Recensione dadaista.
Domenica 16 maggio 2010, il film Draquila è in programmazione già da qualche giorno.
Radio, televisione, stampa e qualcosina anche sulla rete (ma meno), tutti, ovunque ci sia uno spazio di approfondimento d’attualità o (simil)culturale, hanno parlato di questo film. Amici e nemici. Le polemiche sono divampate, di tutto s’è discusso: dei contenuti (anche se pochissimi hanno visto il film) e delle banalità (se il ministro sia stato o no invitato a Cannes).
Tra quelli che conosco, pure impegnati o semi-impegnati (qualcuno anche semi-occupato), pochi dimostrano una gran voglia di andarlo a vedere. Io invece sì.
Quindi esco per tempo, non voglio dover fare una lunga coda al botteghino e neppure correre il rischio di finire in terza fila con il collo torto all’indietro e gli occhi che lacrimano.
Arrivo davanti al cinema e non c’è nessuno. A parte una quarantina tra genitori e bambini che sono lì per assistere alla proiezione di Robin Hood. Che in fondo, mutatis mutandi, è la stessa cosa. Però lì ci sono le frecce e i cavalli e i cattivi alla fine perdono.
Ho il biglietto in mano ma sono troppo in anticipo. Ne approfitto per farmi scaldare dal sole stando sul marciapiede.
I minuti evaporano in questa finalmente calda domenica. Nel generale quasi silenzio di tanto in tanto passa un’auto clacsonando e inalberando bandiere nero-azzurre.. Chissà perché quelli dell’Atalanta vengono a Milano a fare casino.
Finalmente scocca l’ora e si può entrare. Mi hanno assegnato un bel posto proprio nel mezzo della fila e a metà della sala. Fantastico.
Mi guardo intorno e penso che siamo un po’ pochini. Vabbè. Poi la gente comincia ad entrare alla alla spicciolata e i posti vengono occupati per un terzo. Bhè meglio che niente.
Inizia la proiezione.
Sullo schermo immagini drammatiche ma, in fondo sono le solite che già ho visto nei telegiornali e ad Annovero, la tecnica è quella di Micheal Moore. Tutto sommato niente di nuovo e di non già visto.
Quello che è duro, ancor più duro sono le parole che i vari intervistati pronunciano ed i concetti che a queste sono sottesi. Al confronto quei massi accatastati che prima erano la cattedrale o il centro storico sono banali, quasi un nulla.
Ascoltando queste frasi, si capisce cosa vuol dire che “una parola pesa più di un sasso” e guardando quelle espressioni spontaneamente dipinte su quei volti la disperazione prende allo stomaco.
I racconti degli aquilani, sia quelli pro sia quelli contro, chissà poi quale sia il pro e quale sia il contro in un contesto in cui questi paiono concetti superati nella loro banalità, trasmettono tutti la stessa sensazione di raccapriccio.
Si stenta a credere a quelle parole che là hanno un peso ed un senso e sentite e viste qua, a centinaia di kilometri di distanza, ne assumono decisamente un altro. Sono incredibili.
C’è la signora che lo vorrebbe abbracciare “a Silvio, anche se sono vecchia” (e, a occhio, ne ha la stessa età), e c’è quello che racconta di quanto sia dura fare politica lì, a L’Aquila, c’è quello entusiasta che racconta del nuovo appartamento (che è temporaneo, ma non si sa quanto sarà lunga questa temporaneità) e mostra il secchiello porta ghiaccio per lo spumante (Silvio ha promesso e ha mantenuto) e quella che s’è commossa quando ha visto lo scopino del bagno, e c’è anche quella che mostra lo scolapasta in plastica e dice che le hanno detto che non potrà appendere neanche un quadro e quell’altra che racconta che quando se ne andranno dovranno restituire tutto quello che hanno trovato, comprese le lenzuola usate, e infine quella che in questa bella casa nuova si sente un po’ in gabbia.
E poi c'è il più saggio di tutti, quello che dice "l'errore è stato pensare: dura due anni poi sparisce."
Dimenticavo: c’è anche la tenda del PD. Perennemente vuota.
E l’angoscia è tutta concentrata in queste poche frasi.
E Berlusconi in tutto questo? Per processo metonimico diventa per tutti, amici e nemici, l’astrazione di sé stesso: Angelo o Diavolo. E quindi, quasi per definizione, innocente per tutto e su tutto.
Perchè nessuna delle due astrazioni, Angelo o Diavolo, è meritevole o colpevole : ognuna svolge con diligenza il suo lavoro. E lui, Berlusconi, fa il suo.
La colpa semmai è di altri: di quello che si trasforma da giusto in peccatore.
Accusare Berlusconi è come dare la colpa ai piccioni di avere cagato sul sagrato del Duomo.
Il piccione, anche lui (angelo o diavolo), svolge diligentemente il suo lavoro: svolazza qua e là (e per qualcuno è bellissima la foto ricordo con il piccione in testa), staziona dove trova cibo a basso sforzo, ovvero dove gli danno da mangiare, quando vuole stare tranquillo si piazza sui fili della luce o tra i rami di un albero o sui poggioli. E nel dimezzo del far tutto questo caga.
Non è colpa sua se passeggi sotto le sue traiettorie o se ti fermi a sfogliare il giornale sotto un davanzale o se parcheggi l’auto sotto i frondosi alberi.
I piccioni mollano le loro simpatiche bombette bianche e gialle dove capita, è chi sta sotto che deve prestare attenzione altrimenti è colpevole quanto meno di distrazione.
Attenzione quindi a non voler sostituire un uomo della provvidenza con un altro, sostituire un piccione con una colomba non è una grande idea.
Entrambi volando cagano.
E alla fine del film scatta spontaneo un applauso. Forse è liberatorio. Chissà da che.
Già, stanno applaudendo lo schermo. E poi?
Fuori fa meno caldo e quelli dell’Atalanta sono diventati un po’ più rumorosi.
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