo a questi sentirsi etichettare come conservatori o atei/laici devoti o agenti della CIA o sostenitori del centro destra certo non sarebbe piaciuto. Anzi, quando se ne fece una prova nel 1960, Genova tutta si sollevò. E non solo.
Il nostro elefantino invece se ne fa vanto.
Certo che due abiure di cotal fatta son tante anche se si porta il nome dell'imperatore detto l'apostata
Che tristezza elfantino, ballare così, da neofiti, senza più memoria
__________________________
(*) L’elefantino e la donna nuda con le mani in tasca - Il vicario imperiale 5 aprile 2010
Ciò che possiamo licenziare
martedì 29 giugno 2010
lunedì 21 giugno 2010
La macchina fotografica digitale.
Se è vero che gli oggetti sono la solidificazione dei sentimenti di un’epoca la macchina fotografica digitale rappresenta alcuni degli aspetti meno piacevoli dei nostri tempi.
L’algida macchinetta, la gran parte dei modelli ha la carenatura di simil acciaio argenteo, è, ancor prima che mezzo di riproduzione della realtà, strumento a-sensoriale, a-emotivo, a-coinvolgente, privatizzante della e nella relazione con chi,la gestisce.
L’occhio dell’uomo non poggia sul mirino, non guarda in presa diretta, non mette in movimento il resto del corpo, tendendo nervi e muscoli alla ricerca dell’inquadratura e le dita della mano sinistra non poggiano, delicate, sull’obiettivo per poi spostarsi sulla ghiera e farla ruotare lentamente per procedere alla messa a fuoco, il tempo dell’esposizione non viene scelto controllando la luminosità dell’ambiente circostante e prima dello scatto non ci si accerta che il gomito sia ben fissato al fianco e che il respiro sia regolare e tranquillo. E poi, a scatto avvenuto, non c’è neppure quel lieve batticuore che discende dal dubbio di aver ben lavorato. E quell’ansia tipica, che s’è già provata nell’attesa dell’esposizione dei quadri dopo l’esame di maturità, mentre in piedi, con le mani tamburellanti sul bancone del laboratorio di sviluppo, si attende che il commesso cerchi tra le tante buste quella propria e gli si scruta il volto per coglierne il segno dell’approvazione o della bocciatura e quindi la trepidazione nello spillare le foto, una a una, quasi a riprodurre la sofferenza del giocatore di poker. Ecco quell’ansia con la macchina digitale non c’è.
Tutto il pathos dell’essere viene annullato dalla semplicità del digitale: sono le sole mani, a braccia tese, a pilotare l’apparecchio mentre gli occhi sfiorano un piccolo schermo che mostra subito il risultato già bello e definito e la digitale non solo mette a fuoco ma sceglie in completa autonomia ogni parametro e se quel che si vede non piace c’è solo da cancellare lo scatto e poi ripeterlo.
D’altra parte non può esserci fusione tra uomo e mezzo se si vive di non emotività, non coinvolgimento, non candore, non calore, non passione, non rischio, delega cieca alla tecnologia, aspettativa di risultato definito, asservito, controllato, comunque correggibile e sicuro. Quasi sicuro.
Histats_variables.push("la macchina fotografica digitale","0");
L’algida macchinetta, la gran parte dei modelli ha la carenatura di simil acciaio argenteo, è, ancor prima che mezzo di riproduzione della realtà, strumento a-sensoriale, a-emotivo, a-coinvolgente, privatizzante della e nella relazione con chi,la gestisce.
L’occhio dell’uomo non poggia sul mirino, non guarda in presa diretta, non mette in movimento il resto del corpo, tendendo nervi e muscoli alla ricerca dell’inquadratura e le dita della mano sinistra non poggiano, delicate, sull’obiettivo per poi spostarsi sulla ghiera e farla ruotare lentamente per procedere alla messa a fuoco, il tempo dell’esposizione non viene scelto controllando la luminosità dell’ambiente circostante e prima dello scatto non ci si accerta che il gomito sia ben fissato al fianco e che il respiro sia regolare e tranquillo. E poi, a scatto avvenuto, non c’è neppure quel lieve batticuore che discende dal dubbio di aver ben lavorato. E quell’ansia tipica, che s’è già provata nell’attesa dell’esposizione dei quadri dopo l’esame di maturità, mentre in piedi, con le mani tamburellanti sul bancone del laboratorio di sviluppo, si attende che il commesso cerchi tra le tante buste quella propria e gli si scruta il volto per coglierne il segno dell’approvazione o della bocciatura e quindi la trepidazione nello spillare le foto, una a una, quasi a riprodurre la sofferenza del giocatore di poker. Ecco quell’ansia con la macchina digitale non c’è.
Tutto il pathos dell’essere viene annullato dalla semplicità del digitale: sono le sole mani, a braccia tese, a pilotare l’apparecchio mentre gli occhi sfiorano un piccolo schermo che mostra subito il risultato già bello e definito e la digitale non solo mette a fuoco ma sceglie in completa autonomia ogni parametro e se quel che si vede non piace c’è solo da cancellare lo scatto e poi ripeterlo.
D’altra parte non può esserci fusione tra uomo e mezzo se si vive di non emotività, non coinvolgimento, non candore, non calore, non passione, non rischio, delega cieca alla tecnologia, aspettativa di risultato definito, asservito, controllato, comunque correggibile e sicuro. Quasi sicuro.
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venerdì 11 giugno 2010
Buon compleanno Salvatore Settis (Professore).
E’ stato veramente un grande piacere, il 5 giugno scorso, sentire parlare a otto e mezzo, la rubrica de la7, il professor Salvatore Settis.
Una ventata d’aria pulita come non se ne provava da tempo.
A mio disdoro, ma da laico ghibellino e dadaista quale sono ammetto pubblicamente le mie mancanze, debbo confessare che fino a quella data non conoscevo affatto il professor Settis e pure di non averlo visto nelle sue apparizioni televisive. Evidentemente mi sono perso qualche numero di Annozero (e questo non è bello) e del Sole24ore (e questo è un po’ più giustificabile).
Della partecipazione del professor Settis alla puntata (condotta al solito da Lilli Gruber avente come spalla il richelieu della finanza-editoriale Paolo Mieli) mi hanno colpito: il viso, un paio di note famigliari e le sue disarmanti risposte.
E di questi tre temi, strettamente correlati, dirò brevemente tralasciando ogni altro riferimento agiografico alla biografia del professore. D’altra parte Paolo Pagliaro è assai più documentato e comunque l’ha già fatto* e, per chi preferisce leggere, wikipedia ne racconta le tappe salienti.
Del professor Settis mi ha colpito, in primis, il viso. Mi sono sfuggite diverse battute dell’introduzione perso a guardare quella faccia squadrata, quasi tagliata con l’accetta, scavata da profonde rughe verticali, grandi orecchie ed una pelle che sembra (sarà forse anche l’effetto delle luci della televisione) cotta da un’atavica abitudine al sole e infine i capelli, attaccatura alta sulla fronte spaziosa, pettinati all’indietro.
Una faccia più adatta ad un contadino meridionale piuttosto che allo stereotipo del finissimo intellettuale. Eppure il professor Settis copre ambedue le aree. Anzi rivendica la concreta semplicità contadina ricordando, senza parere, che lui è nato a Rosarno (sì, proprio quella Rosarno che ha occupato le cronache recenti per gli attacchi agli immigrati) e che suo nonno ed i suoi sette fratelli sono stati tutti emigranti e che solo alcuni hanno avuto la possibilità-capacità-volontà-fortuna di ritornare a casa. Ed è grazie a quel ritorno che la Scuola Normale Superiore di Pisa ha potuto averlo come Direttore per qualche anno.
Da quella carica si è dimesso con un anno di anticipo per dare più tempo ai suoi colleghi di scegliere con calma il suo successore (e anche di poter tornare agli studi) così come si è dimesso dalla Presidenza del Consiglio Superiore dei Beni Culturali semplicemente perché il ministro Bondi gli ha rivolto questa richiesta. Volontà motivata dalla pubblicazione di un paio di libri: Italia SpA: L’assalto al patrimonio culturale e Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto. Bel colpo ministro
Tutto questo detto con la semplicità la tranquillità e la fermezza del contadino che conosce la natura e tutto quanto gli gira intorno e sopra.
Una ventata d’aria pulita come non se ne provava da tempo. Finalmente un po’ di speranza per questa Italia.
Già, dimenticavo, oggi 11 giugno è il compleanno del Professore.
Buon compleanno Salvatore Settis. Di cuore.
_______________________________________
* www.la7.it
Una ventata d’aria pulita come non se ne provava da tempo.
A mio disdoro, ma da laico ghibellino e dadaista quale sono ammetto pubblicamente le mie mancanze, debbo confessare che fino a quella data non conoscevo affatto il professor Settis e pure di non averlo visto nelle sue apparizioni televisive. Evidentemente mi sono perso qualche numero di Annozero (e questo non è bello) e del Sole24ore (e questo è un po’ più giustificabile).
Della partecipazione del professor Settis alla puntata (condotta al solito da Lilli Gruber avente come spalla il richelieu della finanza-editoriale Paolo Mieli) mi hanno colpito: il viso, un paio di note famigliari e le sue disarmanti risposte.
E di questi tre temi, strettamente correlati, dirò brevemente tralasciando ogni altro riferimento agiografico alla biografia del professore. D’altra parte Paolo Pagliaro è assai più documentato e comunque l’ha già fatto* e, per chi preferisce leggere, wikipedia ne racconta le tappe salienti.
Del professor Settis mi ha colpito, in primis, il viso. Mi sono sfuggite diverse battute dell’introduzione perso a guardare quella faccia squadrata, quasi tagliata con l’accetta, scavata da profonde rughe verticali, grandi orecchie ed una pelle che sembra (sarà forse anche l’effetto delle luci della televisione) cotta da un’atavica abitudine al sole e infine i capelli, attaccatura alta sulla fronte spaziosa, pettinati all’indietro.
Una faccia più adatta ad un contadino meridionale piuttosto che allo stereotipo del finissimo intellettuale. Eppure il professor Settis copre ambedue le aree. Anzi rivendica la concreta semplicità contadina ricordando, senza parere, che lui è nato a Rosarno (sì, proprio quella Rosarno che ha occupato le cronache recenti per gli attacchi agli immigrati) e che suo nonno ed i suoi sette fratelli sono stati tutti emigranti e che solo alcuni hanno avuto la possibilità-capacità-volontà-fortuna di ritornare a casa. Ed è grazie a quel ritorno che la Scuola Normale Superiore di Pisa ha potuto averlo come Direttore per qualche anno.
Da quella carica si è dimesso con un anno di anticipo per dare più tempo ai suoi colleghi di scegliere con calma il suo successore (e anche di poter tornare agli studi) così come si è dimesso dalla Presidenza del Consiglio Superiore dei Beni Culturali semplicemente perché il ministro Bondi gli ha rivolto questa richiesta. Volontà motivata dalla pubblicazione di un paio di libri: Italia SpA: L’assalto al patrimonio culturale e Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto. Bel colpo ministro
Tutto questo detto con la semplicità la tranquillità e la fermezza del contadino che conosce la natura e tutto quanto gli gira intorno e sopra.
Una ventata d’aria pulita come non se ne provava da tempo. Finalmente un po’ di speranza per questa Italia.
Già, dimenticavo, oggi 11 giugno è il compleanno del Professore.
Buon compleanno Salvatore Settis. Di cuore.
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* www.la7.it
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Salvarore Settis
mercoledì 9 giugno 2010
"Sarebbe un grave errore non capire che Fini è un interlocutore.”
Evviva. Evviva. Evviva. Tre volte evviva.
Ancora una volta Ikarus-D’Alema, con un tempismo ed una capacità d’analisi che lascia stupiti i più e attoniti gli intimi, ha fatto centro.
Sembrava ieri quando Gianfranco Fini, durante la direzione del PdL*, puntualizzava con estrema precisione e durezza la sua posizione all’interno del partito e marcava le differenze che lo distinguevano dal suo presidente.
Già da tempo i più cinici della sinistra vedevano, ghignando, in Fini il loro nuovo leader. Lo facevano con quell’ironia e con quella volontà di trasgressione che è tipica dei sovversivi disincantati.
Capite il loro stupore quando Ikarus-D’Alema se ne usci con la pateracchiesca affermazione che “sarebbe un errore non capire che Fini è un interlocutore”.
I sovversivi stupirono, il teorema D’Alema ** non era ancora stato enunciato in tutta la sua interezza.
Chi non stupì fu il ministro Ronchi che con lucida freddezza sentenziò: "chi pensa che il dibattito all’interno del PdL e il progetto politico di Fini siano fatti per indebolire il centro destra o ha un quoziente intellettivo basso o è un provocatore” E Gianfaranco Fini aggiunse: “sono e rimango un uomo di destra - e poi - la sinistra è disperata”***
Da allora poca acqua è passata sotto i ponti e Ikarus-D’Alema rimane nell’indecisione sulla categoria alla quale iscriversi.
Ma poiché il diavolo, che non è stupido ma provocatore sì, fa le pentole ma non i coperchi ecco che oggi leggiamo**** che il Presidente della Camera, onorevole Gianfranco Fini, sulla questione liberticida delle intercettazioni telefoniche rilascia una nota che testualmente dice “ …la nuova formalizzazione del ddl fa si che esso di certo non contrasti con altri impegni presi con gli elettori: quelli in materia di lotta alla criminalità e di difesa della legalità.” E naturalmente, si è formalmente impegnato a votare, lui e la sua corrente, il ddl in questione.
Colpo di scena anche Pierluigi Bersani sbigottito***** chiede a Fini di spiegare in cosa sia cambiata la sostanza della legge da aprile ad oggi, ma Ikarus-D’Alema, tetragono, mantiene sul suo sito internet la storica frase e, ahinoi, conseguenti argomentazioni.******
Ma c’è un però: il vertice del PdL non ha approvato all’unanimità il provvedimento. C’è stato un astenuto: Silvio Berlusconi.
A questo punto per i cinici di cui sopra la domanda è d’obbligo, Ikarus-D’Alema lancerà o non lancerà un nuovo proclama dal titolo: “sarebbe un grave errore non capire che Berlusconi è un interlocutore”?
___________________________________________
* La direzione del PdL si è tenuta il 22 aprile 2010
** Vedi il vicario imperiale del 16 maggio 2010
*** Vedi il vicario imperiale del 1 maggio 2010
**** Corriere della Sera , 9 giugno 2010, pag. 6
***** Ballarò di martedì 8 giugno 2010
****** http://www.massimodalema.it/
Histats_variables.push("sarebbe un grave errore non capire che Fini è un interlocutore","0");
Ancora una volta Ikarus-D’Alema, con un tempismo ed una capacità d’analisi che lascia stupiti i più e attoniti gli intimi, ha fatto centro.
Sembrava ieri quando Gianfranco Fini, durante la direzione del PdL*, puntualizzava con estrema precisione e durezza la sua posizione all’interno del partito e marcava le differenze che lo distinguevano dal suo presidente.
Già da tempo i più cinici della sinistra vedevano, ghignando, in Fini il loro nuovo leader. Lo facevano con quell’ironia e con quella volontà di trasgressione che è tipica dei sovversivi disincantati.
Capite il loro stupore quando Ikarus-D’Alema se ne usci con la pateracchiesca affermazione che “sarebbe un errore non capire che Fini è un interlocutore”.
I sovversivi stupirono, il teorema D’Alema ** non era ancora stato enunciato in tutta la sua interezza.
Chi non stupì fu il ministro Ronchi che con lucida freddezza sentenziò: "chi pensa che il dibattito all’interno del PdL e il progetto politico di Fini siano fatti per indebolire il centro destra o ha un quoziente intellettivo basso o è un provocatore” E Gianfaranco Fini aggiunse: “sono e rimango un uomo di destra - e poi - la sinistra è disperata”***
Da allora poca acqua è passata sotto i ponti e Ikarus-D’Alema rimane nell’indecisione sulla categoria alla quale iscriversi.
Ma poiché il diavolo, che non è stupido ma provocatore sì, fa le pentole ma non i coperchi ecco che oggi leggiamo**** che il Presidente della Camera, onorevole Gianfranco Fini, sulla questione liberticida delle intercettazioni telefoniche rilascia una nota che testualmente dice “ …la nuova formalizzazione del ddl fa si che esso di certo non contrasti con altri impegni presi con gli elettori: quelli in materia di lotta alla criminalità e di difesa della legalità.” E naturalmente, si è formalmente impegnato a votare, lui e la sua corrente, il ddl in questione.
Colpo di scena anche Pierluigi Bersani sbigottito***** chiede a Fini di spiegare in cosa sia cambiata la sostanza della legge da aprile ad oggi, ma Ikarus-D’Alema, tetragono, mantiene sul suo sito internet la storica frase e, ahinoi, conseguenti argomentazioni.******
Ma c’è un però: il vertice del PdL non ha approvato all’unanimità il provvedimento. C’è stato un astenuto: Silvio Berlusconi.
A questo punto per i cinici di cui sopra la domanda è d’obbligo, Ikarus-D’Alema lancerà o non lancerà un nuovo proclama dal titolo: “sarebbe un grave errore non capire che Berlusconi è un interlocutore”?
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* La direzione del PdL si è tenuta il 22 aprile 2010
** Vedi il vicario imperiale del 16 maggio 2010
*** Vedi il vicario imperiale del 1 maggio 2010
**** Corriere della Sera , 9 giugno 2010, pag. 6
***** Ballarò di martedì 8 giugno 2010
****** http://www.massimodalema.it/
Histats_variables.push("sarebbe un grave errore non capire che Fini è un interlocutore","0");
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