Ciò che possiamo licenziare

giovedì 2 marzo 2017

Quanto è bello parlare della morte

Oltre a dj Fabo, anche Gianni, il giorno dopo, e altri cinquanta gli italiani che l’anno passato hanno varcato il confine. Adesso i politici ne parlano tutti. Andrea Romano: «il Parlamento sta lavorando da otto anni su questa legge» Intanto la discussione in aula viene nuovamente spostata. Ci hanno messo meno a scrivere la costituzione. Chissà se c’è qualcuno tra quelli che parlano sa cos’è il dolore.

Con il suicidio di dj Fabo e quello del giorno dopo di Gianni s’è scatenato il solito tourbillon di dichiarazioni, prese di posizioni, appelli, mozioni, interrogazioni, considerazioni e, detto con il massimo rispetto per entrambi i casi, via retoricamente blaterando. A parlare poi, con oltre novecento tra deputati e senatori, sono sempre gli stessi. Facce da teleschermo. Una volta si evocava il bronzo. E raccontano tutti, con l’aria di averle accuratamente ponderate, le solite masticate banalità di sempre, senza mai uno sprazzo di originalità. In più, ed è il fatto che maggiormente colpisce, nessuno dei blateranti sembra affetto dal benché minimo dolore, anzi paiono tutti essere ben felici (beati loro) e di scoppiare di salute (a tutti l’augurio di lunga vita). Vien quindi da pensare quanto sia facile far ridere con la faccia degli altri. La citazione, per vero, propone al posto di faccia un altro termine, assai caro a Roberto Giachetti, che qui per signorilità non andiamo a riproporre.

Retorica a fiumi quindi dove, detto per inciso, né i favorevoli né i contrari si mettono nei panni di dj Fabo e di tutti gli altri, pare siano stati almeno una cinquantina gli italiani che nell’anno appena trascorso sono andati a suicidarsi in quel di Zurigo. Che ne sanno i blateranti del dolore? Come possono immaginare una disperazione così grande da far decidere di abbandonare la vita? Come possono quindi parlarne se non come guitti che mandata a memoria una parte la ripetono a beneficio della platea?

Questa volta lor signori sono stati meno trucidi di quanto furono il “saggio” Gaetano Quaglieriello (per Eluana Englaro parlò di assassinio) e Carlo Giovanardi (definì Eluana Englaro «vittima dell’eutanasia»). Giusto per dirne due che altre vergognose affermazioni è meglio tralasciare. Lo schema della comunicazione odierna è cambiato, d’altra parte sono cambiati i tempi. Adesso, in modo meno truculento, ogni intervento si sviluppa su due paragrafi. Il primo è un breve preambolo, stereotipato, che fa perno sul concetto di rispetto per chi arriva a scelte così tragiche e mentre il secondo si biforca su due temi: la libertà di scelta (centrosinistra e sinistra) o in alternativa l’esaltazione della vita e negazione del suicidio come via d’uscita (centrodestra e destra). Sparuto il gruppetto di quelli che chiedono di legiferare velocemente, che tanto quando la proposta sarà in aula la divisione riprenderà  gli schieramenti di sempre. Uno solo o comunque pochi si vergognano del Parlamento italiano e del tempo perso. Ecumenica, come ti sbagli, la Chiesa che volteggia alto lasciando alla manovalanza il lavoro duro. E sporco.


Anche in questa occasione non poteva mancare la voce di Andrea Romano che speakereggia praticamente su tutto quanto accade nell’orbe terraqueo mentre altri centurioni e centurione renziane hanno ambiti d’intervento specifici e quindi almeno su questo tema ce li si è risparmiati. Il fulcro dell’intervento del Romano Andrea (l’Aria che tira, 28 febbraio) si è così esplicitato: «il Parlamento sta lavorando da otto anni su questa legge» Da notare il verbo e il tempo trascorso. Ci hanno messo meno a scrivere la Costituzione e in quel caso il verbo lavorare probabilmente aveva un suo senso. Otto anni per scrivere una legge mentre in silenzio e a pagamento chi il dolore lo conosce per davvero e lo patisce varca il confine in direzione Zurigo. Poi improvvisamente, con la potenza di un fulmine caduto dal cielo, ecco spuntare la data per la discussione in aula del disegno di legge: il 3 marzo. Come dire: la legge la si teneva nel cassetto a maturare, magari in attesa di tempi migliori, ma dato che il caso di dj Fabo grazie all’intervento di Marco Cappato ha portato il fatto in prima pagina un, due e tre ti spunta fuori tutto e subito. Oddio tutto e subito, prima era il 3 marzo poi a stretto giro la data è stata spostata al 13 marzo. Anzi no, scusate, il 16 marzo.  Che a procrastinare le date della discussione in Parlamento sono dei fulmini di guerra. E il tempo guadagnato (cioè sprecato) servirà solo per consentire ai telegenici speaker dei partiti di fare un’altra comparsata in tv. Magari a pagamento, chi lo sa. La voglia di citare ancora una volta Roberto Giachetti sgomita, ma ancora una volta, per signorilità  si soprassiede. Pure se il pensiero chiaro e tondo è quello. Più nella sostanza che nella forma.

Nessun commento:

Posta un commento