Quella di Gwendolen è storia antichissima e fatta di violenti dolori e feroci gioie.
Amava Gwendolen, purtroppo non riamata.
Nacque principessa in Cornovaglia intorno al 1130 prima di Cristo, figlia di un re valoroso e di forte tempra, coriaceo, come dovevano essere i re che di nome faceva Corineo.
Figlia ubbidiente, fedele e sottomessa accettò, all’inizio pur contro voglia, di sposare uno slavato e biondastro re britannico: Locrino.
Tuttavia l’indole leale ed appassionata la portò, giorno dopo giorno ad accettare lo sposo e le sue distratte carezze fino ad innamorarsene. E quando l’amore fu nacque l’adorato figlio Maddan.
Maddan da subito si presentò come forte virgulto della sua specie e seppe resistere a tutte le difficoltà che quel periodo aspro e spigoloso, eppure così terso, imponeva ai selvaggi cuccioli dell’uomo: solo i più forti nel fisico e nello spirito potevano resistere. E Maddan resistette.
Ma si può resistere all’abbandono del padre?
E può una moglie, soprattutto quando anche madre, rinunciare a ciò che le appartiene di diritto?
No. La risposta è semplicemente no. No. Non può.
E allora eccola ritornare nelle terre paterne raccontare con veemenza e dei torti subiti e organizzare prima le schiere dei fedeli e rudi guerrieri di Cornovaglia e poi dei Gallesi tutti. E mentre raccontava ricordava gli appassionati amplessi goduti nella tenda dell'inglese durante la stagione della caccia, e le sue parole acquistavano ancora maggior forza: sia guerra al fedifrago Locrino ed alla sua concubina la teutone Estrildis.
Che pena odiare l’amato. Che disperazione calpestare rabbiosamente le terre appartenute con gli zoccoli dei focosi cavalli e vedere i fanti strappare i frutti dagli alberi e disprezzare quella terra tanto patita.
Eppure il torto non può essere superato.
Lei forse, avrebbe potuto perdonare ma ora si tratta di ben altro. Ora è in gioco la continuità del sangue di Corineo e dell’onore dell'intero intero Galles.
Lei forse, avrebbe potuto perdonare ma ora si tratta di ben altro. Ora è in gioco la continuità del sangue di Corineo e dell’onore dell'intero intero Galles.
Troppi mesi sono passati dal ritorno in Cornovaglia e troppe sono le lacrime mischiate alla pioggia.
Ogni momento di titubanza è cancellato dalla veemenza del mare e del vento che dalla punta estrema della Cornovaglia spingono Gwendolen e la sua gente verso oriente, là dove siede il re traditore.
Ogni momento di titubanza è cancellato dalla veemenza del mare e del vento che dalla punta estrema della Cornovaglia spingono Gwendolen e la sua gente verso oriente, là dove siede il re traditore.
Le schiere di Gwendolen iniziarono il loro viaggio verso l’Inghilterra e con mosse a scacchiera cercarono di obbligare Locrino alla battaglia ma l’astuto inglese temporeggiava, come già fece nel talamo nuziale.
Si mostrava e si ritirava e con questa tattica invitava subdolamente gli uomini di Cornovaglia ad addentrarsi sempre più nelle regioni nemiche.
Si mostrava e si ritirava e con questa tattica invitava subdolamente gli uomini di Cornovaglia ad addentrarsi sempre più nelle regioni nemiche.
Il piano di Locrino era evidente e presentava due soluzioni.
La prima: le schiere di Gwendolen entrando sempre più nel territorio del nemico si sarebbero trovate isolate e costrette ad avanzare, e forse combattere, in terreni sconosciuti e senza alcun appoggio esterno.
Seconda soluzione: stanchi dal tanto vano inseguire, magari anche decimati da brevi e sanguinosi scontri di guerriglia sarebbero ritornati nelle loro terre. E forse, alla fine, si sarebbe pure potuto dare il colpo di grazia pensava Locrino, in questo istigato dalla perfida Estrildis il cui largo bacino non pareva essere in grado di generare quel maschio che il re tanto agognava.
Tuttavia Gwendolen non desistette e continuò con tenacia nella sua tattica: “ L’Inghilterra è un’isola – diceva ai capi delle sue tribù - e alla fine ogni fuga si infrange contro le onde del mare. Anche Locrino non potrà indietreggiare all’infinito. E poi – aggiungeva – i nostri uomini stanno inseguendo mentre quegli altri stanno scappando”
La forte Gwendolen aveva capito che per un guerriero essere cacciatore è un grande vantaggio. Certo la vita non è comoda quando si insegue un cervo: è l’animale che sceglie il terreno e l’andatura ma l’obiettivo è chiaro e cancella ogni fatica.
Quando invece il guerriero è preda e fugge combatte due volte, la prima contro l'ombra del nemico e la seconda contro la sua stessa natura e la sua stessa voglia di combattere.
E questo atteggiamento demoralizza e rende flaccido il cervello e molli i muscoli.
Non bastano i turgidi seni della bionda teutone a dare vigore e cambiare di nome a ciò che a tutti appare per quello che è: una fuga. E poi il continuo movimento porta la guerra là dove mai avrebbe dovuto essere e anche questo è uno svantaggio poiché il popolo odia dagli invasori ma al tempo stesso maledice colui che li ha portati.
Non bastano i turgidi seni della bionda teutone a dare vigore e cambiare di nome a ciò che a tutti appare per quello che è: una fuga. E poi il continuo movimento porta la guerra là dove mai avrebbe dovuto essere e anche questo è uno svantaggio poiché il popolo odia dagli invasori ma al tempo stesso maledice colui che li ha portati.
Alla fine, quando oramai tutta l’Inghilterra è stata corsa e, come Gwendolen aveva previsto, il mare si parò dinanzi ai fuggitivi non ci fu che da affrontare la battaglia.
Ed eccole, finalmente, le due schiere l’una di fronte all’altra ma mentre quella degli uomini di Cornavaglia ha nel cuore la feroce gioia di chi ha finalmente intrappolato la preda per gli altri il fatto è di gran lunga diverso. Gli inglesi sono stanchi dal tanto correre le membra sono fiacche e, soprattutto, si sentono in trappola. Troppo è stato il tempo speso a fuggire che oramai la fuga è diventata quasi il loro abito mentale e poi quella odiosa sensazione di non essere più loro a menare la danza ma l’essere costretti da altri a combattere, è umiliante. E tutti sanno che chi parte umiliato, da sé più che dall’altro, ha già perso.
Gwendolen sorride stando sul suo cavallo sauro avvolta nella ricca pelle d’orso bruno mentre la pioggia cade silenziosa e sottile, quasi a non disturbare i contendenti, e rende i suoi lunghi capelli bruni più lucenti che mai.
Così la deve vedere Locrino: in tutto il suo splendore, mentre con la destra alza la spada temperata dalle tante lacrime e dal fuoco della passione. E così lui la vede.
Locrino per un attimo ha un soprassalto e ammira quella donna che fu sua e di cui godette l’amore.
Ed ecco Gwendolen che fa forza sulle staffe quasi ed alzarsi in piedi e roteando la spada indica il centro dello schieramento avversario: i fantri si lanciano all’assalto con urla selvagge tanto è selvaggia la gioia della battaglia e selvaggia è la voglia di sangue. Come selvaggio fu l'amore.
L’esercito di Locrino si spacca in due pensa ancora una volta, l’inglese, di poter attirare in una trappola ed ingabbiare la furia di Cornovaglia.
Ma si sbaglia.
Gwendolen da ordine di suonare i due grandi corni di bue ed ecco apparire la cavalleria che, divisa in due tronchi, si abbatte sulle ali avversarie.
La battaglia ora è finalmente vera.
Non c’è più spazio di fuga.Non c’è più spazio di manovra. Non c’è più spazio per la tattica.
Le scuri si abbattono sugli scudi che con sinistro rumore si spezzano. Le fronti sono aperte quasi siano mele. I cuori sono spaccati. Dalle labbra escono fiotti di liquido color granata.
Eccola Gwendolen spronare il suo cavallo e batterlo sul posteriore con la parte piatta della spada perché non indietreggi dinnanzi a nulla e anche lei si getta nella foga della battaglia e mena fendenti ora a destra ora a sinistra e sente il sordo rumore dell’osso che si spezza e gode nel sentire il suo volto colpito da quella materia calda e rossa che le scivola sulle guance. Sangue. Sangue. Con questo si lava l’onta subita. E l'amore tradito.
Là c'è Locrino e la sua concubina.
Lui la protegge e si batte come forse mai si sarebbe immaginato e questo suo nuovo modo d’essere se da un canto lo rivaluta e dall’altro renderà pari la lotta. Gwendolen con un secco gesto si libera della pelle d’orso, i suo bracciali brillano sotto la pioggia, la tunica bagnata le si incolla sul petto e ne esalta le forme.
Un urlo: “Lasciateli. Sono miei”
Un urlo: “Lasciateli. Sono miei”
Locrino si smarrisce, poi, sentendosi non più circondato da gallesi ghigna, arpiona la criniera di un cavallo e salta in groppa. Per un attimo i due si guardano negli occhi poi, allo stesso momento spronano e si lanciano l’uno contro l’altra. Il rumore degli zoccoli sull’erba bagnata è sordo e spaventoso, la battaglia si ferma. Ognuno guarda il suo campione.
Il tempo scorre lento, gli zoccoli colpiscono il terreno e stanno per tempo infinito a mezz’aria prima di ritornare a battere e il silenzio si fa fragoroso e gli zoccoli tornano a terra e si rialzano e le bocche sono spalancate e l’urlo è di silenzio. Lo spazio si fa sempre più corto. Prima l’occhio coglieva l’intera figura ora sempre meno appare di quella massa che vien contro. E il braccio si sposta all’indietro a cercare la spinta e raggiunge il punto dove deve essere fermo. Oramai si è vicini,
Tre tempi di galoppo.
Due tempi.
Ancora una battuta e poi l’omero ruota e scatta la molla. Ora il braccio finisce la sua rotazione, il gomito è sotto il mento e poi finalmente ricade lungo la coscia. La spada si fa pesante. La mano sinistra tira a sè le redini e con il tallone destro fa ruotare il cavallo a sinistra mentre il busto già si è torto per vedere il nemico.
Tre tempi di galoppo.
Due tempi.
Ancora una battuta e poi l’omero ruota e scatta la molla. Ora il braccio finisce la sua rotazione, il gomito è sotto il mento e poi finalmente ricade lungo la coscia. La spada si fa pesante. La mano sinistra tira a sè le redini e con il tallone destro fa ruotare il cavallo a sinistra mentre il busto già si è torto per vedere il nemico.
E gli occhi più veloci del fulmine hanno visto un pezzo schizzar via. Forse il fango sollevato dai posteriori? Quant’era grande e tondo e brillante quel fango.
Non è fango: è l’elmo di Locrino. Con dentro la sua testa. Il suo cavallo sta correndo con sulla groppa un corpo mozzo.
Il destino volle che quella tonda macabra palla rotolasse fino ai piedi di Estrildis.
E così Gwendolen vinse la sua guerra nei pressi del fiume Stour.
Gwendolen fu una regina saggia, governò per circa 15 anni sull’intera Inghilterra e quando il figlio Maddan fu in grado di raccogliere l’eredità del padre abdicò e se tornò in Cornovaglia dove visse ancora a lungo e poi, come succede a tutti, morì.
E come succede ad alcuni lo fece serenamente.
Estrildis.fu fatta annegare, insieme alla figlia avuta da Locrino, che di nome faceva Habren.
E poiché Gwendolen sapeva rendere onore all'amore ordinò che il fiune nel quale le due furono annegate si chiamasse Habren. Che poi in inglese divenne Severn.
E di Eliana?
Bhè di Eliana parlerò una prossima volta.
Bel racconto, ma ci guadagnerebbe molto se scritto meglio. Roberta.
RispondiElimina