Nel 1961 John Fitzegarld Kennedy incitava i giovani americani a gettare il cuore oltre l’ostacolo e ad impegnarsi per il proprio paese. Oggi, più modestamente, il Piantedosi Matteo lo dice ai migranti. Chissà se capiranno.
Quando John Fitzgerald Kennedy, 35° Presidente degli Stati Uniti, il più giovane, entrò alla Casa Bianca il cuore del suo discorso fu:«Non chiedete al vostro Paese cosa deve fare per voi, chiedevi cosa voi potete fare per lui». Era l’inizio della nuova frontiera. Era il 1961. A sessantadue anni di distanza la stessa frase ha avuto nuovamente gli onori della cronaca. Questa volta non a proposito di una nuova frontiera, non a proposito di giovani idealisti con l’ambizioso sogno di far diventare il proprio paese più ricco, più giusto, più vicino alla felicità. Questa volta la famosa frase, mal compresa, mal digerita e mal riportata, è stata ripetuta dal Piantedosi Matteo, ministro degli Interni della Repubblica Italiana, per biasimare chi scappa dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose e dalla miseria ed è alla ricerca di briciole di felicità. Briciole per raggiungere le quali mette in conto di passare anni per avvicinarsici e magari finire in un lager sul modello di quelli nazisti e, se tutto va bene, imbarcarsi su una bagnarola con la
buona probabilità andare a fare
compagnia ai pesci. Questi fuggitivi, vengono Iraq e Iran e Afganistan e Siria
e anche Turchia, sono dei vili. Pusillanimi e anche egoisti, capaci solo di
arraffare qualsiasi cosa possano dalla scarna carne viva dei loro paesi. Invece
di scappare, lui, il Piantedosi Matteo, ministro degli Interni dell’Italia, se
fosse nato in Afganistan lì sarebbe rimasto, se fosse nato in Iraq lì sarebbe
stato, se fosse nato in Iran lì sarebbe stato, se fosse nato in Siria lì
sarebbe stato e se fosse nato in Turchia lì sarebbe stato. Lì sarebbe stato a
fare cosa? A domandarsi cosa avrebbe potuto fare lui, il Piantedosi Matteo, per
il proprio paese. E, senz’altro in un battibaleno avrebbe avuto la risposta:
solida, forte, folgorante, adamantina e salvifica. Lui il Piantedosi Matteo si
sarebbe messo a combattere la guerra, la fame, la miseria, le malattie, le
persecuzioni e, già che c’era , anche i terremoti. E naturalmente in quattro e
quattro otto ne sarebbe uscito vincitore. Come facciano quei miserabili dei profughi a non capirlo è domanda filosofica su cui si stanno scervellando i
migliori crani d’Europa. Il Piantedosi Matteo tra questi. Una domanda: ma
perché il Piantedosi Matteo non si trasferisce là, magari in tour, paese dopo
paese, a lanciare la sua parola d’ordine e a guidare la vittoriosa rivolta
proletaria? E poi una piccola considerazione:
tra le tante cose che un cittadino può fare per il suo paese, qualsiasi esso
sia, ce n’è una che non costa niente, è facilissima da mettere in pratica e
comporta nessuna fatica: non dire bischerate. Già questo sarebbe un bell’aiuto al paese.
Buona Settimana e Buona Fortuna
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