Oltre a dj Fabo, anche Gianni, il giorno dopo, e
altri cinquanta gli italiani che l’anno passato hanno varcato il confine.
Adesso i politici ne parlano tutti. Andrea Romano: «il Parlamento sta lavorando
da otto anni su questa legge» Intanto la discussione in aula viene nuovamente
spostata. Ci hanno messo meno a scrivere la costituzione. Chissà se c’è
qualcuno tra quelli che parlano sa cos’è il dolore.
Con il suicidio
di dj Fabo e quello del giorno dopo di Gianni s’è scatenato il solito
tourbillon di dichiarazioni, prese di posizioni, appelli, mozioni,
interrogazioni, considerazioni e, detto con il massimo rispetto per entrambi i
casi, via retoricamente blaterando. A parlare poi, con oltre novecento tra
deputati e senatori, sono sempre gli stessi. Facce da teleschermo. Una volta si
evocava il bronzo. E raccontano tutti, con l’aria di averle accuratamente
ponderate, le solite masticate banalità di sempre, senza mai uno sprazzo di
originalità. In più, ed è il fatto che maggiormente colpisce, nessuno dei
blateranti sembra affetto dal benché minimo dolore, anzi paiono tutti essere
ben felici (beati loro) e di scoppiare di salute (a tutti l’augurio di lunga
vita). Vien quindi da pensare quanto sia facile far ridere con la faccia degli
altri. La citazione, per vero, propone al posto di faccia un altro termine,
assai caro a Roberto Giachetti, che qui per signorilità non andiamo a
riproporre.
Retorica a fiumi
quindi dove, detto per inciso, né i favorevoli né i contrari si mettono nei
panni di dj Fabo e di tutti gli altri, pare siano stati almeno una cinquantina gli
italiani che nell’anno appena trascorso sono andati a suicidarsi in quel di
Zurigo. Che ne sanno i blateranti del dolore? Come possono immaginare una
disperazione così grande da far decidere di abbandonare la vita? Come possono
quindi parlarne se non come guitti che mandata a memoria una parte la ripetono
a beneficio della platea?
Questa volta lor
signori sono stati meno trucidi di quanto furono il “saggio” Gaetano
Quaglieriello (per Eluana Englaro parlò di assassinio) e Carlo Giovanardi
(definì Eluana Englaro «vittima dell’eutanasia»). Giusto per dirne due che
altre vergognose affermazioni è meglio tralasciare. Lo schema della
comunicazione odierna è cambiato, d’altra parte sono cambiati i tempi. Adesso,
in modo meno truculento, ogni intervento si sviluppa su due paragrafi. Il primo
è un breve preambolo, stereotipato, che fa perno sul concetto di rispetto per
chi arriva a scelte così tragiche e mentre il secondo si biforca su due temi: la
libertà di scelta (centrosinistra e sinistra) o in alternativa l’esaltazione
della vita e negazione del suicidio come via d’uscita (centrodestra e destra).
Sparuto il gruppetto di quelli che chiedono di legiferare velocemente, che
tanto quando la proposta sarà in aula la divisione riprenderà gli schieramenti di sempre. Uno solo o
comunque pochi si vergognano del Parlamento italiano e del tempo perso. Ecumenica,
come ti sbagli, la Chiesa che volteggia alto lasciando alla manovalanza il
lavoro duro. E sporco.
Anche in questa
occasione non poteva mancare la voce di Andrea Romano che speakereggia
praticamente su tutto quanto accade nell’orbe terraqueo mentre altri centurioni
e centurione renziane hanno ambiti d’intervento specifici e quindi almeno su
questo tema ce li si è risparmiati. Il fulcro dell’intervento del Romano Andrea
(l’Aria che tira, 28 febbraio) si è così esplicitato: «il Parlamento sta
lavorando da otto anni su questa legge» Da notare il verbo e il tempo
trascorso. Ci hanno messo meno a scrivere la Costituzione e in quel caso il
verbo lavorare probabilmente aveva un suo senso. Otto anni per scrivere una
legge mentre in silenzio e a pagamento chi il dolore lo conosce per davvero e
lo patisce varca il confine in direzione Zurigo. Poi improvvisamente, con la
potenza di un fulmine caduto dal cielo, ecco spuntare la data per la
discussione in aula del disegno di legge: il 3 marzo. Come dire: la legge la si
teneva nel cassetto a maturare, magari in attesa di tempi migliori, ma dato che
il caso di dj Fabo grazie all’intervento di Marco Cappato ha portato il fatto
in prima pagina un, due e tre ti spunta fuori tutto e subito. Oddio tutto e
subito, prima era il 3 marzo poi a stretto giro la data è stata spostata al 13
marzo. Anzi no, scusate, il 16 marzo.
Che a procrastinare le date della discussione in Parlamento sono dei
fulmini di guerra. E il tempo guadagnato (cioè sprecato) servirà solo per
consentire ai telegenici speaker dei partiti di fare un’altra comparsata in tv.
Magari a pagamento, chi lo sa. La voglia di citare ancora una volta Roberto
Giachetti sgomita, ma ancora una volta, per signorilità si soprassiede. Pure se il pensiero chiaro e
tondo è quello. Più nella sostanza che nella forma.
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